“Quando è arrivata la notizia che Thierry Breton, il potente e stagionato commissario europeo nominato da Parigi, si dimetteva dall’incarico in aperta e astiosa polemica con Ursula von der Leyen, abbiamo sperato”.
Lo scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera che aggiunge: “Ci siamo detti, alla vigilia della presentazione della nuova Commissione, vuoi vedere che davanti all’opinione pubblica si fa un atto di trasparenza democratica?
Ahinoi, non era così.
Dallo staff di Ursula hanno anzi fatto sapere che risposta non ci sarebbe stata perché la presidente tiene moltissimo al metodo «confidenziale» con cui sta trattando capitale per capitale, partito per partito, i nomi e le deleghe della sua Commissione.
Si sarebbe trattato insomma di una mera idiosincrasia personale, del resto già evidente da tempo.
E di un gioco politico a due tra Bruxelles e Parigi.
Ursula non voleva più Breton, Macron voleva deleghe più importanti per il commissario francese, che la presidente gli ha offerto in cambio della testa di Breton.
Così neanche poche ore dopo l’Eliseo ha indicato il suo nuovo nome, il ministro degli esteri Stéphane Séjourné, un macronista che più macronista non si può.
Che forse spiana addirittura la strada alle nomine di oggi.
Quindi, paradossalmente – osserva l’editorialista – il caso Breton avvicina anche la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo con delega sui fondi di Coesione e del Pnrr (la delega sull’Economia non è mai stata in discussione, come pure è stato scritto, e infatti non ci sarà).
Ma per quanta soddisfazione potrà dichiarare il governo Meloni se le cose andranno così, non si potrà certo brindare a una svolta in Europa.
È difficile anzi negare che anche il caso Breton rivela una crisi profonda delle istituzioni europee, e aggrava i dubbi sulla loro capacità di guidare il processo storico di fronte al quale ci troviamo.
I fatti di ieri sembrano insomma un’altra conferma delle grandi potenzialità che la situazione offre all’Italia per entrare in una cabina di regia oggi così povera di protagonisti all’altezza.
Non è detto che Giorgia Meloni ci possa riuscire, ma almeno dovrebbe provarci.
Fitto vicepresidente sarebbe un successo indiscutibile per l’Italia.
Ma noi – conclude – dobbiamo pensare anche al successo dell’Europa”.