Nella giornata del 24 novembre, la Presidente di ItaliaDecide, Anna Finocchiaro, ha dialogato con Elena Ugolini, Responsabile Generale Scuole Malpighi, già sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione, durante il panel “La formazione come asset strategico del Paese: il ruolo delle nuove generazioni e i valori (perduti?)”, nel corso degli Stati Generali della Ripartenza organizzati a Bologna dall’Osservatorio economico e sociale Riparte l’Italia.
A proposito di quali siano i valori che sono andati in crisi ed in che modo si possa agire per rilanciare sul profondo, cioè sul perché valga la pena impegnarsi, studiare e mettere al mondo dei figli, Anna Finocchiaro afferma: “Noi titoliamo proprio la seconda parte della nostra scuola di formazione per studenti e docenti di quest’anno con il tema “A che serve sapere”, destinato ai ragazzi. Secondo me è un nodo essenziale… ma io vorrei fare una piccola premessa altrimenti non capiamo come contestualizzare il tutto, e cioè oggi il sapere, la trasmissione della competenza, l’educazione si devono misurare con alcuni fatti che sono straordinari che hanno cambiato il mondo e lo stanno cambiando sotto i nostri occhi e che indurranno mutamenti ancora più profondi nel futuro”.
“Cominciamo a dire – prosegue Anna Finocchiaro – che dalla globalizzazione all’innovazione tecnologica, alla questione ambientale, all’incontro tra civiltà diverse, alla moltiplicazione delle agenzie tra virgolette educative, pensate a Wikipedia, il mondo della conoscenza viene attraversato da una crisi come se tutto fosse fuori dei cardini; e solo un sapere complesso riesce a governare la conoscenza in un sistema così complicato e già lo vediamo. Penso che l’ingegnere assunto per dirigere i lavori in un’azienda edile dovrà non soltanto sapere come fare in modo che l’immobile non crolli ma dovrà sapere anche come sostituire strutture materiali con strutture immateriali, dovrà fare conto su materiali ecocompatibili, dovrà pensare con un sapere e con saperi che non sono quelli trasmessi dall’università. Il nostro è un paese in cui il sapere è frammentato per materie, poi ci sono delle esperienze belle che si fanno in alcune università come quella di cui è rettrice Antonella Polimeni, cioè La Sapienza, ma normalmente noi attraversiamo una crisi cognitiva. Ecco, per ridurre la questione, attraversiamo un’enorme crisi cognitiva e questo significa creare cittadini incompetenti”.
“Ora, scusate se intreccio la questione dell’educazione con la questione della democrazia, – continua Anna Finocchiaro – ma secondo me sono strettamente connesse perché solo se stai consapevolmente al mondo sei libero. Allora occorre costruire cittadini che, nei diversi gradi di istruzione, siano a proprio agio nel mondo che cambia, nel loro mondo, che non siano dipendenti, non dico dal sapere scientifico o dal sapere accademico o da quello scolastico, ma spesso da centri di potere e tecnocrazia che detengono un sapere al quale il cittadino non può accedere e di cui non capisce neanche le modalità di accumulazione di formazione, di trasmissione e di controllo”.
E poi aggiunge: “Questo significa che noi dobbiamo davvero cambiare il modo di guardare all’educazione, che ha svolto nel nostro paese un compito straordinario perché ha battuto disuguaglianze, dato chance alle ragazze, riscattato pezzi di territorio, ha innalzato la qualità professionale del nostro paese, tutte cose che sappiamo, però oggi questo non basta più e spesso i ragazzi avvertono questa incapacità di governo del mondo che sta intorno a loro e magari si rifugiano e si confondono pensando che non serva studiare perché tanto c’è Wikipedia, non ci sono non servono più maestri, non servono più scuole ed università, non servano più libri, ma in realtà sono anche loro spaventati. Allora forse la scuola e l’università finora hanno proceduto per accumulazione, io facevo la scuola media, facevo il liceo, poi accumulavo ancora il sapere dell’università e poi dopo magari mi facevo qualche corso di formazione nel corso della mia vita lavorativa, oggi invece devo apprendere ad apprendere, perché anche la formazione tecnica sulla quale si è lavorato, ed al riguardo il Pnrr ha investito parecchio sugli Ett, rischia di essere obsoleta dall’oggi al domani. Quello che imparo oggi su come fare una cosa giovandomi degli strumenti tecnologici domani non serve più perché l’innovazione galoppa assai più velocemente di quanto non sia la mia capacità di sapere. Allora scuole e università dovrebbero imparare ad insegnare ai ragazzi ad apprendere come continuare ad apprendere per tutta la vita perché questo è il punto e solo questo ci garantisce di avere un paese di gente che si sente libera e dignitosa, perché altrimenti ci sono fenomeni di smarrimento che poi si sommano ad altri disagi e rischiamo di creare generazioni di gente spaesata che non riesce ad usare la propria libertà e che non avverte neanche di avere un peso nell’organizzazione sociale, nella società”.
Sul tema d’interesse comune su come cambiare l’educazione nel futuro, Anna Finocchiaro è convinta: “E’ tanto vero quello che diceva il professor Recinto, cioè che gli studiosi che osano travalicare i confini stretti della loro materia e si appassionano di studi interdisciplinari, normalmente carriera non ne fanno. E questo fa comprendere come siamo fuori dall’obiettivo. Perché se l’obiettivo è invece, come dire, assecondare, costruire, aiutare ad essere in grado di governare il sapere complesso, è ovvio che se questa cristallizzazione della frammentazione dei saperi resiste in questo modo, non ci riusciremo mai. Bisognerebbe capire quali saperi e quali fini, quindi, per scegliere quali saperi e quali fini, per pensare di riorganizzare il sistema educativo il quale, però, secondo me non è che è fatto soltanto dalla scuola e dall’università. Perché se noi continuiamo a pensare al sapere, con riguardo al destino dei nostri ragazzi, in stretta ed esclusiva connessione al mondo del lavoro, secondo me, complichiamo le cose, non facilitiamo loro la vita”.
“Perché un sapere frammentato – prosegue Anna Finocchiaro – si scontra con un mercato frammentato a sua volta, che è quello del mercato. Io, per esempio, sono dell’opinione che, se fossimo capaci, dovremmo integrare nel sistema educativo le mille esperienze di formazione professionale che fanno le imprese. E che ovunque nel Paese garantiscono che un ragazzo appena uscito dall’istituto tecnico, magari brillante, appassionato, determinato, bene o meno bene, venga formato rispetto ai nuovi lavori, alle nuove tecnologie, alle nuove tecnologie di prodotto, alle nuove tecnologie di produzione, e via dicendo. Questo significa avere, appunto, un’idea di formazione del tutto diversa da quella che abbiamo avuto prima, in cui le agenzie educative erano soltanto la scuola e l’università ed anche la famiglia naturalmente. Fuori da queste cattedrali del sapere, non c’era niente. Il resto veniva considerato come uno sforzo che faceva l’imprenditore per massimizzare il profitto. Non è così, non è più così, non può essere più così. Né si può caricare tutta la formazione, che giustamente si farà, sugli insegnanti, sui docenti universitari, questa continua corrispondenza tra il sapere somministrato e quello che servirà nel momento in cui uscirai dall’università o dall’istituto tecnico. Non è possibile, dobbiamo arrenderci di fronte al fatto che la scuola e l’università devono darti delle basi teoriche naturalmente solide, dovranno metterti nelle condizioni di stare a tuo agio nel mondo di fuori, con riferimento a quella consapevolezza di cui parlavo prima, perché solo quella ti garantisce che la tua libertà e la tua dignità possano essere salvaguardate ed essere a pieno titolo un cittadino che vive in una democrazia”.
E continua Anna Finocchiaro: “Ed occorre convincersi che il sistema dell’accumulazione non funziona più, ma che oggi funzionano, invece, agenzie educative che ti insegnano ad approcciare il sapere e a governare il processo di apprendimento. E serve, dall’altra parte, il fatto che ci sia un’alleanza tra il pubblico e il privato, secondo me è indispensabile, perché altrimenti non riusciamo davvero a…. Tra l’altro si produce tanto spesso negli istituti tecnici questa alleanza che è estremamente feconda sia per la scuola sia per l’impresa e sicuramente anche per i ragazzi, sotto il profilo dell’orientamento e sotto il profilo dell’acquisizione di competenze e di capacità”.
“Insomma, – conclude Anna Finocchiaro – io penso che, ripeto, la scuola e l’università abbiano svolto un ruolo straordinario nella crescita democratica del Paese perché hanno abbattuto disuguaglianze, muri sociali scaraventati a terra, mobilità sociale e movimento, però oggi ci vorrebbe una riflessione perché altrimenti continuiamo ad andare un po’ spaesati, alla cieca. Dopodiché, fatemi spezzare una lancia per gli insegnanti, io incontro moltissimi docenti di istituti superiori, di tutte le specie, quindi chi insegna al liceo classico, chi allo scientifico, chi agli istituti tecnici, chi ai musicali e via dicendo, perché faccio formazione e quindi sui temi della democrazia, della costituzione, dell’educazione civica, e francamente penso che siano uno straordinario giacimento, che non è valorizzato in questo Paese. Certo, ci sono pure quelli scadenti, ci sono pure quelli neghittosi, ci sono pure quelli che non vogliono lavorare, ma se devo considerarlo nel suo insieme, è un miracolo, secondo me, che un milione e duecentomila persone ogni giorno, per uno stipendio da fame e una considerazione sociale infima, si alzino, entrino, lavorino in classe e poi lavorino anche successivamente. Dentro, come in tutte le categorie, ci sono gli sfaticati ed anche gli ignoranti, naturalmente, che sono stati fortunati, ma deprezzare questo giacimento, secondo me, è un errore”.