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Bisogna allargare la platea dei bonus per le auto o l’elettrico resterà una chimera | Lo scenario

Il mercato dell’auto sta cambiando sotto la spinta di leggi che impongono una transizione decisa, ma l’Italia resta ancora indietro rispetto al resto dell’Europa. La quota mercato dei modelli a zero emissioni nel Paese ha raggiunto appena il 3,1%, contro il 12,1% della Ue. Nel 2022 l’incremento registrato nell’Unione ha toccato il 28%, nonostante il contributo modesto, per non dire negativo, dell’Italia che ha addirittura segnato un -26%.

Il dato preoccupa in prospettiva perché la nostra resta una delle cinque maggiori piazze continentali per il commercio automobilistico. E Bruxelles spinge per il taglio netto delle emissioni, con un crono programma fissato da tempo: stop alla vendita dei motori termici dal 2035 (slittata recentemente su pressione anche dell’Italia); da lì in poi saranno commercializzati solo veicoli a batteria. L’obiettivo finale, si legge su L’Economia del Corriere della Sera, è rendere climaticamente neutra la Ue nel 2050 e il focus resta la mobilità. Su cui si concentrano gli sforzi dell’industria di settore per rispettare le scadenze, e quelli dei governi ma con evidenti distinguo.

I Paesi del nord Europa come Norvegia, Svezia e Olanda, storicamente più sensibili alle spinte ecologiche, hanno intrapreso questo cammino con largo anticipo, investendo in infrastrutture e incentivi, e la diffusione delle auto elettriche è una realtà consolidata. Altre nazioni, inclusa l’Italia, hanno invece parecchia strada da fare. Il ritardo nell’adeguamento richiesto da una simile trasformazione ha più ragioni. Mancano le infrastrutture, malgrado gli sforzi compiuti negli ultimi anni (a oggi si contano 36 mila 772 punti di ricarica, a macchia di leopardo e senza una reale pianificazione). E gli incentivi destinati all’acquisto dei modelli elettrici sono rimasti in larga parte inutilizzati: a fine febbraio era ancora disponibile il 95,2% dello stanziamento destinato all’acquisto di auto con emissioni di CO2 da 0 a 20 grammi per chilometro.

Il mercato è lo specchio di questa situazione. L’offerta ha ormai superato gli 80 modelli elettrici, ma il loro prezzo d’acquisto supera nella maggior parte dei casi i 30 mila euro (solo una dozzina o poco più è sotto di questa soglia). L’alto costo d’acquisto è un freno oggettivo, come il mancato adeguamento fiscale per le auto aziendali, richiesto dall’Unione dei costruttori europei (“Serve modulare detraibilità Iva e deducibilità dei costi in base alle emissioni di CO2”, ha ribadito il presidente dell’Unrae Michele Crisci), insieme all’inclusione di tutte le persone giuridiche tra i beneficiari degli incentivi.

Ampliando la platea dei destinatari si potrebbe dare una scossa alle vendite di auto elettriche, il cui prezzo resta proibitivo per molti privati. I risultati di questa politica si riflettono in negativo sulle immatricolazioni: nel 2022 la vendita dei modelli a gpl ha superato di gran lunga quella degli elettrici: +10,2% (contro il -26% di quest’ultimi). Segno che costi e semplicità d’impiego pesano parecchio nelle scelte del pubblico.

A febbraio il mercato ha confermato la ripresina partita da agosto (sette mesi consecutivi di segno positivo), le elettriche hanno fatto un balzo avanti (+20,8% da gennaio), ma la loro quota resta marginale; il pubblico punta sulle ibride (+25% nei primi due mesi), destinate anch’esse a sparire dai listini, se la scadenza del 2035 sarà confermata. E qui si arriva al nodo del fronte della politica, meno compatto nel decretare la fine dei motori tradizionali. La Germania, sostenuta dall’Italia e dalla Polonia, chiede di lasciare in vita oltre il 2035 i motori tradizionali, se in grado di funzionare con i carburanti sintetici, ricavati da fonti alternative alle fossili. Ma questi carburanti, al momento, sono costosi da produrre e non si sa se l’industria petrolifera sarà in grado di soddisfare tra 12 anni le esigenze del trasporto privato.

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