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[L’analisi esclusiva] L’incubo della ripresa a forma di Kappa: l’industria tiene e i servizi crollano

Nell’alfabeto degli economisti è comparsa una nuova, temutissima, maiuscola: K. Finora, ci si era interrogati sulla speranza di una ripresa economica a V, la sigla del Grande Rimbalzo. Si temeva, però, una più faticosa U, con l’economia che riparte dopo un più o meno prolungato ristagno. Il rischio peggiore era la L, il crollo della pandemia che si perpetua in una gelata dell’attività. Il rischio tuttora presente è, invece, la W: una breve ripresa, che una recrudescenza dell’epidemia traduce in un nuovo crollo. Ma se fosse, piuttosto, K: una parte dell’economia in ripresa, un’altra che continua a precipitare? Al momento, questa è la situazione in Italia, con l’industria manifatturiera che riparte e i servizi che, al contrario, languono. All’estero, sono i diversi settori industriali che mostrano andamenti divergenti. Il risultato, un po’ in tutta Europa, è che le speranze di luglio si sono raffreddate ad agosto: stiamo vivendo un mezzo rimbalzo.

L’elemento decisivo resta la prospettiva della pandemia. Lo scenario di questi giorni, nei porti di sbarco dalla Sardegna e più in generale nell’onda di ritorno dalle vacanze dà corpo alla paura, mai sopita, del ritorno dei contagi. Non c’è bisogno di tornare alle cifre angoscianti di primavera. Ma, alla vigilia della riapertura delle scuole, basta il riemergere, magari strisciante, del virus. Lo spiegava la Banca d’Italia, nell’ultimo Bollettino economico di luglio, illustrando uno scenario negativo, sempre più credibile: “Protrarsi dell’epidemia e necessità di contrastare nuovi focolai, con ripercussioni sulla fiducia e sulle decisione di spesa delle famiglie e di investimento delle imprese, cali consistenti nel commercio mondiale e forte deterioramento delle condizioni finanziarie”. I 200 miliardi di euro e passa del Recovery Fund europeo arriveranno solo fra un anno o poco meno, troppo tardi per contrastare questo scenario “avverso”. L’impatto, dunque, sarebbe pesantissimo. Il crollo economico dell’anno del virus non sarebbe più di poco inferiore al 10 per cento, come nel caso di una epidemia sostanzialmente sconfitta, ma si aggraverebbe al 13,5 per cento. E, l’anno prossimo, la ripresa, pur da condizioni peggiori, sarebbe più stentata: un Pil che non ce la fa a risalire del 4,8 per cento, ma si fermerebbe al 3,5 per cento. L’Italia resterebbe quasi inchiodata giù, dove è scivolata quest’anno.

Il timore – non solo per l’Italia, ma per tutta l’eurozona – è trasparente già nei verbali dell’ultima riunione (a luglio, ma pubblicati ora) del board della Bce. A Francoforte, già avvistavano una ripresa della produzione e dell’attività che, però, faticava a tradursi in posti di lavoro, anche prima che l’ombra del contagio tornasse ad incupirsi. E, se non riparte l’occupazione, non riappare la fiducia degli investitori e la domanda dei consumatori che diano corpo e consistenza alla ripresa. Tanto più che, in tutta Europa, l’autunno vuol dire anche l’esaurirsi delle misure di sostegno a lavoratori ed imprese che, finora, hanno impedito agli effetti delle quarantene di manifestarsi pienamente. Fra aprile e giugno, il lockdown è costato 4,5 milioni di posti di lavoro, 600 mila solo in Italia. Senza cassa integrazione e senza ripresa, questi numeri potrebbero raddoppiare.

E, allora, l’ottimismo del ministro dell’Economia, Gualtieri, convinto che l’Italia possa cavarsela meglio di quanto temuto? E’ qui che entra in gioco la K. I dati dicono che, finita la quarantena, l’Italia industriale è ripartita anche più velocemente del resto d’Europa e, ad agosto, sta ancora accelerando. Ma tutto questo non si sta traducendo, per ora, in occupazione, come teme la Bce e riguarda, sostanzialmente, solo l’industria manifatturiera, che non è più – da molto tempo – il grande serbatoio di posti di lavoro. Stentano, invece, dice l’Istat, i servizi, dal commercio al turismo, che sono il grande volano dell’occupazione. Decisivo, per capire che autunno ci aspetta, sarà valutare come è andato il turismo che, da solo, rappresenta un sesto dell’economia italiana.

Le presenze straniere sono crollate, ma quelle degli italiani – come confermano anche gli aneddoti quotidiani – sono aumentate. Il Fondo monetario internazionale calcola che, nel suo insieme, il turismo italiano subirà un colpo largamente inferiore a quello spagnolo e anche a quello austriaco. I minori arrivi dall’estero verrebbero compensati, anche se solo in parte, da meno partenze di italiani per l’estero: nel complesso, ci perderemmo 17 miliardi di euro, l’1 per cento del Pil, forse meno di quanto temuto.

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