A differenza di altre crisi economiche, questa, frutto della pandemia, ha colpito duramente il settore dei servizi e, tutto sommato, ha avuto un impatto modesto sul settore manifatturiero. Il Covid è stato un acceleratore di tendenze già in corso da anni, non un punto di rottura. Per esempio, la digitalizzazione delle nostre economie e società era già realtà, il lavoro da casa come lo studio a distanza non hanno fatto altro che agganciarsi al fenomeno e portarlo a un livello superiore.
La moria di piccole attività commerciali sconfitte dal commercio online era in corso da anni. Così come la transizione energetica e il crescente impegno verso la stakeholder value (in pratica l’adozione dei criteri Esg sia da parte delle imprese sia da parte dei mercati finanziari) che va affiancandosi sempre più alla shareholder value se non addirittura a sostituirla. Il rallentamento nel processo di globalizzazione era in corso almeno da un lustro se non di più, l’interruzione delle supply chain durante il lockdown non ha fatto altro che imprimere una forte accelerazione al fenomeno.
Questa interruzione non è solo dovuta alle misure restrittive della libertà individuale e alla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, ma anche dalla volontà di mettere in sicurezza le forniture. La sicurezza della fornitura oggi vale di più del prezzo pagato per averla. Questo è un cambio strutturale che avrà conseguenze importanti sulla struttura industriale e sul commercio del mondo negli anni a venire.
Il 2020 ha anche confermato alcuni mutamenti nei rapporti di forza geopolitici ed economici che erano già visibili. Il baricentro geopolitico si è definitivamente spostato in Asia, il Medio Oriente conta sempre meno e l’Europa fatica a essere una voce unica nello scacchiere internazionale. Assistiamo allo stesso spostamento in ambito economico. La Cina ovviamente è la potenza dominante in Asia, ma la sua sfera di influenza si estende oramai anche fuori dal continente, basta vedere per esempio il ruolo di aziende cinesi in Africa e Sud America.
Passando dall’economia alla risposta dei policy maker alla crisi sanitaria ed economica non possiamo non rimarcare come il 2020 rappresenti un cambio di rotta molto importante. Alla reazione immediata e poderosa delle banche centrali si è affiancata per la prima volta da decenni una risposta altrettanto poderosa dei governi che hanno inondato i paesi di sostegni, sussidi e agevolazioni in misura sinora inimmaginabile.
Basta solo ricordare che il deficit spending del 2020 ha aumentato il debito pro-capite negli Usa di 12.000 dollari e anche la frugale Germania lo ha aumentato di 5.000 dollari. Ovviamente, vista la situazione pregressa, l’aumento italiano è stato minore, solo 4.000 dollari pro-capite. L’unica eccezione è stata la Cina, che non ha fornito né supporto monetario né fiscale alla propria economia, che si è riportata velocemente in territorio di crescita positiva in modo autonomo.
E i mercati finanziari? Qui le sorprese non sono mancate. Coloro i quali nelle tre settimane di crollo dei mercati (un crollo fra il 30 e il 50%) non hanno reagito in preda al panico oggi possono considerarsi soddisfatti per le performance realizzate. I mercati finanziari seguono un corso che spesso li porta molto distanti dalla realtà economica.
Oggi il rapporto capitalizzazione di borsa del mercato Usa rispetto al PIL, il famoso Buffett ratio, è ai massimi storici e si fatica a comprenderlo guardando allo stato in cui versano molti settori e alle sofferenze di una larga fetta della popolazione. Forse sarà il caso di prendere coscienza che nel mondo globale e digitalizzato di oggi le crisi saranno più frequenti, più violente e più concentrate che nel passato.








