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[L’analisi esclusiva] Aumentare il debito e puntarte sulla crescita. La scomessa rischiosa dell’Europa. Mentre l’Amercia investe il triplo in aiuti e incentivi

Poteva andare peggio.

In autunno, con la seconda ondata della pandemia addosso e il ricordo della prima ancora fresco, gli economisti avevano bruscamente tagliato le previsioni per il 2021. Invece, l’industria è stata risparmiata dal lockdown, le famiglie sembrano aver preso le misure alle quarantene: il risultato è che il quarto trimestre del 2020 non ha visto il crollo temuto.

Probabilmente, sommando l’andamento comunque negativo di fine anno e quello ugualmente sottozero di questo inizio 2021, torneremo a parlare di recessione.

Ma i danni minori del previsto della seconda ondata, fanno partire il nuovo anno ad un livello più alto, consentendo di ritoccare all’insù le previsioni 2021.

Siamo ben lontani dalle speranze contenute nei documenti del governo dello scorso settembre: l’economia non crescerà né del 6, né del 5 per cento.

Però, almeno, più del 3. Anzi, 3,4 per cento secondo l’ufficio studi di Unicredit che, a Natale, fermava la previsione al 2,8 per cento. Per il governo Draghi all’orizzonte, una piattaforma più solida per tentare un rilancio.

Potrebbe essere più solida? Più o meno, quello che vale per l’Italia vale un po’ per tutta l’eurozona, dove la crescita 2021 dovrebbe risultare di mezzo punto superiore a quanto previsto ancora a novembre.

Ma il contrasto con quanto vediamo dall’altra parte dell’Atlantico è stridente. Sempre a stare ai calcoli di Unicredit, la crescita Usa 2021, cifrata a novembre al di sotto di quella europea, ad un magro 1,8 per cento, schizzerà al 4,8 per cento, un balzo di quasi tre punti.

Un’accelerazione interamente dovuta ai massicci programmi di stimolo fiscale propugnati dalla nuova Casa Bianca di Joe Biden, che fanno apparire modesti gli sforzi della Ue.

E’ la seconda volta nel giro di poco più di dieci anni che le strade, di qua e di là dell’Atlantico, si dividono nettamente.

Nel 2009, mentre Obama si imbarcava in una campagna di salvataggi e stimoli, l’Europa si chiudeva nel recinto dell’austerità. Ne paghiamo ancora oggi le conseguenze.

Rispetto al 2008, il Pil americano, al netto dell’inflazione, è cresciuto del 25 per cento. Quello europeo del 10 per cento.

Succederà lo stesso anche dopo questa crisi?

Di fatto, la pandemia sta pesando sull’economia americana – in termini di riduzione delle potenzialità di sviluppo – in misura sostanzialmente analoga a quanto sta avvenendo in Europa.

Ma, fra l’ultimo Trump e il nuovo Biden, i programmi di aiuti, incentivi, investimenti messi in cantiere negli Usa valgono il triplo di quelli adottati dalla Ue. Non solo.

Mentre la Casa Bianca si prepara a pompare più soldi nell’economia di quanto fatto nel 2020, in Europa ci si prepara a fare il contrario, cioè a rallentare il ritmo. In Italia, ad esempio, nel 2020 il governo ha riversato 115 miliardi di euro nell’economia.

Quanti ne arriveranno nel 2021?

Di fatto, ridurre il contributo pubblico equivale ad una stretta, paradossale quando si ha di fronte una economia in ginocchio.

Sono problemi che Draghi conosce bene.

Come presidente della Bce, ha più volte insistito sulla necessità che i governi intervengano con decisione a sostenere l’economia, evitando di lasciare tutto il peso del sostegno sulla banca centrale.

Sia perché anche i bazooka della Bce hanno dei limiti, sia perché una politica prolungata di tassi zero finisce per incidere sui profitti e, dunque, sui bilanci delle banche, rendendole più guardinghe nella concessione e nella gestione dei prestiti alle aziende.

Il problema è che gonfiare i disavanzi pubblici fa esplodere il debito.

Quello italiano si avvia a superare il 160 per cento del Pil. Oggi, nessuno ci fa caso, domani questo stock di debito potrebbe allarmare i mercati.

L’antidoto più sicuro è far correre l’economia: se il Pil cresce più in fretta del debito, il rapporto che inquieta i mercati si riduce.

La scommessa rischiosa si riassume così: aumentare il debito ora, calcolando che il conseguente sviluppo dell’economia lo ridurrà in futuro.

Non siamo gli unici, del resto, a fronteggiare scommesse rischiose.

Anche gli americani hanno la loro.

Il problema, negli Usa, non è il debito: illustri economisti avvertono che un programma di stimolo fiscale della portata prevista dalla Casa Bianca può riaccendere l’inflazione, costringendo, alla fine, la Fed ad alzare i tassi, soffocando l’economia.

Lo spettro di una crisi finanziaria di qua dell’Atlantico, di una recessione dall’altra parte.

E’ il segno dei tempi che l’economia, un po’ dappertutto, si trovi a percorrere un sentiero sempre più stretto, in precario equilibrio fra due baratri.

In materia di illustri economisti, però, c’è chi invita a farla corta. E’ stato il premio Nobel Paul Krugman a dire che quella con la pandemia è una guerra. E, in guerra, prima si vince, poi si fanno i conti.

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