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[L’intervento esclusivo] Francesca Ventura (docente e agrometeorologa): «L’agricoltura è vittima e causa del cambiamento climatico. Attraverso azioni di mitigazione e adattamento può esserne anche la soluzione»

Francesca Ventura, agrometeorologa e docente presso l’Università di Bologna, ha rilasciato, in esclusiva all’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia, alcune dichiarazione nel webinar dal titolo “Cambiamenti climatici, agricoltura e food”. L’evento, moderato da Antonello Barone, ideatore del Festival del Sarà, ha visto come ospite anche Andrea Segrè, agronomo, economista e docente di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna.

Come impatta il cambiamento climatico sull’agricoltura? E quali politiche di mitigazione e adattamento sono immediatamente necessarie per poter fronteggiare quest’emergenza che ormai stiamo vivendo quotidianamente?

«Innanzitutto, voglio focalizzarmi sul fatto che l’agricoltura è sicuramente al focus del cambiamento climatico, perché in gran parte oltre a esserne la vittima ne è anche la causa. Questa che vedete [grafico] è la ripartizione a livello globale di quelli che sono i maggiori emettitori di gas serra. Vedete che l’agricoltura, in tutte le sue accezioni – quindi cambiamento di uso del suolo, deforestazione, etc – è responsabile di circa il 18% delle emissioni. Se poi consideriamo anche la produzione del cibo, il suo trasporto, etc. arriviamo anche al 26%. Sicuramente l’agricoltura ha una parte importante in questa situazione del cambiamento climatico. Dall’altra parte, sappiamo anche bene che l’agricoltura è vittima delle trasformazioni che stiamo vedendo. Vedremo poi più avanti che può essere anche la soluzione».

«Agricoltura è produzione di cibo, anche per questo motivo bisogna ridurre le emissioni, ma lo si può fare fino a un certo punto, perché non si può esimersi dal produrre il cibo. Questo cibo deve essere nelle giuste quantità e del cibo di qualità, e il cambiamento climatico impatta in tutti e due questi aspetti. Che cos’è del cambiamento climatico che da fastidio? L’aumento delle temperature e la diversa distribuzione delle precipitazioni, quindi una maggiore variabilità delle precipitazioni. Possiamo parlare proprio di eventi estremi, cioè l’estremizzazione di questi due aspetti, impatto notevolmente nell’agricoltura. Nei confronti di questi eventi estremi bisogna fare sicuramente dell’adattamento. Bisogna cercare di capire come continuare a produrre cibo di qualità in quantità nonostante tutto».

«Si può fare anche attraverso l’agricoltura della mitigazione. Si può andare a cercare di ridurre le emissioni, a sottrarre C02 dall’atmosfera. Andando un po’ indietro, se possibile, rispetto alla situazione che abbiamo adesso. Questa è la mitigazione. L’agricoltura, quindi, è sia vittima, che causa, che soluzione, in parte, del problema».

«Gli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura sono numerosi. I principali, secondo me, sono il decadimento della qualità anche dei prodotti. Più specificamente, la variazione della vita delle piante, dei cicli colturali, ma anche dei cicli naturali. Questo ha numerosi risvolti negli ecosistemi. Ci sono anche delle opportunità, come la maggiore durata della stagione di crescita. Quindi, posso provare a coltivare cose diverse o più cose nello stesso periodo. Aumento di danne dalle gelate, aumento di fabbisogno irriguo, torneremo su queste cose».

«Voglio sempre far notare il discorso degli insetti. Molto spesso si parla di api e delle difficoltà che incontrano nel nuovo clima. Si sta verificando un diverso adattamento delle api e delle piante al nuovo clima. Questo fa sì che ci sia una mancanza di sincronizzazione tra gli impollinatori e le piante. Quindi, quando le api si mettono a bottinare, gran parte delle fioriture ci sono già state. Quindi, vedete, ci sono tanti gli aspetti che entrano in gioco e che variano nel nuovo clima».

«In questi giorni, o meglio negli ultimi mesi, sentiamo parlare moltissimo di siccità. Si sono fatti molti studi su come evolverà il problema della siccità. In questo caso si tratta di studi europei, [slide] questa è una mappa dell’indice di severità delle condizioni di siccità, ed è più o meno a metà di questo secolo rispetto alla situazione precedente del vecchio clima. È anche molto interessante vedere come non ci sono solo zone che avranno condizioni molto più asciutte, ma ci saranno anche zone dove ci saranno condizioni molto più umide e con eccessi di precipitazione. Come dicevo, l’impatto può essere da entrambi i fronti e quindi non saremo gli unici ad avere problemi».

«La siccità che viviamo adesso non è una cosa episodica, è una cosa che verrà fuori sempre di più, strutturale. Bisogna affrontarla con questa idea. Sono stati fatti anche studi per capire quali sono gli impatti diretti sull’agricoltura e, data la grande quantità di cose che comprende l’agricoltura in quanto sistema complesso, quindi in realtà questa mappa dell’Italia ci consola, ci fa pensare in modo non completamente negativo. Questa è una previsione delle rese, attorno al 2050, con lo scenario emissivo più pessimistico. [Slide] Vedete che queste mappe non sono completamente rosse, che significherebbe un decremento delle rese».

«Diciamo che con i cereali vernini c’è frumento, sostanzialmente, continueremo a cavarcela, anche se non in tutte le zone dell’Italia nello stesso modo, ma potremmo continuare a produrre. Quello che ha, già da adesso e sicuramente in futuro dei grossissimi problemi è il mais: [slide] vedete che la mappa è completamente rossa. Questo ci dice che è necessario cambiare. Quindi da un certo punto di vista la scienza ci da già delle indicazioni molto precise, gli agricoltori fanno un po’ fatica a prenderne atto, però è necessario fare qualcosa di diverso e questa mappa ce lo dice».

«[Slide] Questa, invece, è la previsione delle rese per l’anno in corso, presa da JRS, un organismo internazionale -europeo che si occupa di tante cose, tra cui anche il monitoraggio di quello che succede in agricoltura. A livello europeo, a fronte di una mappa degli eventi estremi di questa primavera, quindi con zone troppo fredde, zone siccitose, zone troppo calde. Sicuramente c’è preoccupazione sia per le rese delle colture primaverili e per quelle anche invernali. E quindi ci saranno già, e questo ce lo conferma, problemi di approvvigionamento».

«Fatta questa rapida panoramica su quello che sta succedendo, quello che potrebbe succedere e che ci che succederà, che cosa si può fare. In realtà si può fare molto. Abbiamo già parlato di mitigazione e adattamento nei webinar precedenti. Mi focalizzerò su mitigazione e adattamento esattamente in agricoltura. Mitigazione sono tutti quegli interventi atti non solo a ridurre le emissioni da parte dell’agricoltura, ma anche a sequestrare – si dice in termine tecnico – cioè togliere di mezzo, nascondere sotto il tappeto, la C02 che c’è già in atmosfera. Le piante lo fanno già, prendono C02 dall’atmosfera e la trasformano in biomassa vegetale. Questo è quello che vogliamo fare ancora di più».

Professoressa, abbiamo visto che alla fine c’è un po’ di speranza. E l’agricoltura può diventare addirittura un fattore che opera per la mitigazione a favore della resistenza dell’uomo a questo cambiamento climatico. Può diventare una chiave di volta l’agricoltura per cercare di sopravvivere e far sopravvivere la nostra specie negli anni a venire?

«Deve diventarlo per svariati motivi. Innanzitutto, perché è più facile fare mitigazione tramite l’agricoltura. Di tante tecnologie di mitigazione e di sottrazione della C02 dall’atmosfera si parla, ma in realtà o sono sperimentali o sono ancora nella fantasia degli scienziati o nelle intenzioni degli scienziati. Mentre l’agricoltura fa mitigazione, cioè sottrae C02 dall’atmosfera nella sua natura da sempre. Chiaramente bisogna fare azioni specifiche, concentrandoci su questo aspetto. Adesso vi faccio qualche esempio di mitigazione, perché ci sono molte possibilità».

«Tante azioni di mitigazione sono contemporaneamente di adattamento, il confino è labile. Molte azioni di adattamento e mitigazione vanno nella direzione della sostenibilità; quindi, spesso sono comunque delle azioni di tipo win win, cioè si ottengono dei buoni risultati sotto più aspetti. Vi faccio alcuni esempi. Fondamentalmente la pianta sottrae carbonio dall’atmosfera e lo mette nei suoi organi vegetali, le foglie e i frutti. Dopodiché questo carbonio rientra nel circolo. Se io produco delle biomasse per utilizzarle per l’energia il ciclo del carbonio nettamente sarà pari a zero, cioè lo tolgo dall’atmosfera e poi ce lo rimetto».

«Quindi per fare della buona mitigazione bisogna sequestrarlo questo carbonio, cioè tenerlo fermo da qualche parte, per esempio nei tronchi degli alberi. In questo sicuramente è un punto, ma c’è molto lavoro sul sequestro del carbonio nel suolo. Qui ci sono diverse possibilità, alcune veramente molto vincenti. Per esempio, tutti i resti zootecnici possono essere trattati, utilizzati per diventare qualche cosa che sostituisce i fertilizzanti chimici; quindi, non si fanno emissioni da quel punto di vista e va a restituire sostanza organica nel terreno, dove in parte rimane».

«Oppure il meccanismo di rimescolare il terreno coperto di vegetazione per più tempo possibile anche quando non c‘è una coltura in atto. Raccolgo il frumento a giugno, poi dopo semino il sorgo a marzo dell’anno successivo. Cosa succede in questo periodo di tempo? Se io tengo lì della vegetazione che poi rimescolo nel terreno, a questo punto quel carbonio che quella vegetazione ha sottratto all’aria l’ho sequestrato, migliorando peraltro il terreno e le sue qualità. Ci sono diversi aspetti che sequestrando carbonio nel terreno io riesco a migliorare».

«Volevo parlarvi del biochar che è un ammendante. È diventato un ammendante da poco tempo grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori qui in Italia. Il biochar altro non è che la carbonella del barbecue. Non so se sapete come si fa il carbone: si pirolizza, cioè si produce energia dalla legna senza fuoco, quindi senza liberare C02 nell’atmosfera, il carbonio rimane tutto nella carbonella (che tecnicamente chiamiamo biochar)».

«Quindi si è prodotta energia, si è fatta un’emissione zero carbonio, e contemporaneamente si è creato questo carbone che può essere messo nel terreno, soprattutto in certi terreni, migliorando la struttura. Fa sì che riesca a gestire meglio l’acqua, ci crescono meglio tutti quegli organismi che vivono nel terreno rendendolo più fertile e quel carbonio che abbiamo messo nel terreno rimane lì, praticamente per sempre, inerte. Anche questo è un metodo, tutto sommato semplice, e adesso è possibile farlo, la legislazione lo accoglie, ma è molto poco conosciuto e pochissimi agricoltori lo fanno. Quindi ci sarebbe bisogno di un impulso da parte della politica, delle Regione, di un sostentamento verso questo tipo di attività».

«Un’altra cosa di cui parlo volentieri recentemente è l’agri-voltaico. Anni fa si vedevano questi campi fertilissimi, nella Pianura Padana o nelle splendide colline delle Marche – da cui io vengo – ricoperti di pannelli solari e questi mi dava veramente molto fastidio. Perché dei pannelli solari c’è sicuramente bisogno, mio io mi dicevo perché non li mettiamo sui tetti delle palestre e dei supermercati? Perché li mettiamo in campagna? Adesso invece si è capito che devono coesistere le due cose su due piani diversi. Cioè, sotto c’è l’agricoltura, sopra c’è il pannello fotovoltaico. Cosa fa questo pannello? Ombreggia. Ma questa non è una cosa negativa, anzi si sta proprio studiando che è una cosa positiva, perché con questi eccessi di temperatura un po’ di ombreggiamento fa bene».

«Quindi le piante in realtà stanno meglio. Si crea sotto un microclima più protetto, che è favorevole. È chiaro che non posso metterci sotto il mais o per qualcosa per cui devo usare le grandi mietitrebbie. Ho bisogno di utilizzarlo per cosa? Sui frutteti per esempio, o nelle orticole, oppure per le pecore. Sull’agri-voltaico adesso c’è un grande interesse, c’è molta ricerca e deve dire che nell’ultima Pac sembra che ci siano degli aiuti agli agricoltori in questo senso e questo è importante. Gli agricoltori si interessano e quindi poi capisco che se c’è qualcosa che bolle in pentola. Per forma mentis l’agricoltore si adatta, perché è abituato ad avere a che fare con il meteo. Adesso il cambiamento è climatico, non è la variabilità meteorologica. Ma è comunque qualcosa di cattivo che arriva dall’esterno. Però deve anche avere la direzione. Spesso gli agricoltori ci chiedono aiuto».

«L’Ispra, un organismo del governo italiano che si occupa di monitoraggio dell’ambiente, ci dice che tutto sommato l’agricoltura in Italia si sta comportando bene, perché c’è un calo già delle emissioni per una razionalizzazione, per esempio, anche solo del parco macchine. È una diminuzione dei trattamenti e delle lavorazioni, però la maggior parte delle emissioni vengono dagli allevamenti. Questo è noto al grande pubblico. Delle volte si sente colpevolizzare chi mangia la carne, e questo secondo me è sbagliato. Quello che bisogna fare è lavorare di più per diminuire le emissioni da parte degli allevamenti e devo dire che c’è moltissima ricerca in questo senso. È anche più efficiente. Avere meno emissioni significa, probabilmente, che anche l’animale sta meglio. Quindi nuove diete, nuove tecniche di trattamento dei reflui e nuove tecniche di allevamento. Questa sarebbe la mitigazione che serve per quanto riguarda gli allevamenti».

«L’ultimo argomento che voglio toccare per quel che riguarda la mitigazione che può fare l’agricoltura è la forestazione, in generale, ma soprattutto urbana. Perché se ne parla tanto? Recentemente, qualche mese fa, qualcuno in Europa ha detto che per combattere il cambiamento climatico sarebbero stati piantati mille miliardi di alberi. Allora, io lavoro ad agraria da tanti anni, ma sono fisico di formazione, la prima cosa che ho fatto è stata fare i conti. Dove li mettiamo questi mille miliardi di alberi? Ed è evidente se si fa un calcolo ci si rende conto che è un numero sparato a caso. Mi domandavo anche chi li produce? Quale vivaio produce mille miliardi di alberi?».

«Ciò non toglie che sia verissimo: è importante forestare, con le specie giuste, nei luoghi giusti, con i giusti numeri, anche in città. Perché il microclima urbano sta diventando veramente pessimo con queste ondate di calore e gli alberi rinfrescano, ombreggiano e filtrano, intrappolano le polveri, hanno moltissime qualità nel microclima urbano. Ma non bisogna assolutamente fare quello che vedere nella foto a destra [slide], cioè vanno installati nella maniera giusta, seguiti e in questo modo diventa qualcosa che il cittadino guarda con piacere e capisce che è stato fatto un buon intervento. Qui mi rivolgo direttamente al legislatore, per favore pensate a quello che dite non sparate numeri a caso, ma soprattutto quando è il momento di farlo, fatelo chiamando le persone che lo sanno fare. Non è una critica, ma si vede che c’è questa necessità».

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