Alla fine di questo mese, più probabilmente nei primi giorni di febbraio, il governo Meloni presenterà in Parlamento la relazione semestrale sullo stato di avanzamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
L’ultimo aggiornamento dell’Ufficio parlamentare di bilancio – risale al 26 novembre – dice che l’Italia fin qui ha speso solo 28 dei 191 miliardi di euro a disposizione, circa il 15 per cento delle risorse a disposizione entro agosto 2026.
A palazzo Chigi, scrive La Stampa, sono convinti che una volta incassato il sì di Bruxelles alla revisione del Pnrr, il motore della spesa andrà a pieno regime.
Se il Piano fin qui non ha funzionato a dovere – questa la tesi del governo – è perché al suo interno c’erano diversi problemi da risolvere.
Uno dei problemi effettivamente ereditati dai governi Conte e Draghi sono le spese concesse a Comuni piccoli e grandi, spesso incompatibili con le finalità del Piano voluto dall’Unione.
La revisione voluta alla fine dell’anno scorso dal dipartimento del ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ha tagliato circa dieci miliardi a disposizione dei Comuni, sei dei quali per opere di entità spesso irrisoria (sotto i centomila euro) o per progetti che si sono rivelati incompatibili, come l’ammodernamento degli stadi di Firenze e Venezia.
Di questi dieci miliardi, circa tre sono già stati spesi o impegnati dai sindaci.
Un problema non da poco, che ha costretto i primi cittadini a fermare tutto in attesa di una decisione.
La faccenda ha creato frizioni fra le strutture di Fitto e del Tesoro, i cui poteri sul Pnrr sono stati avocati a palazzo Chigi.
Fin qui per finanziare i progetti il governo ha attinto ai fondi del Piano nazionale complementare, il serbatoio nazionale da trenta miliardi che si aggiunge ai 191 concessi dall’Europa.
Già dallo scorso autunno, a fronte della richiesta delle strutture tecniche del Tesoro di controfirmare l’utilizzo di quei fondi, Fitto ha bloccato tutto in attesa della revisione del Piano.
A dicembre l’Associazione dei Comuni (Anci) ha chiesto una soluzione, che Fitto promette nel decreto di attuazione del “nuovo” Piano, promesso entro questo mese.
A ogni pressione per sbloccare fondi di parte corrente del Tesoro, Giorgetti ha fin qui obiettato di non essere in grado di mettere a disposizione nulla.
“Soldi non ce ne sono”, ha detto più volte nelle riunioni tecniche.
Secondo quanto riferiscono ora fonti di Palazzo Chigi, la soluzione sarà trovata un altro serbatoio di fondi pubblici, ovvero il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc).
Quest’ultimo vale di qui al 2027 ben 32 miliardi, venti dei quali vanno alle Regioni.
“Ci sono quasi dodici miliardi a disposizione che possono essere assegnati dal governo con delibere del Comitato per la programmazione economica (Cipess)”, spiegano le fonti.