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Stavolta in Europa le cicale battono le formiche: ma c’è poco da gioire | L’intervento di Guido Salerno Aletta

Anche l’ultimo trimestre del 2023, come già il precedente, ha fatto registrare nell’Unione Europea una crescita complessivamente pari a zero, in rallentamento rispetto al +0,1% registrato nei primi due trimestri dell’anno: un continente immobile, nella media tra i Paesi che hanno visto la propria economia contrarsi e i Paesi caratterizzati da una dinamica appena percettibile.

Questi ultimi, infatti, hanno avuto tutti una crescita abbondantemente sotto l’1%.

Va dunque rivisto, visti i tempi che corrono e soprattutto le prospettive che si intravedono, il lessico con cui negli scorsi anni si paragonavano le caratteristiche socioeconomiche dei Paesi europei ai comportamenti di talune specie animali, distinguendo quelli più laboriosi e soprattutto cauti nella gestione della finanza pubblica da quelli più spensierati e meno cauti nell’indebitarsi.

Era elogiata la Germania, capofila dei Paesi formica, mentre erano dileggiati con l’acronimo di Piigs i Paesi cicala: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.

In molti si sono infatti sorpresi, di recente, non solo per il fatto che l’emblematica formica tedesca sia entrata praticamente in recessione, quanto per il fatto che i cosiddetti Paesi cicala abbiano invece continuato a segnare una dinamica appena positiva.

Ma, soprattutto, ha stupito la riduzione dello spread rispetto al Bund dei tassi pagati sul debito pubblico dai Paesi formica: una dinamica apparentemente incomprensibile in considerazione della politica monetaria ancora fortemente restrittiva adottata dalla Bce, visto che il valore complessivo dei debiti pubblici dell’Ue è aumentato di 2.379 miliardi di euro tra il 2019 e il 2022, passando da 10.897 a 13.276 miliardi, con un incremento del 22%.

È stato innanzitutto significativo l’andamento del pil negli ultimi due trimestri del 2023: tra le formiche, infatti, la Germania ha registrato addirittura una forte caduta, passando dallo 0 al -0,3%, mentre la Francia ha galleggiato tra lo 0 e il +0,1%.

Le cicale, invece, fatta eccezione per l’Irlanda che è tracollata segnando un -0,8% nel terzo trimestre e un -0,7% nel quarto, hanno registrato tutte incrementi positivi del pil: la Spagna ha surclassato tutti, rispettivamente con il +0,4% e il +0,6% dopo aver incassato un +0,5% in tutti e due i primi trimestri; il Portogallo è rimbalzato dal -0,2% del terzo trimestre al +0,8% del quarto; l’Italia è rimasta comunque stabile nei due ultimi trimestri al +0,2%; infine, anche la Grecia si è risollevata passando dal -0,1% al +0,2%.

Praticamente, fatta eccezione per l’Irlanda, tutti i Paesi cicala hanno performato meglio rispetto alla Francia e alla Germania che da sola, con il suo peso, ha abbattuto la media dell’intera Unione europea.

Il rapporto debito pubblico-pil alla fine del terzo trimestre del 2023 era stato il seguente: tra le formiche solo la Germania ha segnato appena il 64,8% mentre la Francia faceva praticamente il doppio con il 111,9%; invece, pur classificata tra le cicale, la Spagna registrava il 109,8% e dunque un punto in meno rispetto alla Francia, mentre l’Italia con il 140,6% si è classificata al secondo posto dopo la Grecia, in vetta con il 165,5%.

Anche il Portogallo, con il 107,5%, aveva fatto meglio della Francia, mentre la palma d’oro per il Paese di taglia consistente con il rapporto più basso tra debito e pil è spettata all’Irlanda col 43,6%: davvero curioso, per essere compresa tra i Piigs.

Certo, ci sono sempre i Paesi dell’ex blocco comunista a fare bellissima figura, come l’Estonia col suo 18,5%, oppure uno scrigno prezioso come il Lussemburgo col 24,7%, ma dimensionalmente e politicamente pesano assai poco.

Gli andamenti del pil degli ultimi due anni, 2022 e 2023, sono il riflesso dei cambiamenti molto profondi, e talora drammatici, che hanno riguardato il contesto geopolitico europeo e i driver di crescita a medio-lungo termine: è stata soprattutto la Germania, guidata dal cancelliere Olaf Scholz, ad aver ingranato la marcia indietro, diventando l’emblema di un Paese gambero, mentre i Paesi cicala hanno mantenuto pressoché inalterati sia i precedenti modestissimi tassi di crescita che gli elevatissimi rapporti tra debito e pil, diventando a loro volta rappresentabili come altrettanti Paesi lumaca che arrancano.

La Germania, che è stata negli scorsi due decenni la pietra di paragone del sistema europeo come Paese formica, si è trovata all’improvviso nel pieno di una vera e propria bufera che sta squassando il contesto strategico in cui ha operato da decenni: è stata privata delle risorse energetiche a condizioni di estremo vantaggio, il gas che le proveniva dalla Russia attraverso i North Stream, con conseguenze pesantissime sui costi di produzione e dunque sulla competitività in campo metallurgico, chimico e manifatturiero; si trova di fronte alla concorrenza geopolitica della Polonia che, nel mutato clima determinato dalla guerra in Ucraina, ambisce a sostituirla nel ruolo di frontiera e dunque di antemurale dell’Occidente nella costruzione della Nuova Cortina di Ferro che circonderebbe la Russia di Vladimir Putin; è alle prese con la drammatica transizione verso l’auto a trazione elettrica, che ha abbattuto il vantaggio sui motori a combustione interna che era stato costruito in decenni; è incerta circa le prospettive delle relazioni con la Cina, per via della profonda ostilità che ormai da anni viene manifestata da parte statunitense, dopo che a partire dalla crisi dell’Eurozona del 2010-2012 è divenuta il suo principale driver di crescita dal punto di vista industriale e del commercio estero.

Così si spiega il complessivo ripiegamento della crescita tedesca.

Altrettanto si può dire della Spagna, che svetta invece per crescita: il gas proveniente dalla Russia, e che ora manca a tanti Paesi, non l’aveva mai avuto.

Per quanto riguarda la contrazione degli spread pagati sui debiti dei Paesi cicala, va rilevato che non sono questi ultimi che stanno flettendo in termini assoluti, ma che invece sono aumentati meno velocemente di quanto non siano invece cresciuti i tassi sui Bund.

L’innalzamento della soglia di riferimento dello spread, rappresentata dal tasso pagato sui Bund, è stato determinato dalla concorrenza derivante dal sempre maggior rendimento sugli impieghi in dollari che è derivato dalla politica monetaria restrittiva adottata dalla Fed, poi imitata dalla Bce.

Viste poi le condizioni generali al contorno cui si è fatto cenno, la Germania non ha più potuto beneficiare nel piazzamento del suo debito della esiguità dei tassi derivante dall’essere considerata comunque un porto sicuro.

Così in quest’ultimo periodo un po’ tutti gli spread europei si sono progressivamente chiusi, arrivando di recente a 127 punti base per l’Italia, a 73 per la Spagna ed a 45 per la Francia.

Un’inezia, dunque, per l’Italia rispetto al delirio dei 500 punti toccati alla fine del 2011, ai 315 punti del novembre del 2018, ai 240 punti del settembre del 2019 e ancora ai 200 punti dello scorso mese di ottobre.

La Francia, al confronto, è scesa molto meno, passando dai 174 punti del picco di fine 2011, quando l’intera Eurozona era in pieno subbuglio, a un livello che in questi anni si è mantenuto oscillante tra i 30 e i 60 punti base.

Nel frattempo, i debiti pubblici hanno registrato andamenti assai diversi: tra il 2019, alla vigilia della crisi sanitaria, e la fine del 2022, in rapporto al pil sono passati, tenendo conto che il denominatore è stato gonfiato dall’inflazione, dal 61,9% al 66% (+4,1%) in Germania, dal 98,2% al 111,6% in Spagna (+13,4%) e dal 97,4% al 111,9% (+14,5%) in Francia, ma solo dal 134,2% al 141,7% (+7,5%) in Italia.

Al contrario, il rapporto è sceso dal 116,6% al 112,4% (-4,2%) in Portogallo, dal 180,6% al 172,6% in Grecia (-8%) e addirittura dal 57,1% al 44,4% (-12,7%) in Irlanda.

Fatta eccezione per la Spagna, che comunque ha capitalizzato il maggior debito con una crescita più dinamica, i Paesi cicala si sono dimostrati dunque assai sobri.

La metrica complessiva dei rapporti di forza sta cambiando in tutto il mondo, non solo in Europa: molti vantaggi consolidati di alcuni Paesi, come quelli della Germania, sono svaniti trasformandola in un gambero.

Ma ci sono rischi e incertezze per tutti: non rischiano di meno i Paesi lumaca, chiusi come sono nel loro pesantissimo guscio.

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