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Serve una globalizzazione che funzioni (per tutti) | L’analisi di Andrea Boitani su InPiù

La progressiva integrazione economica e finanziaria tra i paesi del mondo, cioè la cosiddetta globalizzazione, aveva generato aspettative molto forti di elevare la crescita e il benessere di tutti, grazie a una più efficiente allocazione delle risorse a livello mondiale. Ma, come ha rilevato anche Mario Draghi nel suo noto discorso tenuto a Washington durante la Nabe economic policy conference, non tutto è andato come sperato. In particolare, si è rivelata eccessiva la fiducia che non sarebbe stato necessario alcun intervento dei governi per realizzare la promessa della globalizzazione di “avere una convergenza armoniosa verso più elevati standard di vita, valori universali e uno stato di diritto a livello internazionale”.

Certo la globalizzazione ha contribuito a far uscire dalla povertà miliardi di persone nei passati 40 anni (800 milioni solo in Cina). Però, l’apertura dei mercati ha beneficiato alcuni molto più di altri, sia nei paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati.

Come rileva Draghi, “nelle economie del G7, le esportazioni e le importazioni totali di beni sono aumentate di circa 9 punti percentuali dall’inizio degli anni ’80 alla grande crisi finanziaria, mentre la quota di reddito del lavoro è scesa di circa 6 punti percentuali in quel periodo”. Si è verificata una perdita di potere contrattuale dei lavoratori “poiché i posti di lavoro sono stati spostati dalla delocalizzazione o le richieste salariali sono state contenute dalla minaccia della delocalizzazione”.

E conclude la sua diagnosi Draghi: “Ne sono seguite le conseguenze politiche. Di fronte a mercati del lavoro fiacchi, investimenti pubblici in calo, diminuzione della quota di manodopera e delocalizzazione dei posti di lavoro, ampi segmenti dell’opinione pubblica dei Paesi occidentali si sono giustamente sentiti ‘lasciati indietro’ dalla globalizzazione”.

Chiaro che un cambio di rotta è necessario e urgente per salvare il buono della globalizzazione e rimuovere (o almeno temperare) i suoi aspetti negativi. Inutile illudersi: non esiste una singola, magica soluzione. Di sicuro, però, non funziona rinunciare alla ricerca di soluzioni. E Draghi non rinuncia, per fortuna.

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