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Sergio De Nardis (economista): «L’inflazione attuale, a differenza di quella degli Anni Settanta, non è spinta dalle retribuzioni anche grazie ai sussidi pubblici»

Ci sono marcate differenze tra l’attuale esperienza di accelerazione dell’inflazione e quelle di inizio e fine anni 70 dello scorso secolo, causate anch’esse da forti shock energetici (allora il greggio, oggi il gas).

La più evidente è la moderazione salariale che, contrariamente al decennio settanta (quando le retribuzioni erano indicizzate), stiamo attualmente sperimentando, come è stato rimarcato anche dal Governatore Visco.

A settembre le retribuzioni contrattuali per dipendente sono risultate ferme rispetto al mese precedente, come già avvenuto in agosto, e in rialzo dell’1,2% rispetto a un anno prima (1,1 quelle orarie).

Questa dinamica tendenziale risulta più forte di quella dei mesi precedenti, ma è 8 volte più bassa dell’inflazione al consumo registrata nello stesso periodo (10 volte, se si considera l’impennata dei prezzi di ottobre). Su queste tendenze incidono aspetti strutturali della contrattazione.

Da un lato i rinnovi, già affetti da ritardi, hanno ulteriormente rallentato (in media circa 34 mesi di attesa per i lavoratori con contratto scaduto), dall’altro, quando essi si verificano, si attengono alle regole dell’accordo del gennaio 2009 che esclude dal negoziato salariale i prezzi dei prodotti energetici importati, cioè quelli che sono alla base della risalita dell’inflazione. Quindi tutto il contrario dell’indicizzazione di un tempo.

Ma non si tratta solo di questo. Le retribuzioni contrattuali crescono anche meno dell’inflazione di fondo e, soprattutto, meno dell’indice dei prezzi al consumo al netto degli energetici importati che l’Istat stima appositamente ai fini della contrattazione (4,7% nel 2022). Segno che c’è dell’altro. Incidono i sussidi governativi volti a contenere gli effetti sui bilanci familiari dei rincari energetici.

Secondo le stime Upb, tali interventi hanno consentito di contenere di circa il 46% l’aumento della spesa delle famiglie indotto dall’inflazione fra giugno 2021 e settembre 2022.

Vi è, però, un ulteriore importante elemento alla base delle dinamiche osservate. Le aspettative di inflazione non stanno seguendo l’accelerazione di quella corrente, influendo anche sulle rivendicazioni retributive.

L’Italia non è un unicum in Europa. Una moderazione delle richieste salariali è osservabile anche altrove e per motivi analoghi a quelli italiani (sussidi e aspettative). Questi fattori portano a differenziare l’attuale esperienza da quella dei precedenti shock energetici.

La Bce per ora li mette tra parentesi, potendo argomentare che il freno delle aspettative è proprio il frutto della sua impostazione.

Resta, quindi, concentrata sulla necessità di mostrare determinazione a rispettare il mandato, causando effetti recessivi più ampi di quelli dovuti al solo shock del gas.

In questo quadro, tuttavia, i rischi di overshooting della politica monetaria si fanno concreti. Una preoccupazione che crea divisioni nella Banca centrale, come dimostrano le chiare differenze di accenti nelle esternazioni dei diversi membri del Board negli ultimi giorni.

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