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Se l’alleanza non risponde, il silenzio non è un incidente ma la scelta di non parlarsi più | L’analisi di Gabriele Segre

Ricorda Gabriele Segre su La Stampa“Henry Kissinger aveva un problema: «Se voglio parlare con l’Europa, non so che numero devo fare». Una battuta che fotografava un’epoca caotica ma raggiungibile.

Oggi al problema del numero si aggiunge quello della volontà di comporlo.

Si possono avere canali aperti e telefoni rossi su ogni scrivania, ma se manca il desiderio di parlare nessuna infrastruttura basta.

Quando squilla, risponde solo una voce registrata: «Il Paese chiamato non è disponibile».

Gli ultimi giorni sono l’ennesimo capitolo di un’incomunicabilità che prosegue da mesi.

Nella nuova Strategia di Sicurezza Nazionale, l’Europa non è un alleato ma una civiltà in declino, incapace di proteggersi.

Non è linguaggio da partner: è parlare di qualcuno, non con qualcuno.

Intanto, a Bruxelles, i ministri degli Esteri Nato discutevano il piano Usa sull’Ucraina: il segretario di Stato non si è presentato, prima assenza in ventidue anni.

E l’Europa apprendeva dai media l’ultimatum americano: assuma il controllo operativo dell’Alleanza entro il 2027, o gli Usa ridurranno il loro ruolo.

Il dialogo transatlantico si è interrotto non per un guasto, ma per scelta.

Eppure quel dialogo è l’alleanza stessa.

Gli interessi cambiano, ma persino la diplomazia più fredda ha bisogno di scambio continuo: senza, nascono sospetti e la tentazione di trattare l’altro come potenziale ostile.

Mentre il telefono resta muto tra Washington e Bruxelles, un’altra linea cade: quella dentro le nostre democrazie.

Parliamo più che mai, ma comunichiamo sempre meno: insulti e urla sui social non sono dialogo.

Negli Stati Uniti metà del Paese non riconosce più l’altra metà; in Europa la polarizzazione trasforma le differenze in sospetti morali.

La crisi tra concittadini e quella tra alleati sono lo stesso fenomeno su scale diverse.

Democrazia e alleanza occidentale vivono finché il dialogo resta aperto, soprattutto quando è difficile.

Quando uno smette di ascoltare, l’altro diventa un bersaglio.

Le linee non cadono di colpo: prima le interferenze, poi la voce spezzata, finché un giorno la chiamata non parte più.

L’Occidente esiste solo se resta la volontà di parlarsi. Possiamo ricomporre il numero e ascoltare ancora, anche quando costa.

Oppure lasciare che il silenzio diventi definitivo. Ma non potremo dire che sia stato un incidente.”

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