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Responsabilità e miliardi del Recovery Fund. La visione di Papa Francesco

Per uscire dalla crisi della pandemia non basta la retorica dei soldi, serve il concorso di tutti e non solo dei grandi gruppi economici. E’ la sussidiarietà. Ce lo ricordano la Costituzione e papa Francesco che di suo ricupera la fraternità della Rivoluzione francese.

Più dei soldi può la sussidiarietà che valorizza tutti e non solo i potenti gruppi economici. Una ciambella di salvataggio per non vanificare le possibilità di una storica ripresa espansiva dell’Italia grazie ai miliardi del Ricovery Fund europeo, nel mezzo di una ingannevole euforia, l’ha gettata papa Francesco. Si sta rivelando l’animatore della speranza in ogni fase della pandemia. Che tiene in serbo  di rimettere nel circolo economico-politico la terza parola kult della Rivoluzione Francese ormai in disuso: la fraternità. Una parola che non ha mai scaldato l’arena politica né la finanza. E neppure i rivoluzionari assorbiti invece da libertà e uguaglianza.

Il prossimo 4 ottobre in Assisi Francesco firmerà la sua terza enciclica per rilanciarla. Fratelli tutti è il titolo del nuovo testo che avrà per tema centrale la fraternità e l’amicizia sociale. Il papa lo va ruminando da parecchio tempo e potrebbe essere non meno innovativo e sorprendente della Laudato si’.

Nel caso Italia, gli interventi di Francesco si rivelano in puntuale sintonia  con i principi fondamentali della Costituzione. Provare per credere, rileggendosi gli articoli 1-12 della Carta. Ma anche diritti e doveri dei cittadini della prima parte (articoli 13-54) sui rapporti civili, etico-sociali, economici, politici. Ultima prova di convergenza si riscontra nel recente ciclo di catechesi che Francesco sta dedicando al tema “Guarire il mondo” trasformato dalla pandemia.

Di soldi il papa non ha ancora parlato, ma lascia intendere che restano uno strumento ambivalente. Affidandosi solamente alla disponibilità economica non si crea un mondo migliore né, tanto meno, una Chiesa migliore. La funzionalità amministrativa è un bene prezioso, ma insufficiente ai fini di una vita più giusta, umana e fraterna. Un supplemento d’anima resta indispensabile per il benessere della società. C’è nell’aria una certa illusorio ottimismo motivato dall’ingente disponibilità dei fondi europei. Il Recovery Fund viene paragonato a un nuovo piano Marshall. Quasi nullo, finora, il dibattito politico sugli ideali e i progetti di Paese cui destinare i fondi attesi, come invece avvenne al tempo della ricostruzione del secondo dopoguerra. Per ora si avverte uno scarso interesse etico, solidaristico e per nulla fraterno nell’impiego del Found. E’ tempo di ragionieri che avvalorano l’idea che tutto con i soldi tornerà come prima, anzi meglio. La Costituzione e Francesco ci avvertono del contrario. I soldi senza uno spirito interiore generoso e giusto fanno male.

L’appello più recente di Francesco per dare un’anima alla ripresa da tutti invocata è nel segno dell’antipigrizia perché richiede a ciascuno di fare la propria parte. Sussidiarietà, dunque, che concorre a realizzare l’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Dato per scontato in teoria, in pratica questo articolo è rimasto ampiamente inapplicato. Praticandolo, sarebbe un’altra Italia che ancora non c’è. Cosa manca? Lo ricordò Aldo Moro in uno degli ultimi discorsi prima del suo rapimento e assassinio nel 1978: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.

A modo suo Francesco sostiene la bontà dell’articolo 3 e ha indicato nella sussidiarietà la via per renderlo effettivo. “Dopo la grande depressione economica del 1929, – ha ricordato nell’ultima udienza generale – Papa Pio XI spiegò quanto fosse importante per una vera ricostruzione il principio di sussidiarietà. Tale principio ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Forse non capiamo cosa significa questo, ma è un principio sociale che ci fa più uniti”. Formulata da 100 anni, la sussidiarietà stenta ancora.

Alla sua luce, pensa Francesco “i vertici della società devono rispettare e promuovere i livelli intermedi o minori. Infatti, il contributo degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti i corpi intermedi e anche delle Chiese è decisivo. Questi, con le proprie risorse culturali, religiose, economiche o di partecipazione civica, rivitalizzano e rafforzano il corpo sociale. Cioè, c’è una collaborazione dall’alto in basso, dallo Stato centrale al popolo e dal basso in alto: delle formazioni del popolo in alto. E questo è proprio l’esercizio del principio di sussidiarietà”.

Francesco attualizza questa visione di Paese in cammino per il bene comune. “Per uscire migliori da una crisi come quella attuale, che è una crisi sanitaria e al tempo stesso una crisi sociale, politica ed economica, – ha osservato nell’ultima catechesi del mercoledì – ognuno di noi è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità cioè condividere le responsabilità”. E i primi a doverlo fare sono i cristiani.  “Dobbiamo rispondere non solo come persone singole – afferma il papa –  ma anche a partire dal nostro gruppo di appartenenza, dal ruolo che abbiamo nella società,dai nostri principi e, se siamo credenti, dalla fede in Dio.

Spesso, però, molte persone non possono partecipare alla ricostruzione del bene comune perché sono emarginate, sono escluse o ignorate; certi gruppi sociali non riescono a contribuirvi perché soffocati economicamente o politicamente […]. Ma così non si può uscire dalla crisi, o comunque non si può uscirne migliori. Usciremo in peggio”.  Un aspetto del tutto nuovo portato da Francesco è la partecipazione attiva e non passiva anche dei poveri e degli esclusi. Quando si attiva “qualche progetto che riguarda direttamente o indirettamente determinati gruppi sociali, questi non possono essere lasciati fuori dalla partecipazione. Per esempio: “Cosa fai tu? – Io vado a lavorare per i poveri – Bello, e cosa fai? – Io insegno ai poveri, io dico ai poveri quello che devono fare – No, questo non va, il primo passo è lasciare che i poveri dicano a te come vivono, di cosa hanno bisogno: Bisogna lasciar parlare tutti!

E così funziona il principio di sussidiarietà. Non possiamo lasciare fuori della partecipazione questa gente; la loro saggezza, la saggezza dei gruppi più umili non può essere messa da parte. Purtroppo, questa ingiustizia si verifica spesso là dove si concentrano grandi interessi economici o geopolitici, come ad esempio certe attività estrattive in alcune zone del pianeta. Le voci dei popoli indigeni, le loro culture e visioni del mondo non vengono prese in considerazione. Oggi, questa mancanza di rispetto del principio di sussidiarietà si è diffusa come un virus.

Pensiamo alle grandi misure di aiuti finanziari attuate dagli Stati. Si ascoltano di più le grandi compagnie finanziarie anziché la gente o coloro che muovono l’economia reale. Si ascoltano di più le compagnie multinazionali che i movimenti sociali. Volendo dire ciò con il linguaggio della gente comune: si ascoltano più i potenti che i deboli e questo non è il cammino, non è il cammino umano”.

Nell’inconscio collettivo di alcuni politici o di alcuni sindacalisti – denuncia il papa – c’è questo motto: tutto per il popolo, niente con il popolo. Dall’alto in basso ma senza ascoltare la saggezza del popolo, senza far attuare questa saggezza nel risolvere dei problemi, in questo caso nell’uscire dalla crisi. O pensiamo anche al modo di curare il virus: si ascoltano più le grandi compagnie farmaceutiche che gli operatori sanitari, impegnati in prima linea negli ospedali o nei campi profughi. Questa non è una strada buona. Tutti vanno ascoltati”.

Uscire dalla crisi –precisa Francesco –  “non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali perché sembrino un po’ più giuste. Uscire dalla crisi significa cambiare, e il vero cambiamento lo fanno tutti, tutte le persone che formano il popolo”.

La visione innovativa di Francesco diventa un appello: “Fratelli e sorelle, impariamo a sognare in grande! Non abbiamo paura di sognare in grande, cercando gli ideali di giustizia e di amore sociale che nascono dalla speranza. Non proviamo a ricostruire il passato, il passato è passato, ci aspettano cose nuove”.

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