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[Rapporto Astalli] Le nuove guerre non cancellano i conflitti precedenti, ma si sommano. Padre Ripamonti: «L’immigrazione è un fenomeno strutturale, non di emergenza»

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“Nel 2022 si stima che i rifugiati nel mondo saranno 90 milioni. E’ come se l’Italia intera si spostasse da un’altra parte. Il fenomeno è in continua crescita, due anni fa i rifugiati erano 82 milioni, quarant’anni fa stavamo sui 20 milioni”. Parte da un racconto essenziale della realtà l’intervento che Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli ha fatto a Monterotondo, al Corso di Formazione all’impegno politico e sociale organizzato dall’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Sabina – Poggio Mirteto.

Il rapporto Astalli 2022

Il Centro Astalli ha presentato da pochi giorni il Rapporto annuale 2022, in un’edizione rinnovata in occasione dei 40 anni di attività del Centro Astalli.

Una fotografia aggiornata sulle condizioni di richiedenti asilo e rifugiati che durante il 2021 si sono rivolti al Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, e hanno usufruito dei servizi di prima e seconda accoglienza nelle diverse sedi di Roma, Bologna, Catania, Grumo Nevano, Palermo, Trento, Vicenza e Padova.

L’accoglienza dei rifugiati in Italia

Nel 2021 sono 67.040 i migranti arrivati in Italia via mare, quasi il doppio rispetto ai 34.154 dell’anno scorso. I minori stranieri non accompagnati sono stati 9.478, a fronte dei 4.687 del 2020. Ancora oggi circa due migranti su tre sono ospitati nei CAS, i centri di accoglienza straordinaria pensati per far fronte all’arrivo di grandi numeri. Il sistema dell’accoglienza diffusa (SAI), con piccoli numeri e progetti d’integrazione più mirati ai loro ospiti, accoglie solo circa 25.000 persone delle 76.000 presenti nelle strutture convenzionate.

Il Centro Astalli, che gestisce sia centri di accoglienza straordinaria (a Trento, Padova, Grumo Nevano – NA) che centri SAI (a Roma, Bologna, Trento, Vicenza, Palermo), per un totale di 1.175 persone accolte nel 2021, auspica che la rete SAI diventi al più presto l’unico sistema di accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale, affinché a tutti possa essere garantito un efficace supporto all’integrazione, secondo standard uniformi.

Si registra un aumento dei minori stranieri non accompagnati nelle strutture e nei servizi del Centro Astalli. Un’utenza particolarmente vulnerabile a cui spesso lo Stato non riesce a garantire una presa in carico specifica e protetta.

Il perdurare della pandemia aumenta la necessità di un piano organico per l’integrazione

Nel 2021 non si sono registrate novità significative rispetto alla programmazione nazionale di un piano per l’integrazione dei titolari di protezione internazionale. Da anni ci sono numerose sperimentazioni positive del privato sociale, molte delle quali realizzate grazie a fondi europei, ma non si è ancora visto uno sforzo deciso da parte delle istituzioni per ripensare la questione nel suo complesso.

Le opportunità di tirocini formativi, previste dal sistema SAI, così come i contributi erogabili nell’ambito di progettualità specifiche, possono fare la differenza per i singoli rifugiati che ne beneficiano, ma restano interventi episodici, che non riescono a incidere sullo scenario generale. La questione dell’inserimento nel mondo del lavoro e dell’effettiva esigibilità dei diritti sociali, specialmente nel primo periodo di permanenza in Italia, non può essere risolta soltanto dal Terzo Settore: richiede riflessione e impegno da parte di tutte le istituzioni competenti, attraverso una cabina di regia in grado di costruire soluzioni concrete e di renderle accessibili.

In un contesto in cui trovare casa è complicatissimo a causa della crisi e il mercato immobiliare è pressoché inaccessibile per i rifugiati, anche persone che possono contare su un reddito devono ricorrere a soluzioni di fortuna: subaffitti, affitti in nero, senza alcuna garanzia o occupazioni.

Nel 2021 il Centro Astalli, anche attraverso progetti di accompagnamento specifici, ha cercato di sostenere concretamente il difficile percorso verso l’autonomia dei titolari di protezione internazionale.

Le famiglie rifugiate fanno ancora più fatica

Se per un singolo il percorso verso l’autonomia è difficile, quando si hanno dei figli le sfide si moltiplicano. Particolarmente critica è la situazione dei nuclei familiari numerosi e di quelli monoparentali. La permanenza all’interno dei centri resta lunga (almeno 12 mesi), ma anche dopo l’uscita la precarietà continua ad accompagnare queste famiglie, che non possono contare su reti di sostegno informali, parentali o amicali.

Problematiche del tutto simili interessano quei titolari di protezione internazionale che affrontano l’iter per il ricongiungimento familiare. Al termine di procedure lunghe e costose, la famiglia ricongiunta si trova di fatto sola ad affrontare una situazione del tutto nuova, dal punto di vista economico, ma anche psicologico. I servizi sociali non riescono a intervenire in modo efficace in situazioni che richiedono una progettualità complessa, che tenga conto di una varietà di fattori.

I conflitti esistenti

“I 5 principali paesi da cui provengono i rifugiati – ha precistato Padre Ripamonti – sono la Siria, dove la guerra dura ormai da 11 anni, il Venezuela, l’Afghanistan, il Sud Sudan e il Myanmar. Questo vuol dire che i conflitti già esistenti nel mondo stanno continuando a obbligare le persone a spostarsi dalle proprie terre per trovare un futuro migliore. Non dobbiamo dimenticarci dei conflitti esistenti, non dobbiamo abituarci a un dato di realtà così terribile”.

In linea con il trend internazionale è anche quello che avviene nella struttura che Padre Ripamonti presiede: “Come Centro Astalli nel 2021 abbiamo seguito oltre 10 mila persone, di cui oltre 700 nuovi ingressi. Molti rifugiati che arrivano oggi in Italia provengono dalla Somalia e dall’Eritrea, quindi dal Corno d’Africa, dove la pace manca da 50 anni”. Senza poi dimenticare il fenomeno degli sbarchi via mare: “In Italia nel 2021 sono arrivate via mare 67.700 persone – ha continuato padre Ripamonti – e ci sono stati 1.496 morti nel Mar Mediterraneo, quello che Papa Francesco ha ridenominato ‘un cimitero a cielo aperto’. Ma anche dalla frontiera slovena sono arrivate circa 9 mila persone”.

I nuovi rifugiati della guerra in Ucraina

A tutto questo si aggiungono i rifugiati che arrivano dalla guerra in Ucraina: “In soli due mesi sono arrivati in Italia oltre 100 mila ucraini. Come ripeto sempre, per me andrebbero accolti tutti, ma quello che serve all’interno della nostra società è un vero cambio culturale sul fenomeno dell’accoglienza”.

Il problema è come viene considerato il fenomeno migratorio: “Dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza – continua a sottolineare padre Ripamonti -. Gli uomini si sono sempre spostati da una parte all’altra del pianeta. Oggi si stima che nel mondo siano 300 milioni le persone che non vivono nel paese dove sono nate. L’immigrazione è un fenomeno strutturale, e se lo leghiamo alla logica dell’emergenza rischiamo di semplificarlo in maniera eccessiva. Affrontarlo invece nella sua complessità, ci permette di rendere governabile un processo che è così impattante sulla vita di tutti noi”.

L’importanza di una vera integrazione

L’integrazione è la parola chiave per garantire un futuro al nostro pianeta: “Sull’immigrazione dobbiamo abbandonare qualsiasi logica utilitaristica, tenendo sotto controllo le paure che questo fenomeno genera. Non dobbiamo decidere se accogliere o meno una persona in base al fatto se potrà esserci utile o meno. L’accoglienza dovrebbe essere un diritto per tutti. La via per rendere reale l’accoglienza è quella dell’integrazione e l’integrazione è legata a una dimensione progettuale che deve essere per sua natura bi-direzionale”.

Proprio su questo concetto di bi-direzionalità dell’integrazione si conclude l’intervento del presidente del Centro Astalli: “L’integrazione è la via del futuro, ma con l’integrazione dobbiamo offrire ai rifugiati un posto in quegli ambiti che sono desiderati da tutti noi: casa, lavoro, istruzione. Non dobbiamo fare un piano per i migranti, ma un piano per il lavoro a cui anche i migranti possano accedere. Il tema dell’integrazione è importante per la società del futuro dove vivremo in una cultura sempre più pluralista, nel rispetto reciproco”.

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