Olivio Romanini, Caporedattore Corriere della Sera Bologna, ha partecipato agli Stati Generali della Ripartenza 2025 “Insieme per far crescere l’Italia”, organizzati a Bologna dal 27 al 29 novembre 2025 dall’Osservatorio economico e sociale “Riparte l’Italia”.
In qualità di giornalista ha moderato il panel “La scienza e la verità: il valore della ricerca“.
Ecco l’intervista rilasciata prima di partecipare all’evento.
Stati Generali della Ripartenza, siamo al terzo anno qui a Bologna, un luogo veramente di confronto e di dibattito tra il Governo, le istituzioni, ma anche le imprese e la società civile. Quanto è importante il dialogo per la crescita dell’Italia?
Ma è importantissimo soprattutto in un momento come questo dove c’è sfiducia, insomma c’è diverse crisi all’orizzonte, ne abbiamo passate tanto. Il merito di un appuntamento del genere è che è trasversale, innanzitutto tocca le istituzioni, la società civile, il mondo dell’accademia e permette un confronto fuori dagli steccati maggioranza-opposizione e soprattutto cita un tema, quello della ripartenza, che è fondamentale per il Paese.
Quello che abbiamo visto un po’ in tutti i panel è che non c’è stata paura a dire come stanno realmente le cose, anche quando sono scomode o difficili, ma non viene mai meno la speranza perché un futuro diverso è possibile.
Ma sì, perché questo è un Paese che ha nel suo DNA e nella sua storia anche recente episodi di grande ripartenza, episodi e momenti in cui sembrava che non ce la si facesse, poi alla fine in qualche modo si è trovata una strada. Adesso è un po’ più difficile, secondo me, nutrire speranza perché le nubi all’orizzonte sono tante, di diverso significato, però sappiamo come si fa in qualche modo, quindi si spera di poterlo rifare sempre.
Poi c’è un tema di una velocità diversa, quindi le istituzioni che lavorano più a lungo termine, le imprese che invece chiedono una reattività più immediata. Questo fermarsi e sedersi intorno a un tavolo per parlarne è importante?
Sì, questo è un tema purtroppo strutturale che non è nuovo, è così da molti anni. La velocità del mercato del lavoro, la velocità degli affari, dello sviluppo delle città è infinitamente superiore a quello che l’agenda politica o le istituzioni hanno con i loro tempi. Si verrebbe da dire un po’ il prezzo della democrazia.








