L’economia circolare e i principi fondanti della sostenibilità, non ultimi «il rispetto e la dignità del lavoro umano», hanno coinvolto anche l’artigianato, che è alla base della filiera del made in Italy. A testimoniarlo sono i giovani imprenditori, ognuno con le proprie aziende solidali e innovative, che hanno partecipato al terzo e ultimo talk di Altaroma, che termina oggi la sua edizione digitale.
Titolo, “Artigiani – Il motore per il recupero del territorio e dello sviluppo sostenibile”. A coordinare gli ospiti la giornalista Chiara Beghelli (Sole 24Ore). I protagonisti sono Carolina Cucinelli, co-presidente e co-direttrice creativa della Brunello Cucinelli; Chantal Marchetti, manager del progetto Quid; Niccolò Cipriani, ideatore di Rifò; Elena Sisti, fondatrice di ElestaTravel; Susanna Martucci Fortuna, fondatrice di Alisea e Perpetua; Matteo Ward, fondatore di Wrad.
«La nostra sostenibilità nasce sulla filosofia di mio padre del “Capitalismo umanistico” – spiega Carolina Cucinelli, figlia del “Re del cachemire”-. Mio padre Brunello ha cominciato nel 1978 con l’idea di colorare il cachemire. Poi ha restaurato il Borgo di Solomeo, a pochi chilometri da Perugia. Lavori che sono durati 40 anni e ancora non sono ultimati. Noi e i nostri dipendenti lavoriamo otto ore al giorno per trovare lo spazio per dedicarci alla famiglia».
«Il concetto è quello di lavorare senza arrecare danno a persone, cose e ambiente. Ma è anche quello di rendere dignitoso il lavoro dei dipendenti, che possono alzare lo sguardo e vedere che sono circondati da un bel giardino. Far riavvicinare i giovani al lavoro di sarto, restituendogli dignità non è facile. Nel 2013 abbiamo fondato una scuola interna, dove gli anziani insegnano ai giovani rammendo, ricamo, taglio e confezione. La scuola dura tre anni e alla fine offre la possibilità di entrare in azienda, oppure di andare a lavorare in uno dei 350 laboratori esterni sparsi sul territorio che lavorano per noi».
Anche Chantal Marchetti, manager di Quid, ha investito sul capitale umano. «Dal 2013 – racconta – io e altre cinque persone lavoriamo con donne e migranti fragili, che hanno avuto problemi. Facciamo realizzare loro prodotti moda creativi per ridargli quel “Quid” che avevano perso. Abbiamo dato lavoro a 120 persone provenienti da 15 paesi diversi. Abbiamo aperto dieci negozi diretti e lavoriamo con tanti negozi in Italia. Nel lockdown abbiamo cominciato a produrre mascherine che ora sono fatte con tessuti sicuri così da essere certificate dal Ministero della Sanità».