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Mercato, Europa, globalizzazione: gli agricoltori in piazza combattono contro tutto ciò che ha permesso all’agricoltura di prosperare nel mondo | L’analisi di Claudio Cerasa

Ieri a Bruxelles – commenta sul Foglio Claudio Cerasa – è stata la giornata dei trattori.

Centinaia di agricoltori arrivati da tutta Europa si sono incontrati di fronte alla sede del Parlamento europeo, a Place de Luxembourg, per protestare contro la politica agricola comune, contro il Green deal, contro la globalizzazione, contro la concorrenza, contro l’Europa e contro alcune politiche degli stati membri.

Finora, i politici con cui si sono confrontati gli agricoltori hanno cercato di assecondare le loro richieste, di comprendere le loro proteste, di andare incontro alle loro istanze.

Gli agricoltori, al momento, stanno quindi vincendo dal punto di vista comunicativo (vedi il caso del governo italiano, che da mesi segue a pappagallo l’agenda della Coldiretti al punto da essere con la Coldiretti anche quando questa sostiene gli agricoltori che scendono in piazza contro il governo italiano).

Finora nessun leader politico, né in Italia né in Europa, ha trovato il coraggio di ricordare agli agricoltori una piccola verità che prima o poi meriterebbe di essere ribadita e che suona grosso modo così: tutto quello contro cui gli agricoltori combattono oggi, quello che ripudiano, che criticano, che osteggiano, che denigrano, è tutto ciò che negli ultimi anni ha consentito loro di crescere, di prosperare e di avere un futuro.

I trattori, minacciosi, puntano contro l’Europa dimenticando però che le istituzioni europee sono le stesse che per l’agricoltura hanno stanziato nell’ultimo bilancio comune dell’Ue 400 miliardi su 1.200.

I trattori, arrabbiati, puntano contro il libero mercato, come sappiamo, dimenticando però che gli accordi commerciali offrono agli agricoltori opportunità infinite per esportare.

I trattori, indignati, demonizzano la globalizzazione, chiedono più dazi, sognano di alzare barriere, dimenticando però che il protezionismo chiama protezionismo, che quando il mondo si chiude sono i paesi esportatori a pagarne le conseguenze.

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