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L’UE ha il dovere di intervenire nella crisi del Mar Rosso | L’analisi di Stefano Stefanini

Stefano Stefanini sulla Stampa prova a spiegare perché l’Ue ‘ha il dovere di difendere i suoi affari nel Mar Rosso’: “II buon senso comune  – sottolinea l’editorialista – viene prima della geopolitica. La missione navale europea nel Mar Rosso deve rispondere innanzitutto al primo.

Tre sono le regole: meglio tardi che mai; fare presto; riuscire nell’intento. Che è uno solo: far tornare portacontainer di Maersk e Cosco sulla rotta via Suez anziché circumnavigare l’Africa. Il resto – messaggio politico, eventuali ricadute sulla crisi mediorientale, necessario coinvolgimento di altri Paesi- è importante ma viene dopo. Agenor è banco di prova della capacità o meno dell’Ue di difendere i propri legittimi interessi quando minacciati. Il metro di misura non potrà essere che il ristabilimento o meno di condizioni di sicurezza peri traffici marittimi che passano attraverso lo Stretto di Bab el-Mandeb, di cui una sponda è controllata dagli Houthi. L’Ue ha già aspettato e tentennato troppo.

Da due mesi – osserva Stefanini – il traffico sulla rotta Mar Rosso-Suez è andato progressivamente crollando. Malgrado il ritardo nel reagire, i tempi sono ancora lunghi. La missione sarà formalmente approvata dai Ministri degli Esteri Ue solo il 19 febbraio. Nel frattempo, i noli si sono triplicati, le assicurazioni raddoppiate e, soprattutto, le navi hanno preso la rotta del Capo di Buona Speranza. Agenor serve se mette in sicurezza una vitale arteria del Mediterraneo e dell’Europa. Questo richiede certamente regole d’ingaggio adeguate. Richiede anche il coordinamento, militare e politico, con l’operazione Guardians of Prosperity a guida Usa.

Sostenuti dall’Iran, gli Houthi accampano la solidarietà con i palestinesi di Gaza. Hanno individuato una vulnerabilità di cui approfittare senza subirne conseguenze. L’Iran si guarda bene dal bloccare lo Stretto di Hormuz da cui passano il petrolio e gas che riesce a esportare. A Bab el-Mandeb il danno non tocca Teheran; colpisce invece l’Europa. Gaza è un pretesto. Ci sono ottimi, urgenti motivi, umanitari e politici, per far pressione su Netanyahu per un cambio di strategia nella guerra contro Hamas. Molti lo stanno facendo, a cominciare dagli americani.

Ma – conclude – non confondiamolo con il problema creato dagli Houthi cui bisogna reagire”.

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