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[L’intervista esclusiva] Il generale dell’Arma dei Carabinieri Pasquale Angelosanto comandante del Ros: «Ecco il nuovo metodo di contrasto alla criminalità»

Nel disordine geopolitico congelato dalla pandemia prima e più di recente scosso da una guerra dagli esiti imprevisti per il futuro dell’Europa e del mondo, la lotta alle criminalità organizzate viene meno raccontata. E a torto. In Italia tale criminalità rappresenta un serio handicap allo sviluppo economico e democratico non meno del debito pubblico. L’ascoltare un generale dei carabinieri parlare di lettere e pizzini all’interno di un discorso sul metodo investigativo per la giustizia, potrebbe apparire un lusso perfino superfluo. Mezzi per comunicare tipici del rapporto intersoggettivo, considerati strumenti rilevanti nell’azione investigativa di contrasto alla grande criminalità. Ma è questa la sorpresa che non ti aspetti nell’intervista a un generale dei carabinieri, diversa da altre interviste tese a carpirne il parere su cronache di attualità. Il generale questa volta svela il metodo che armonizza antiche e nuove risorse di contrasto alla criminalità e la giusta dose del mix di antico e nuovo trattato con professionalità e passione al servizio della Costituzione. Con frutti insperati.

Ogni ammodernamento strumentale, infatti, vede al centro del successo l’uomo con la sua intelligenza, i sentimenti, le abilità fisiche e le sensibilità morali. Al centro del sofisticato equilibrio fra comunicazione tradizionale e informatica non poteva esserci persona più adatta e competente del generale dell’Arma dei Carabinieri Pasquale Angelosanto, dal 2017 comandante del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale), punta di diamante nella lotta dello Stato al terrorismo e alle mafie. Egli si richiama spesso al generale Carlo Alberto dalla Chiesa che avviò i primi nuclei investigativi ormai evoluti e aggiornati nel Ros, in prima linea nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata.

“La corrispondenza può svelare relazioni, sentimenti, interessi di persone inserite in sodalizi criminali”, avverte il generale dalle indubbie qualità umane che ne parla con consumata dimestichezza. In specie i pizzini – precisa Angelosanto – “rappresentano la plastica esigenza di comunicare che hanno tutti gli associati alle organizzazioni mafiose, che è bene ricordare sono associazioni segrete. Senza la comunicazione viene meno l’essenza stessa del patto scellerato che si instaura tra persone, proprio riguardo alle progettualità criminose”. Ma è anche acquisito ormai che senza comunicazione, non può esservi investigazione in un tempo scandito dalla Rete. Forse per professione – il generale ha una carriera di successi frutto di lavoro e competenze – più ancora per convinzione, è interessato al servizio del bene comune piuttosto che al bene “particulare” come via per garantire pacifica convivenza civile. Nell’ambito di sicurezza l’attenzione ai dettagli prepara la soluzione di problemi annosi come dimostrano indagini delicate su celebri figure malavitose del tipo Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro, Rocco Morabito. In questa intervista esclusiva al sito Riparte l’Italia.it, Angelosanto quasi si diverte a considerare insieme l’efficacia leggendaria del pizzino mista alle risorse immediate di Twitter, Telegram, Instagram. Anche i grandi criminali sono persone e in quanto tali sono plasmati di virtù e difetti tipici degli umani. La possibilità dei boss di sbagliare è sempre dietro l’angolo. Ai solerti investigatori perfino un pizzino basta per stringere la trappola decisiva. Questa l’intervista.

Si conoscono e si leggono testi di lettere che parlano di grandi ideali, di progetti, di affetti, di vita quotidiana. Meno note, perché meno cercate, sono quelle lettere espressione di personaggi negativi noti e non della criminalità organizzata o individuali. Esiste una corrispondenza che ci svela il mondo e i sentimenti correnti nella criminalità organizzata?  

La corrispondenza, come ogni altra forma di comunicazione, costituisce un aspetto di conoscenza dell’uomo e, se questi è inserito in contesti delinquenziali o associativi di tipo mafioso, del suo agire criminale. Come inquadramento generale, per l’esperienza che noi abbiamo di certe dinamiche, il soggetto di interesse investigativo ricorre all’uso della corrispondenza quando vi è costretto dalla impossibilità di usare il contatto diretto o dalla indisponibilità di altro mezzo di comunicazione, come avviene per gli stati di detenzione, specie per quelli in particolare regime di sicurezza, o di latitanza. E la corrispondenza, come gli altri strumenti di comunicazione, quando sussistono esigenze investigative o procedimentali può essere intercettata o sequestrata con provvedimento motivato dell’Autorità giudiziaria. In questi contesti la corrispondenza può svelare relazioni, sentimenti, interessi di persone inserite in sodalizi criminali.

Sono testi che hanno un rilievo soltanto di carattere probatorio nei vari gradi di giudizio oppure svelano l’umanità di persone giudicate e magari condannate come criminali?     

Dal nostro angolo visuale, il rilievo della corrispondenza è di esclusivo carattere investigativo o probatorio, mentre gli aspetti umani e/o caratteriali delle persone che vi ricorrono possono avere rilevanza nei processi e quindi nelle valutazioni del giudice.

C’è una figura letteraria – i pizzini – che è entrata nella letteratura giornalistica, investigativa e quasi mitica della mafia. Meritano tutto questo alone o sono strumenti di poco conto? Quale è a suo parere il valore letterario (se ce n’è) o semplicemente informativo dei pizzini?

Il termine “pizzino” deriva dal dialetto siciliano e sta ad indicare un piccolo foglio di carta, un bigliettino. Nel corso del tempo, il sistema dei pizzini è divenuto un fondamentale strumento di comunicazione per consentire ai vertici di cosa nostra, per lo più latitanti, di veicolare ordini e imporre la propria leadership.

Essi rappresentano la plastica esigenza che hanno tutti gli associati alle organizzazioni mafiose, che è bene ricordare sono associazioni segrete, di comunicare. Senza la comunicazione viene meno l’essenza stessa del patto scellerato che si instaura tra persone, proprio riguardo alle progettualità criminose.

Dal punto di vista investigativo e giudiziario questi scritti rivestono un’importanza fondamentale – sotto il profilo probatorio – per l’individuazione della rete di contatti dei capi e per la comprensione delle dinamiche mafiose e delle loro strategie.

Al contempo, ritengo che essi non abbiano alcun valore o interesse artistico o letterario, al più potrebbero avere un interesse socio-antropologico ovvero in futuro un interesse storico.

Nel corso degli anni, plurime indagini hanno dimostrato che questo tipo di comunicazione ‹‹nonostante la sua apparente rozzezza ed elementarietà››  è in realtà un meccanismo che concretizza un’ideazione raffinata, per consentire ai mafiosi di eludere le attività tecniche di intercettazione ed evitare incontri diretti tra affiliati.

Si tratta, in definitiva, di un sistema che risponde a finalità di segretezza e non tollera il coinvolgimento di soggetti estranei ai sodalizi o ritenuti poco affidabili.

Il ricorso a un linguaggio criptico, fatto di pseudonimi, nomi convenzionali, sigle e numeri per indicare mittenti o destinatari, rende estremamente complessa la comprensione degli argomenti trattati e degli interlocutori coinvolti e riduce i rischi per l’organizzazione, in caso di rinvenimento da parte delle forze di polizia.

Circa la valenza probatoria di questi scritti, vorrei richiamare alcune considerazioni riportate nel provvedimento di fermo della DDA di Palermo emesso nell’ambito dell’operazione PERSEO , condotta dall’Arma dei Carabinieri nel 2008 nei confronti di cosa nostra palermitana. L’autorità giudiziaria, argomentando in merito ad un pizzino sequestrato il 5 novembre 2007 in occasione dell’arresto dell’allora latitante Salvatore Lo Piccolo (esponente di vertice del mandamento palermitano San Lorenzo-Tommaso Natale), sottolineava come quell’organizzazione ‹‹si è in larga parte retta su questi ordini epistolari›› utilizzati da soggetti di vertice che, ‹‹avendo difficoltà a contattare direttamente gli altri capi o sottoposti, affidavano ai “pizzini” il loro volere ed il loro dictum››.  Ne deriva come queste missive, che debbono necessariamente possedere il ‹‹crisma della verità››, abbiano ‹‹una valenza probatoria assolutamente solida, costituendo uno spaccato veritiero ed estemporaneo dei comunicati e degli ordini scritti sui quali si reggeva il sodalizio mafioso ››.

I pizzini sono stati decisivi per la soluzione di qualche clamoroso caso di indagini o sono risultati ordinariamente di scarso rilievo?           

La straordinaria importanza, sotto il piano probatorio, di questa forma di corrispondenza epistolare costituisce un dato accertato, anche da numerose sentenze.

Si tratta di documenti che forniscono elementi informativi essenziali per la conduzione e la gestione delle principali attività illecite, soprattutto quando gli interlocutori sono latitanti e hanno l’esigenza di evitare incontri e rapporti diretti.

Vorrei ricordare l’indagine GRANDE ORIENTE  del ROS, che già nel 1998 aveva consentito di acquisire i primi importanti elementi per l’individuazione delle modalità di comunicazione tramite “pizzini” fra il latitante Bernardo Provenzano e i rappresentanti provinciali di cosa nostra.

Tale modalità di comunicazione verrà successivamente riscontrata anche nel 2005 con l’operazione GRANDE MANDAMENTO  che ha permesso di ricostruire il complesso circuito di comunicazione, al quale contribuivano alcuni soggetti fidati del latitante – i cosiddetti “filtri” – che consentiva lo scambio dei “pizzini” tra Bernardo Provenzano ed i vertici delle famiglie di Bagheria (PA), Baucina (PA), Belmonte Mezzagno (PA), Casteldaccia (PA), Ciminna (PA), Villabate (PA) e Villafrati (PA). Anche nel contesto delle indagini per la cattura del latitante Matteo Messina Denaro, è emerso il sistematico ricorso a questo strumento di comunicazione. Tuttavia il latitante castelvetranese, rispetto a Provenzano, aveva utilizzato ulteriori e più sofisticati accorgimenti  quali: l’ordine di bruciare il pizzino ricevuto subito dopo averlo letto, il ricorso ad un amanuense che raccoglieva il suo pensiero e lo riversava nei pizzini, una riduzione del numero dei tramiti e delle occasioni in cui la posta veniva veicolata. L’obiettivo di tali accorgimenti è quello di occultare i percorsi, velocizzare i tempi, ottimizzando le risorse (i messaggeri). Tale metodo tende a impedire che il sistema di trasmissione sia troppo complesso e coinvolga troppi tramiti.

Vorrei ricordare che anche nell’ambito di recenti attività investigative  nei confronti della ‘ndrangheta, sono stati sequestrati dei pizzini sui quali era annotata la cosiddetta “copiata”, ovvero i nomi della terna di sodali che ha proceduto all’affiliazione del neo-ndranghetista o al conferimento di una dote superiore. 

Lettere e pizzini sono interscambiabili o sono del tutto diversi?

I pizzini, pur rientrando nelle forme di corrispondenza epistolare, rispetto ad una lettera, sono dei “bigliettini” scarni, essenziali e dal contenuto criptico o allusivo. Il testo di un pizzino contiene ordini, direttive dati “talvolta in termini di consiglio o suggerimento” altre volte “in forma più perentoria e diretta”   ma che implicano, in ogni caso, la supremazia del soggetto di vertice.

Lei può ricordare e citare alcuni testi celebri di pizzini? 

Tra i “pizzini” rinvenuti l’11 aprile 2006 in occasione della cattura del latitante corleonese Bernardo Provenzano ne furono sequestrati alcuni, risalenti agli anni 2004 e 2005, inviatigli  da Matteo Messina Denaro nei quali si faceva riferimento, all’ex sindaco del Comune di Castelvetrano, il defunto Antonio Vaccarino. Questa discovery suscitava preoccupazione nel latitante trapanese il quale scriveva a Vaccarino una lettera per comunicargli che, a loro tutela, i rapporti epistolari sarebbero cessati, a causa della scelta sconsiderata di Provenzano di conservare la corrispondenza.

Nel documento in questione, datato 28 giugno 2006 (e trascritto nel decreto di fermo GOLEM II), il latitante muoveva delle aspre critiche all’anziano boss Provenzano scrivendo “Allo stesso tempo non si faccia prendere dallo sconforto e dal panico, per esserle d’aiuto morale, pensi che per lei è tutto da dimostrare, laddove ci sono altri amici completamente inguaiati, non ci voleva tutto ciò, è una cosa assurda dovuta al menefreghismo di certe persone che tra l’altro non si potevano e dovevano permettere di comportarsi in siffatto modo” .

Questo scritto fornisce la dimostrazione circa la cura meticolosa che il latitante Matteo Messina Denaro rivolge all’intero sistema di comunicazione. Al tempo stesso denota come determinati accorgimenti non erano adottati dal Provenzano che, per il peculiare ruolo svolto, aveva la necessità di interloquire con un numero maggiore di affiliati e talvolta di conservare la posta come promemoria delle numerose questioni che trattava.

La comunicazione interna alla malavita continua a usare in prevalenza gli antichi strumenti (lettere e pizzini) o li ha sostituiti con strumenti sofisticati della tecnologia informatica?   

I pizzini sono modalità di comunicazione tuttora adottate dalla criminalità che, negli ultimi anni, li ha anche affiancati a sistemi tecnologicamente più avanzati. In merito le organizzazioni mafiose hanno saputo adeguarsi, meglio di ogni altra organizzazione di carattere criminale, al cambiamento dei tempi, dell’evoluzione tecnologica e dei sistemi economico-sociali, riuscendo a coglierne tutte le potenzialità e le opportunità di arricchimento. Nel tempo, le mafie hanno modificato il loro agire mostrando estrema flessibilità sia per evitare misure repressive, sia per massimizzare i profitti.

L’utilizzo da parte della criminalità organizzata di sofisticati sistemi informatici mobili cifrati rappresenta, attualmente, la più moderna soluzione tecnica di elusione delle intercettazioni e di qualunque altra forma di monitoraggio.

Inoltre, è indubbio che anche i social media (Facebook, Tik-Tok, Twitter, Telegram, Whatsup, Instagram ecc…) rappresentino ulteriori e più moderni canali di comunicazione anche per la criminalità organizzata.

Si tratta di strumenti che offrono la possibilità di veicolare rapidamente e a un ampio pubblico messaggi di varia natura: autocelebrativi, di insulti e minacce alle forze dell’ordine, ai collaboratori di giustizia e ai gruppi contrapposti. In proposito, vorrei citare un episodio avvenuto a giugno 2021 e riguarda un carosello di auto di lusso organizzato da un elemento di vertice del gruppo camorristico della c.d. 167 di Arzano (legato ai c.d. Scissionisti), per festeggiare la prima comunione del figlio. L’episodio, condiviso dai partecipanti sui social media e ripreso dalla stampa locale, è stato analizzato dal GIP del Tribunale di Napoli nell’ambito di un procedimento penale  a carico di due gruppi camorristici contrapposti.

In merito l’A.G. ha sottolineato come il corteo, «con la partecipazione di tutti gli affiliati di spicco del clan ancora in libertà», fosse in realtà «finalizzato a riaffermare la presenza sul territorio» essendo ormai diventata, questa, una forma «di comunicazione utilizzata abitualmente dalla criminalità organizzata per affermare modelli e stili di vita e riaffermare la propria presenza (non solo attraverso il controllo del territorio in senso stretto)» .

L’esigenza di utilizzare sistemi di messaggistica per ridurre il rischio di essere intercettati è emersa anche nella recente indagine YMIR del ROS che a giugno scorso  ha portato il Tribunale di Palermo a sostituire gli arresti domiciliari con la custodia in carcere nei confronti dell’anziano Guttadauro Giuseppe (storico elemento di vertice del mandamento palermitano di Brancaccio), autore di reiterate violazioni degli obblighi di non comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitavano. Dalle indagini è emerso che quest’ultimo, nel periodo in cui era agli arresti domiciliari, era alla ricerca di canali di comunicazione riservati per interloquire con terzi ed aveva in animo di utilizzare l’applicazione Telegram per mantenere i suoi contatti, ritenendo di non essere intercettabile.

L’azione investigativa ha preceduto l’eventuale evoluzione tecnologica della criminalità o si è dovuta adeguare all’evoluzione criminale?           

Ripercorrendo la mia esperienza professionale posso osservare come, complessivamente, il sistema di contrasto alla criminalità mafiosa si sia nel tempo costantemente perfezionato. Partendo dalle intuizioni e dagli insegnamenti del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il ROS ha elaborato e continuamente adeguato alle mutate esigenze un avanzato metodo investigativo, basato sulla conoscenza approfondita del nemico e sull’adozione di soluzioni investigative tecnologicamente avanzate.

A tal proposito, vorrei ricordare che proprio grazie all’analisi della cosiddetta “scia telematica”, nel maggio 2021 i Carabinieri del ROS e dei comandi territoriali di Locri e Torino, con l’ausilio della Polizia Federale brasiliana, sono stati in grado di porre fine alla latitanza di Rocco Morabito , tra i maggiori broker internazionali del narcotraffico. Il latitante è stato arrestato in Brasile, a Joao Pessoa, mentre si trovava in compagnia di un altro latitante italiano, Vincenzo Pasquino , esponente della locale di ‘ndrangheta attiva a Volpiano (TO).

L’operazione è riuscita anche per i risultati dell’analisi dei “metadati” dei messaggi che Morabito scambiava sulla piattaforma Anom, nella convinzione di non poter essere intercettato.  Questa vicenda conferma un dato ormai consolidato: la criminalità organizzata – specie quella dedita al narcotraffico internazionale, al riciclaggio e al reimpiego dei capitali illeciti – ha iniziato ad impiegare, almeno da un decennio, sofisticati sistemi informatici mobili dotati di un doppio sistema operativo, di cui uno accessibile all’utente terzo ed uno latente, cifrato di difficile accessibilità.              

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