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[L’intervento] Massimiliano Atelli (procuratore regionale Corte dei Conti): «Il Covid produrrà desertificazione urbana commerciale. Sconfiggiamola con una public company del territorio»

Se la Storia ha lasciato indimostrato che il diritto di proprietà sarebbe, in sé, un “furto” (come voleva un noto assunto otto-novecentesco), è di contro vero che dalla <<proprietà>> resta ancora da estrarre ampia parte di quella funzione sociale che la Costituzione italiana le assegna espressamente.

Una sfida, questa, che in tempi di Covid dilagante laddove più è alta la densità abitativa, si pone anzitutto nelle grandi città (tutte, non solo quelle che dovrebbero andare al voto nella prossima primavera).

Ma a quale proprietà (per estrarne la funzione sociale) guardare? A tutte.

Alla proprietà diffusa e parcellizzata, anzitutto. E’ da ricordare che, se si ha riguardo alla ricchezza privata italiana, questa ammonta, hanno calcolato gli esperti, a circa 10mila mld di euro (solo nel periodo Covid, le stime degli analisti dicono che gli italiani avrebbero parcheggiato in banca oltre 1.600 miliardi).

Si parla da tempo, specie fuori dai confini nazionali, di destinare parte di questa ricchezza alla soluzione del debito pubblico (attraverso la c.d. patrimoniale).

E’ una soluzione, non l’unica. Di sicuro, è ricetta lontana da una dimensione di azione di prossimità, che – dentro le città, dove si concentrano le maggiori criticità – possa mobilitare chi ci vive allo scopo di svolgere un ruolo attivo nel contrasto (quartiere per quartiere, strada per strada) di fenomeni che la seconda ondata di Covid sta facendo già intravedere.

E’ il caso della desertificazione commerciale (piccola distribuzione), processo iniziato prima della pandemia, che in essa sta trovando fattore di formidabile accelerazione.

Essa porta con sé fenomeni, derivati e plurimi, di desertificazione urbana, certamente capaci di disgregare il tessuto cittadino (anzitutto, quello sociale), cambiando per sempre la vita di chi vive nella porzione di città volta per volta interessata.

Contro questi esiti, è il caso di domandarsi se, per gli esercizi di vicinato, non siano opponibili anche modelli dominicali – se del caso, sviluppati secondo nuovi paradigmi di ingegneria proprietaria – fondati sulla partecipazione diffusa dei residenti, in sostanziale analogia agli schemi tipici della public company ben noti all’esperienza della grande impresa.

Reti di tenuta urbana“, fondate sulla partecipazione – attiva e microproprietaria – dei residenti, contro la desertificazione commerciale (e i suoi derivati) da Covid? Sì, volendo (purché, naturalmente, in raccordo con la grande distribuzione organizzata, per tenere insieme gli aspetti essenziali: dai prezzi sostenibili per la clientela di prossimità al decongestionamento dei centri commerciali, specie nel fine settimana, onde evitare non consentiti assembramenti).     

Funzione sociale della proprietà è però anche quella che si può vivificare orientando l’allocazione del proprio risparmio, dal punto di vista strettamente finanziario, in una direzione piuttosto che in un’altra, data l’infinità delle alternative oggi possibili. 

E’ noto che il Recovery Fund (che in parte è prestito agli Stati, in parte no) nascerà grazie a un debito comune europeo e dunque al reperimento delle somme sul mercato dei capitali tramite l’emissione di titoli Ue. 

Un cambio di rotta sensibile, rispetto al passato, quando le istituzioni europee ammettevano l’emissione di bond solo per prestare le somme ottenute nel mercato dei capitali ai Paesi che, se si fossero rivolti da soli agli investitori, avrebbero dovuto pagare interessi molto più alti sui rispettivi debiti. L’Ue vanta, infatti, un rating AAA assegnatole dalle agenzie di rating.

Comprare questi titoli – convogliandovi il proprio risparmio – non sarà solo un buon investimento, ma anche una sposare una buona causa.

Da declinare, è il caso di aggiungere, in piani e progetti da concentrare prioritariamente nelle città, a iniziare dalle grandi, perché lì si addensa la massima parte degli italiani. Per finire, da ultimo, è il caso di ricordare la funzione sociale della proprietà privata quando ne sia titolare la mano pubblica.

Si va, al riguardo, dal rinnovato ruolo attivo – di azionista al servizio della sdoganata categoria dell’ <<interesse strategico nazionale>> – dello Stato nell’economia (si pensi alla partecipazione presa per il tramite di Cassa depositi in Tim, gestore della rete di tlc che tiene unito un Paese confinato a casa dal Covid), sino, a scala locale, al caso del Comune di Novara, assurto qualche settimana fa agli onori della cronaca per la scelta di destinare fondi del proprio bilancio per acquisire un terreno ai limiti della città in modo evitare il taglio di un bosco, “investendo” così sulla qualità dell’aria (che significa fra l’altro incidenza, in riduzione, sulla spesa sanitaria e sulla spesa sociale) respirata da chi ci vive. 

Quella di ricercare e ritrovare una funzione sociale della proprietà, riveduta e corretta, come antidoto alla forza disgregatrice del Covid, è, prima che un’opportunità, una necessità.

Che può trovare per vero terreno fertile nell’anima profonda di un Paese straordinario, quale resta il nostro, che ha insegnato al mondo formule insuperate di coniugazione della parte migliore dell’umano senso del vivere.

Formule come – mi sia consentito chiudere con un tocco di (apparente) leggerezza – quella, somma e immortale, del napoletanissimo <<caffé sospeso>>, che il senso della funzione sociale della proprietà riesce certamente a sublimare pur nella semplicità estrema di un piccolo grande gesto.

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