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[L’intervento] Luigi Federico Signorini (DG Banca d’Italia): «Servono scelte coraggiose che favoriscano lo sviluppo sostenibile»

Riportiamo l’intervento integrale del direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, che ha parlato in occasione del Convegno “La trasformazione sostenibile: ambiente economia e società. Le sfide che ci attendono, le azioni possibili” organizzato dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontefice a Venezia presso l’Isola di San Giorgio – Fondazione Giorgio Cini Onlus.

Quando – alcuni mesi fa – accettai, dietro la cortese insistenza della vostra Presidente, di prendere parte a questo incontro, il tema che avevo indicato era Transizione climatica: il ruolo della finanza e della supervisione finanziaria.

I tempi sono cambiati. Negli ultimi cento giorni abbiamo visto scorrere quotidianamente davanti ai nostri occhi lo spettacolo orrendo dell’aggressione immotivata e della guerra. Abbiamo visto, seppure da lontano (oggi che ogni parte del mondo, volente o nolente, è testimone oculare di ciò che accade in ogni altra parte del mondo), sofferenze umane e distruzioni materiali su una scala che non immaginavamo più possibile in Europa dopo i giorni di Sarajevo e Srebrenica. Abbiamo registrato le conseguenze economiche, seppure indirette, del conflitto anche da noi: la frenata del prodotto, l’impennata dei prezzi, l’insicurezza degli approvvigionamenti.

Ho sentito dunque la necessità di cambiare anche l’argomento di questa conversazione, perché essa riflettesse meglio l’evolversi delle cose. Ho pensato perfino, non me ne vorrete, di mettere in epigrafe un versetto dell’Apocalisse che simboleggiasse le ansie di oggi e di domani. L’emergenza di questi mesi si è infatti innestata sull’emergenza del secolo, il cambiamento climatico e la necessità di una transizione verso lo sviluppo sostenibile. Se al credente il libro della Rivelazione parla del mistero della fine dei tempi, per un laico il passo che ho citato richiama con drammatica, quasi letterale efficacia la sfida che minaccia il pianeta e l’umanità, di cui esso è la “casa comune”, e che ne deve avere cura1.

Reagire è possibile, purché si sia lungimiranti nel discernere i fini e saggi nello scegliere i mezzi. Dunque è necessario. Al contrario di quello che a volte si sente dire, le conseguenze della guerra, in particolare in tema di approvvigionamenti energetici, non devono farci deviare, o tutt’al più solo per brevi tratti, dal sentiero tracciato; dovrebbero anzi rafforzare la nostra determinazione a percorrerlo fino in fondo. Se le scelte individuali e collettive saranno accorte, l’economia e la finanza si potranno dimostrare strumenti potenti per spingerci avanti.

Cercherò di dirvi quali criteri, a mio avviso, le scelte di politica economica dovrebbero rispettare. Ma vorrei cominciare con una descrizione sommaria della situazione corrente. Avverto che il punto di vista di questo intervento sarà soprattutto, anche per i limiti delle mie competenze, quello nostro, italiano ed europeo. Rinvio a un’altra occasione, se ci sarà e se mi sentirò in grado di coglierla, un ragionamento sul modo in cui la prospettiva che propongo possa essere estesa al resto del mondo, e soprattutto a “quei popoli e Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni più vivi e dolenti”2.

L’economia nell’emergenza

Gli squilibri globali tra domanda e offerta stanno sottoponendo i prezzi dell’energia a una pressione senza precedenti dagli anni settanta del secolo scorso. Nel maggio di quest’anno i prezzi del petrolio sui mercati internazionali erano saliti del 65 per cento rispetto allo stesso mese del 2021; in Italia quelli dell’energia elettrica e del gas sul mercato all’ingrosso erano più che raddoppiati. In altri paesi europei, dipendenti come noi dal gas russo, gli andamenti sono stato analoghi. Benché il prezzo dei combustibili fossili sia cresciuto dovunque, negli Stati Uniti il rincaro del gas è stato meno pronunciato, anche se sta accelerando negli ultimi mesi (con quotazioni cresciute, su base tendenziale, del 53 per cento in febbraio e del 175 per cento in maggio).

Questi sviluppi, che trovano origine nelle difficoltà che l’offerta di fonti fossili sta incontrando nel tener dietro alla rapida crescita della domanda dopo l’uscita dalla crisi pandemica, sono stati aggravati dall’invasione russa dell’Ucraina e dai conseguenti timori di contrazione dell’offerta mondiale di materie prime energetiche. La Russia è infatti uno dei principali produttori di idrocarburi del mondo: nel 2020 forniva il 17 per cento di gas naturale, il 12 per cento del greggio e il 5 per cento del carbone.

Con lo scoppio della guerra le prospettive economiche sono peggiorate, anche se in Italia la vigorosa crescita del 2021, intensificatasi progressivamente, ha fatto sì che il 2022 partisse da un livello relativamente elevato, e finora il sistema economico ha mostrato una notevole capacità di resistenza. Il primo trimestre ha segnato ancora, stando agli ultimi dati, un modestissimo incremento.

E più avanti? In un momento come questo fare previsioni è ancora più arduo del solito. Con il Bollettino economico di aprile, con la Relazione annuale di fine maggio e con l’esercizio comune di previsione dell’Eurosistema appena pubblicato, la Banca d’Italia ha formulato scenari, via via aggiornati, basati sull’evolversi della situazione in Ucraina.

Lo scenario più ottimistico del Bollettino di aprile ipotizzava una rapida conclusione del conflitto, che purtroppo non si è concretizzata. Lo scenario centrale di allora e gli affinamenti successivi continuano a prevedere una crescita sia nel 2022, sia nel 2023; rispetto alle previsioni di prima della guerra la perdita è tuttavia di quasi un punto percentuale all’anno. Uno scenario più severo prende in considerazione un’interruzione temporanea del flusso di gas naturale dalla Russia, che potrebbe essere compensata solo in parte da altre fonti: l’impatto sul PIL sarebbe sensibile, e l’attività di alcuni settori ad alta intensità energetica potrebbe subire interruzioni produttive.

La forte accelerazione dei prezzi dei combustibili importati ha ampliato notevolmente il disavanzo energetico della bilancia dei pagamenti, che ha fatto a sua volta peggiorare il saldo delle partite correnti. Il deficit energetico per ora resta più contenuto di quello di inizio anni ottanta3. In ogni caso, la robusta posizione creditoria del Paese sull’estero accumulata nell’ultimo decennio, grazie all’accresciuta competitività internazionale del sistema produttivo, è un fattore di minore vulnerabilità rispetto a quegli anni.

Resta invece importante l’effetto della crisi sui prezzi. In maggio l’inflazione, secondo la definizione europea armonizzata, ha superato l’8 per cento nell’area dell’euro e il 7 per cento in Italia. La dinamica dei prezzi dei beni energetici spiega in modo diretto circa la metà della variazione dell’indice dei prezzi al consumo dall’inizio dell’anno4; sospinge però verso l’alto anche gli altri prezzi, per via dei costi energetici sopportati dalle aziende di ogni settore. Le aspettative di inflazione a medio termine, sia quelle rilevate dai sondaggi sia quelle desumibili dagli andamenti di mercato, sono per il momento sostanzialmente coerenti con l’obiettivo dell’Eurosistema; ma sono cresciute, e l’attenzione è massima.

Gli approvvigionamenti di energia del paese e i provvedimenti adottati

La Russia è il principale fornitore di idrocarburi dell’Europa. Nel 2021, l’Unione ha importato dalla Russia il 27 per cento del totale del greggio e dei prodotti petroliferi consumati, il 40 per cento del gas e il 46 per cento del carbone5. Per l’Italia la dipendenza dalla Russia per il gas (39 per cento) è in linea con quella europea; quella per il carbone è ancora più forte (56 per cento), ma nel nostro paese il carbone ha un ruolo circoscritto6. Il gas invece alimenta il 52 per cento della domanda residenziale (in particolare per riscaldamento) e oltre l’84 per cento dalla produzione termoelettrica, ovvero il 50 per cento della produzione elettrica totale7. L’impatto sui costi energetici sostenuti dagli utenti finali, in particolare sulle famiglie più povere, è quindi maggiore rispetto a paesi con una produzione elettrica più diversificata.

Un blocco totale delle esportazioni russe verso l’Italia richiederebbe di sostituire ogni anno circa 30 miliardi di metri cubi (poco meno della metà delle importazioni totali di gas) grazie ad altri fornitori; ovvero di ridurre la domanda, che è dominata dalla generazione termoelettrica (44 per cento), e per la parte restante è distribuita in proporzioni quasi uguali tra usi domestici e produttivi (industria e servizi).

La maggior parte del gas arriva in Italia per metanodotto ed è quindi difficile da rimpiazzare; l’approvvigionamento via mare, più flessibile, richiede la disponibilità dei cosiddetti impianti di rigassificazione, oggi in numero limitato. Il Governo sta cercando di accrescere sia le forniture di gas provenienti da altre fonti collegate con metanodotti (Algeria, Azerbaigian), sia la capacità del paese di importare gas naturale liquefatto da Qatar, Egitto e, nel più lungo termine, dal Congo e dal Nord America, realizzando nuovi impianti di rigassificazione galleggianti, più rapidi da mettere in opera di quelli fissi8. Si riattiverebbe anche parte degli impianti a carbone, che avrebbero dovuto essere dismessi tutti entro il 2025. Nel più lungo termine si aggiungerebbe anche una maggiore realizzazione di impianti per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili9.

Il Governo ha inoltre adottato, già a partire dalla seconda metà del 2021, misure di contenimento dei prezzi basate sulla riduzione delle accise e altre iniziative rivolte specificamente alle famiglie vulnerabili (ampliamento dell’importo e della platea dei beneficiari del “bonus energia”). Per il contenimento della domanda, si sono stabiliti limiti di temperatura per la climatizzazione e il riscaldamento degli uffici pubblici, peraltro non sempre facili da attuare e controllare. Per il momento non si è fatto ricorso a provvedimenti più drastici di limitazione della domanda, come quelli proposti in aprile dall’International Energy Agency (IEA)10: tra essi, l’intensificazione dell’uso del lavoro a distanza, un limite ai viaggi aerei, e anche misure che ricordano quelle prese dopo il primo shock petrolifero (riduzione dei limiti di velocità in autostrada, domeniche senz’auto11).

Che fare ora

Gli obiettivi sono quattro: affrancarsi dall’eccessiva dipendenza degli approvvigionamenti energetici; mitigare le conseguenze economiche dei rincari sulle famiglie e sulle imprese, specie le più vulnerabili; scongiurare l’inflazione; il tutto mantenendo la barra diritta, per quanto possibile, sulla transizione climatica.

Transizione climatica, emergenza e sicurezza energetica

Cominciamo da quest’ultima, che resta la bussola fondamentale per orientare l’azione a medio termine. Non credo di avere bisogno di convincere i presenti della sua importanza. I rischi ambientali, economici e umani legati all’aumento delle temperature sono ben noti. Non è questione che si possa rimandare alle future generazioni12. L’urgenza di provvedere ci è stata tra l’altro rammentata, di recente, dal caldo estremo sperimentato in gran parte dell’India e nel vicino Pakistan nei mesi di marzo e aprile, che ha esposto più di un miliardo di persone a temperature ben al di sopra dei 40°C, quando la parte più calda dell’anno deve ancora venire. Pur se il nostro clima è più temperato, dell’aumento tendenziale delle temperature nelle principali città italiane, rilevato oggettivamente dall’Istat, è facile accorgersi anche nell’esperienza soggettiva quotidiana13.

Per combattere l’aumento delle temperature dovuto all’effetto serra bisogna che l’umanità riduca l’immissione netta di gas serra, in primis anidride carbonica, nell’atmosfera. Obiettivi via via più ambiziosi e cogenti sono stati proclamati nel corso degli anni a livello europeo e internazionale14. Per conseguirli sono necessari tre elementi: regole ben disegnate, decisioni mirate di investimento (pubblico e privato), scelte coerenti di consumo. Presupposto di tutto ciò, in un paese basato su un regime democratico e un’economia di mercato, è la consapevolezza del problema da parte di cittadini e consumatori, la “sensibilità ecologica delle popolazioni”15: senza di essa, non si creano gli incentivi giusti né per gli organi dello stato, né per il sistema economico privato16.

Gli investimenti necessari dovranno essere sostenuti in gran parte dai privati, sia per la loro entità, che presumibilmente va ben al di là della capacità di spesa degli enti pubblici, sia per l’attitudine dei meccanismi di mercato a promuoverne l’efficienza. Donde la questione della finanza “verde” e delle regole necessarie per attivarla, il tema originale della mia conversazione (che del resto oggi è stato trattato in parte da altri).

A questo proposito dirò solo, in estrema sintesi17, che ‒ oltre a un atteggiamento favorevole degli investitori (e questo non sembra mancare, visto il rapido sviluppo di strumenti di investimento finanziario “verde” degli ultimi tempi) ‒ affinché la finanza ambientale si sviluppi in modo sostenibile è essenziale anche la disponibilità di informazioni di qualità adeguata (tassonomie, audit e altro), senza le quali l’efficienza delle scelte è menomata e notevole è il rischio di indicazioni fuorvianti (greenwashing). È anche importante che banche e investitori istituzionali siano avvertiti della necessità di governare efficacemente, tra gli altri, il rischio ambientale. Su entrambi questi fronti si sta lavorando, in particolare a livello europeo18.

Ma lasciatemi fare a questo punto un’osservazione che ritengo fondamentale. In un’economia di mercato, ancor più di tassonomie e regole prudenziali, quello che conta sono i prezzi relativi, strumento chiave dell’allocazione efficiente delle risorse. Come è ormai ampiamente riconosciuto, difficilmente una strategia di transizione funzionerebbe senza carbon pricing: senza cioè incorporare nel prezzo dei combustibili fossili il danno che essi arrecano al “bene comune”19, ossia, nel gergo dell’economia, le esternalità negative associate al loro impiego20. La “neutralità climatica” dell’attività umana ‒ precondizione per contenere gli aumenti delle temperature entro i valori di 1,5-2°C, secondo il solenne impegno assunto con la sottoscrizione globale dell’Accordo di Parigi21 ‒ necessita di prezzi che incoraggino un uso più efficiente dell’energia, e, in particolare, di un prezzo relativo che renda le fonti fossili meno convenienti di quelle alternative, avvantaggiando così lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni.

Vorremmo idealmente che il carbon pricing seguisse un percorso graduale e prevedibile, frutto non di fattori esogeni e imprevedibili, bensì di decisioni di politica economica (tasse, sovvenzioni, regole di mercato) esplicite, ben valutate, credibili e (non da ultimo) coerenti a livello globale. La gradualità e la prevedibilità del percorso agevolano la transizione dal lato di chi prende decisioni di investimento e consumo. Una componente fiscale (che peraltro è solo uno dei possibili modi per realizzare il carbon pricing22) è utile per redistribuire l’onere della transizione e mitigarne l’impatto sulle famiglie, sulle imprese e sulle aree più colpite23. La coerenza globale è importante per evitare concorrenza sleale e leakage di emissioni da una giurisdizione all’altra: il carbonio nell’aria non conosce confini.

Non sfugge a nessuno che non ci si può realisticamente aspettare se non un’approssimazione imperfetta del cammino ideale così disegnato: il che deve, non distoglierci dall’obiettivo, ma farci consapevoli degli ostacoli da superare. In particolare, si è constatato ripetutamente quanto sia difficile trovare un accordo globale; neanche durante la presidenza italiana del G20, nel corso della quale molti progressi sono pur stati fatti24, ci si è ancora avvicinati a un insieme di misure specifiche e dettagliate. Donde le proposte di un climate club composto dai paesi più decisi a procedere, di dazi compensativi ai confini, e di altre simili misure.

Né si può dimenticare che è chiedere molto a qualsiasi sistema di governo, democratico o meno, di attenersi credibilmente per alcuni decenni a una strategia che presenta in teoria grandi vantaggi nel lungo termine ma, comportando notevoli rialzi di prezzo, può risultare impopolare nel breve. A maggior ragione tenendo conto del fatto che lo stesso prezzo ottimale, quello cioè che incorpora in modo corretto le esternalità legate alle emissioni, così come gli strumenti tecnici per realizzarlo, sono soggetti a incertezze di calcolo e a differenze di opinione, ed è quindi inevitabile che si proceda almeno in parte per tentativi ed errori.

Questo quadro, già complesso, è stato turbato dal forte e improvviso rialzo del prezzo dei combustibili fossili determinatosi tra il 2021 e il 2022 a seguito delle tensioni economiche e politiche che conosciamo. Un rialzo non voluto né previsto, certamente non “ottimale” nei tempi, nei modi e nei livelli, e tale da colpire pesantemente e all’improvviso famiglie e imprese.

Diversi governi, tra cui quello italiano, sono intervenuti per mitigarne l’effetto immediato sul benessere dei cittadini. I servizi energetici sono per tanti aspetti un bene primario; il loro rincaro pesa di più sui bilanci delle famiglie meno abbienti, acuendo la cosiddetta “povertà energetica”25; e comunque nel breve periodo non è facile adattarsi. Quest’ultimo punto vale anche per le imprese ad alta intensità energetica, che di fronte a uno shock congiunturale che colpisce le varie economie in modo asimmetrico si troverebbero, in assenza di ristori, ad affrontare una crisi, almeno temporanea, di competitività.

Con tutto ciò, sarebbe ben miope chi non riconoscesse che lo shock di prezzo, unito alle incertezze sulla sicurezza degli approvvigionamenti, sta determinando una reazione che, in un periodo di tempo più o meno breve, può comportare risparmi energetici e/o una riconversione a fonti alternative. Alzi la mano chi, avendone la possibilità, non ha già pensato in queste settimane alla possibilità di agire per ridurre in prospettiva il consumo di energia fossile in ambito familiare o di impresa, per esempio installando pannelli solari oppure ricorrendo ad altre fonti rinnovabili. Quanto si risparmierà, e quanto tempo ci vorrà, non sappiamo; ma ci sarebbe da meravigliarsi se gli effetti fossero insignificanti.

Negli anni che sono seguiti ai due grandi shock petroliferi, l’Italia è diventata uno dei paesi più efficienti dell’OCSE in termini di consumo di energia: tra il 1970 e il 1995, l’intensità energetica del PIL italiano si ridusse quasi del 30 per cento. Dopo lo shock esogeno in Italia si mantenne un livello elevato dei prezzi energetici anche grazie a un’imposizione fiscale sui prodotti energetici tra le più alte nella UE26. I prezzi sono stati un segnale fondamentale per accrescere la produttività dell’energia, che prima della crisi petrolifera ristagnava27.

Le differenze rispetto ad allora certo non mancano; tra l’altro, la componente energetica del PIL ha continuato a ridursi negli ultimi trent’anni, anche per la crescita dei servizi a scapito della manifattura; e in questo momento non sappiamo quanto gli aumenti che stiamo sperimentando si dimostreranno permanenti. Dunque l’esempio degli anni settanta non può essere preso come una stima quantitativa dei possibili effetti dello shock di oggi. Ma anche le somiglianze non sono da poco; qualitativamente parlando, gli effetti potrebbero essere non da poco.

Tutto ciò purché si riconosca che, al di là di provvedimenti di emergenza adottati per smussare “punte” temporanee, è bene che l’intervento pubblico che mira a mitigare gli effetti della crisi assuma, più di quanto non ha già fatto, la forma di un soccorso al reddito dei più colpiti e di un aiuto alla transizione; meno la forma di contrasti agli aumenti di prezzo. Dobbiamo certamente sostenere chi è in difficoltà; ma dovremmo anche lasciare agire, per quanto ragionevolmente possibile, il segnale rappresentato dei prezzi relativi. Così in sostanza fu fatto negli anni settanta del secolo scorso. Bisogna pure che ci ricordiamo, e che ricordiamo all’opinione pubblica, che per conseguire gli obiettivi della transizione climatica i prezzi dei combustibili fossili dovevano comunque crescere: e crescere di molto, per quanto varie possano essere le stime sul preciso punto di arrivo.

Questa azione va accompagnata (si è già cominciato a farlo) con ogni possibile agevolazione, anche di natura regolamentare, per le fonti alternative: questo sia per accelerare la transizione, sia per renderla abbordabile per tutti. Sarebbe bene, in prospettiva, aiutare le famiglie che sono o rischiano di essere in condizioni di “povertà energetica”, non offrendo sovvenzioni permanenti all’uso di fonti fossili, ma dando loro la possibilità concreta di ridurre gli sprechi energetici e di passare a fonti rinnovabili. Non un ombrello, cioè, per ripararsi a tempo indeterminato dai rincari dei combustibili a base di carbonio; ma un robusto paio di stivali per fare al più presto il salto verso la decarbonizzazione.

Le azioni di mitigazione trovano un limite anche nella necessità di preservare gli equilibri della finanza pubblica. Ragione di più per evitare ristori generalizzati e per concentrare le sovvenzioni su chi ne ha veramente bisogno.

Le strategie per la transizione climatica e quelle per l’affrancamento dalla dipendenza energetica non sono in contrasto fra loro; al contrario, si rafforzano a vicenda. Entrambe presuppongono una forte diminuzione dell’uso dei combustibili fossili e un forte incremento delle energie rinnovabili.

L’unica eccezione rispetto a questa convergenza di obiettivi può essere rappresentata da un temporaneo incremento nell’uso del carbone, la più inquinante tra le fonti fossili. Può essere un compromesso accettabile se limitato al breve periodo: “in attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie”28.

Qualche economista teme che una ripresa del consumo (e del prezzo) del carbone possa incentivare in prospettiva investimenti eccessivi in questa forma di produzione di energia, che poi condizionerebbero le scelte future. Dobbiamo certo stare attenti a evitare comportamenti, specie pubblici, che spingano in questa direzione; ma a me pare tutto sommato uno scenario poco probabile. Che il carbone sia considerato insostenibile a lungo termine, anche per i suoi gravi effetti sull’inquinamento locale, lo sanno tutti; difficile dunque pensare che cospicui investimenti privati a lungo termine in questo settore possano essere decisi sulla base di misure dichiaratamente, credibilmente temporanee.

Prezzi e inflazione

Gli anni settanta videro una forte riduzione dell’intensità energetica del prodotto, ma anche un periodo di inflazione alta e variabile, che non rientrò se non dopo molti anni e con difficoltà non lievi. Oggi l’inflazione è tornata in prima pagina, dopo diversi anni di morte apparente. Le famiglie cominciano a sentirlo. Dobbiamo spingere l’analogia con quell’epoca fino a credere che un salto del tasso di inflazione sia inevitabile? No, niente affatto; ma occorrono due chiare distinzioni concettuali, e scelte coerenti.

La prima distinzione è tra prezzi relativi e prezzi assoluti. La transizione energetica richiede un aumento dei prezzi relativi dei combustibili fossili; il livello generale dei prezzi è (per lo meno in prima approssimazione) del tutto indifferente.

Ma in pratica l’aumento del prezzo dei combustibili fossili sta portando verso l’alto il livello generale dei prezzi: in parte (come dicevo all’inizio) per via diretta, cioè per l’impatto proporzionale dei prezzi dell’energia sull’indice generale; in parte per via indiretta, tramite le interdipendenze settoriali della produzione, per cui il prezzo dell’energia entra nei costi dei prodotti che usano l’energia come input, e quindi l’incremento si diffonde ad altre componenti dell’indice. Dunque?

Qui occorre la seconda distinzione: quella tra incremento una tantum dei prezzi e inflazione protratta. Bisogna partire dal punto esposto molto chiaramente dal Governatore nelle sue Considerazioni finali, qualche giorno fa. Il rincaro esterno dei prezzi energetici è una specie di tassa “ineludibile” che grava sull’economia dei paesi importatori, tecnicamente tramite un peggioramento delle ragioni di scambio. “L’azione pubblica – dice il Governatore – può ridistribuirne gli effetti tra famiglie, fattori di produzione, generazioni presenti e future; non può annullarne l’impatto d’insieme”. Questa tassa si riflette, per il motivo appena esposto, in un incremento una tantum del livello dei prezzi; tutti, a parità di reddito nominale, ne risultano impoveriti.

L’inflazione si scatenerebbe se, nell’illusione di recuperare individualmente il potere d’acquisto che la collettività nel suo insieme ha perduto, ognuno (famiglie, imprese) cercasse di volta in volta di ridefinire il proprio reddito nominale, dando il via a quella che il Governatore, parlando nel contesto della politica monetaria europea, ha definito una “vana rincorsa” tra prezzi e salari. Vana, perché l’aumento dei salari, impattando sui costi delle imprese – anch’essi gravati dall’aumento del costo dell’energia – provocherebbe a sua volta un nuovo giro di aumenti dei prezzi; e viceversa, in modo simmetrico. Si rischia di non fermarsi più.

L’esperienza degli anni settanta mostra che l’inflazione protratta non è conseguenza inevitabile di uno shock esterno sui prezzi degli input. In Italia questo allora accadde, perché il Paese non seppe guardarsi dall’illusione monetaria. In altri paesi europei fu diverso, e l’effetto dello shock petrolifero assomigliò di più a un incremento dei prezzi una tantum che all’innesco di un processo inflativo poi difficile da domare29. Dobbiamo far tesoro dell’esperienza di allora, sia per quello che ci insegna a fare perché allora lo facemmo bene (lasciare operare il meccanismo dei prezzi relativi), sia per quello che ci insegna a non fare oggi (scatenare la “vana rincorsa”).

Le premesse ci sono. Un elemento da tenere presente nel contesto specificamente italiano è che, a differenza di allora, oggi la contrattazione salariale utilizza come parametro le previsioni di inflazione calcolata al netto dell’effetto dei beni energetici (la “tassa ineludibile”), riducendo gli automatismi; la tutela dei più vulnerabili, come ha ricordato il Governatore, può e deve assumere forme compatibili con il mantenimento della stabilità dei prezzi. Le aspettative di inflazione a medio termine sono tuttora prossime all’obiettivo della politica monetaria europea; ma stanno crescendo, e richiedono attenzione. La politica monetaria possiede oggi non solo tradizioni, ma anche guarentigie istituzionali di indipendenza; queste sono finalizzate a perseguire la stabilità dei prezzi, esplicitamente, come primo obiettivo. – Essa si lascia ormai alle spalle i tempi, protratti, in cui il nemico è stato la deflazione. Non può far nulla contro l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche che viene dall’esterno, ma deve badare al rischio che una crescita una tantum dei prezzi si trasformi in una spirale inflazionistica. “Il quadro congiunturale – cito ancora le Considerazioni finali – è sostanzialmente mutato […] Non vi sono più preclusioni all’abbandono della politica di tassi ufficiali negativi […] Il Consiglio è pronto ad adeguare tutti gli strumenti per perseguire il proprio obiettivo d’inflazione di medio termine”.

I quattro obiettivi che ho enunciato (sicurezza energetica, mitigazione degli effetti della crisi, stabilità monetaria e transizione climatica) possono dunque essere perseguiti tutti simultaneamente, purché le scelte collettive siano ben ponderate.

* * *

Signore e Signori,

La sfida lanciata all’umanità dai cambiamenti climatici è immensa, e richiede una risposta a livello planetario. Gli strumenti da adoperare per vincerla sono molti e vari. In questa conversazione ho offerto alla vostra riflessione e al vostro giudizio alcune tesi di natura economica, come si addice al mio mestiere.

Altri hanno dato contributi tecnici, amministrativi, aziendali. Nessuno di noi però credo si illuda che il problema possa trovare soluzione su un piano puramente tecnocratico. Le leggi naturali, le leggi in cui si incarna l’ordinamento giuridico, e anche quelle, seppur tanto meno precise, dell’economia, non si possono ignorare; e tuttavia, specie in una società aperta come la nostra, presupposti essenziali di un’azione efficace e durevole sono, prima di ogni altra cosa, la consapevolezza e la volontà di agire della società civile: dei cittadini, degli elettori, dei consumatori, degli investitori, di chi orienta l’opinione pubblica.

Ho risposto oggi all’invito di un’associazione che si richiama alla dottrina sociale della Chiesa cattolica. Per quella gran parte dell’umanità che si riconosce in principi religiosi, l’insegnamento di chi li interpreta riveste un’importanza enorme nell’orientare i valori condivisi; dei quali a sua volta, nei modi e nelle forme propri di ogni tradizione religiosa, esso risente30.

Il Santo Padre ha fatto sentire la propria autorevole voce con l’enciclica Laudato si’, qui più volte citata. Mi hanno colpito in essa tra l’altro i richiami all’insegnamento di esponenti di altre confessioni e religioni, primo fra tutti il patriarca Bartolomeo31. Il sorgere e il consolidarsi di un’attiva sollecitudine per le sorti della “casa comune” non è limitato alla religione cristiana; né alle sole religioni abramitiche (l’ebraismo e il cristianesimo tra l’altro devono pur sempre fare i conti con il mandato biblico di “soggiogare la terra” 32, e con la necessità di intendere questa espressione in modo diverso da venticinque o trenta secoli fa, quando non si poteva concepire un “soggiogare” il creato che ne mettesse pericolosamente in discussione gli equilibri33).

Per menzionare un esempio del tutto diverso, il rafforzarsi di una visione “ecologica” del mondo non è stato certo meno naturale nella tradizione buddista, che non pone l’uomo al centro di un progetto divino, ma ne sottolinea più intensamente i legami con gli altri esseri viventi e la natura nel suo complesso (esho funi, non-dualità tra vita individuale e ambiente, “due ma non due”34).

Ognuna con il proprio linguaggio, le religioni pongono l’accento soprattutto su una “conversione”35 o “illuminazione”36 personale. La consapevolezza diffusa, l’ho detto, è essenziale; la società nel suo insieme non cambia rotta se è fermo il timone delle persone che la costituiscono. Ma essa non basta. Per far sì che dall’atteggiamento individuale scaturisca un’efficace azione collettiva, servono strumenti collettivi. Due sono le vie maestre: la politica e l’economia.

Della prima non tocca a me parlare. Sulla seconda, noto che qualche volta tra le persone di religione che proclamano la necessità di un bene sociale, il mercato è visto con una certa diffidenza: “Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta … gravi conseguenze per la società”37. Che resta allora? L’integrità nei comportamenti personali, la “rinuncia”, la “sobrietà”38. Senza nulla togliere al valore morale e sociale di comportamenti individuali responsabili, credo che per rispondere alla sfida del nostro secolo sia utile, anzi imprescindibile, far leva anche sulle forze di mercato.

Il mercato è un mezzo, non un fine. Non ha una “visione della natura”; non dovrebbe essere ipostatitizzato né tanto meno “idolatrato”39. Il mercato siamo noi, consumatori, imprenditori; i suoi valori sono i nostri. Ha leggi da cui mal si prescinde se davvero si vuole il bene comune; ma al tempo stesso rappresenta un sistema, il meno imperfetto che si sia finora inventato, per allocare le risorse sulla base delle preferenze degli individui, nonché delle regole e degli incentivi stabiliti dallo Stato40. Risponde energicamente al sistema dei prezzi. Va sfruttato41.

Come l’apertura dei paesi emergenti all’economia di mercato (lo ha ricordato pochi giorni fa il Governatore, echeggiando in qualche modo, se posso dirlo, la stessa Centesimus annus42) ha permesso al genere umano di compiere grandi passi nella direzione di “sradicare la povertà”43, così politiche sagge e lungimiranti per affrontare la nuova sfida del secolo dovrebbero vedere nel mercato un alleato potente da reclutare, non un avversario da sconfiggere. Così che all’alto appello, “proteggiamo il mondo e non deprediamolo; seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione”44, si possa dare una risposta sempre più efficace per opera degli uomini e delle donne di buona volontà.

Note e citazioni
  1. Lettera enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune (2015), paragrafo 164.
  2. Lettera enciclica Centesimus Annus del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nel centenario della “Rerum Novarum” (1991), paragrafo 58.
  3. C. Giordano ed E. Tosti, An assessment of Italy’s energy trade balance, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
  4. F. Corsello e A. Tagliabracci, Assessing the pass-through of energy prices to core and food inflation in the euro area, Banca d’Italia, 2022.
  5. Commissione europea, In focus: Reducing the EU’s dependence on imported fossil fuels, 20 aprile 2022.
  6. G. C. Blangiardo, Attività conoscitiva preliminare all’esame del Documento di economia e finanza 2022: audizione del Presidente dell’Istat, 14 aprile 2022.
  7. Ministero della Transizione Ecologica, La situazione energetica nazionale nel 2020, luglio 2021.
  8. Iniziative di coordinamento tra i paesi europei consentirebbero di conseguire risultati più efficaci. Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, l’improvviso venire meno delle forniture di gas dalla Russia porterebbe a un’ulteriore crescita dei prezzi dell’energia, ma, nel caso venissero ottimizzati i flussi di energia elettrica all’interno della UE, non costringerebbe l’Italia a razionare la domanda gas (cfr. F. Del Grosso, I. Livi, F. Pontoni e E. Somenzi, Crisi russo-ucraina: analisi di scenario per il sistema elettrico italiano, Fondazione Eni Enrico Mattei, Brief, 2, marzo 2022).
  9. In Italia nel 2020 la capacità installata da fonti rinnovabili ammontava a 56,6 gigawatt (GW). La crescita di questa capacità da raggiungere nel medio termine è delineata dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima – PNIEC e dalla Strategia nazionale di lungo termine sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Secondo il PNIEC andrebbero installati nel prossimo decennio circa 4 GW ogni anno, che nella Strategia diventano 7 GW, dati i nuovi obiettivi di decarbonizzazione delineati dal Green Deal europeo. Gli incrementi sono di molto superiori agli 0,8 GW annui installati nel periodo 2013-2020. Nonostante una forte crescita nelle richieste di connessione alla rete, i progetti per lo sviluppo di impianti rinnovabili è limitato da un contesto sfavorevole in termini di iter autorizzativi e dal disallineamento tra produzione (principalmente localizzata nel Mezzogiorno) e domanda (proveniente soprattutto dal Nord del Paese), uno squilibrio che richiede ingenti investimenti in tecnologie di accumulo.
  10. IEA, A 10-point plan to reduce the European Union’s reliance on Russian natural gas, Parigi, marzo 2022.
  11. Nel novembre del 1973 il governo Rumor aumentò i prezzi dei carburanti, impose un forte limite all’uso dei mezzi di trasporto privati, la riduzione dei limiti di velocità e la chiusura anticipata degli esercizi pubblici.
  12. Laudato si’, 169ss.
  13. Secondo notizie appena pubblicate, in Italia il mese scorso è stato il secondo maggio più caldo in oltre due secoli (+1,83 °C sopra la media 1991-2020), e il primo nel Centro-Nord.
  14. L’Accordo di Parigi adottato nel 2015 in conclusione della 21a Conferenza delle Parti a Parigi, è stato il primo accordo globale sui cambiamenti climatici, giuridicamente vincolante. Nel 2018 la Commissione europea ha delineato una strategia di sviluppo a lungo termine della UE basata sulla decarbonizzazione del suo sistema energetico (Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra, COM(2018) 773 final, 28 novembre 2018). Nel 2019 il Consiglio europeo ha approvato l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 e la Commissione ha presentato il Green Deal (cfr. Commissione europea, Il Green Deal europeo, COM(2019) 640 final, 12 dicembre 2019). Nel luglio 2021 la stessa Commissione ha poi adottato un pacchetto Fit for 55, ossia una serie di proposte legislative che definiscono le misure con cui si intende raggiungere la neutralità climatica, con un obiettivo intermedio di riduzione del 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 (Pronti per il 55%”: realizzare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 lungo il cammino verso la neutralità climatica, COM(2021) 550 final, 14 luglio 2021). Nello stesso anno è entrato in vigore il regolamento UE/1119/2021, che richiama l’obiettivo di neutralità climatica e fissa anche quello intermedio di ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55 per cento entro il 2030 (cfr. anche Laudato si’, 164-165). Come del resto in tanti altri interventi, in Laudato si’ (266) si deplora l’ancora insufficiente seguito pratico degli accordi di cooperazione internazionale.
  15. Laudato si’, 55.
  16. Laudato si’, 55; cfr. inoltre ibid., 206: “I movimenti dei consumatori riescono a fare che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale del loro modello di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori”.
  17. Per qualche approfondimento rimando intanto ad alcuni miei interventi recenti: Transizione climatica, finanza e regole prudenziali, 3 marzo 2022; Conversazione su Dante. Passione civile, vita pubblica, ragionamento economico, 6 dicembre 2021; 15 ottobre 2020. Nel secondo si tocca, sebbene senza approfondire, la questione dell’opportunità di sovvenzioni da parte dei paesi avanzati a quelli emergenti in cambio del raggiungimento di determinati obiettivi climatici.
  18. Tra le numerose iniziative prese a livello europeo, sul piano della supervisione, rileva la pubblicazione nel novembre del 2020 da parte della Banca centrale europea di una Guida sui rischi climatici e ambientali, in cui sono definite sia le aspettative in merito: (a) alle modalità di integrazione del rischio climatico e ambientale nella strategia e nel modello di business, nei processi di governo societario e nel risk management framework delle banche significative all’interno del Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism, SSM); (b) alle informazioni da pubblicare nell’ambito della disclosure al pubblico. In linea con l’iniziativa della BCE e di altre autorità di vigilanza nazionali, la Banca d’Italia ha elaborato un primo insieme di Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali destinato a tutti i soggetti la cui attività è sottoposta ad autorizzazione e vigilanza della Banca d’Italia.
  19. Laudato si’, 23, 156ss.
  20. Si parla qui della questione dei “bisogni collettivi” (o, nel linguaggio dell’economia, dei beni pubblici) “che non possono essere soddisfatti mediante i meccanismi [di mercato]” (Centesimus annus, 40), ma che possono essere almeno in parte ricondotti a tali meccanismi con misure che ne incorporino il valore collettivo nei prezzi individuali. Mi permetto di rinviare ancora una volta alle considerazioni fatte, in tono leggero, nella mia Conversazione su Dante.
  21. Come recita l’art. 2 dell’Accordo: “This Agreement […] aims to strengthen the global response to the threat of climate change […] holding the increase in the global average temperature to well below 2°C above pre-industrial levels and pursuing efforts to limit the temperature increase to 1.5°C above pre-industrial levels, recognizing that this would significantly reduce the risks and impacts of climate change”.
  22. Hanno un ruolo anche i meccanismi che attribuiscono un adeguato prezzo di mercato alle emissioni di gas serra per mezzo dello scambio di permessi limitati, come il Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’Unione europea (European Union emissions trading system, EU ETS), dove si negoziano i permessi di emissione dei grandi impianti energivori europei. Anche questi prezzi sono cresciuti negli ultimi tempi, contribuendo a mettere pressione sui costi di generazione elettrica con carbone e gas: in maggio, la quotazione delle emissioni era aumentata su base tendenziale del 60 per cento, superando gli 85 euro per tonnellata.
  23. Un’interessante esame degli effetti distributivi e di benessere di un’ipotetica carbon tax e di vari modi per redistribuirne i proventi si trova in F. Caprioli e G. Caracciolo, The distributional effects of carbon taxation in Italy, Banca d’Italia.
  24. Nel 2021 la Presidenza italiana del G20 mise al centro della propria agenda il tema della sostenibilità e del contrasto al cambiamento climatico. Particolarmente attiva è stato il Filone finanziario (“Finance Track”) del G20, che coinvolge i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali. È stato creato per la prima volta un gruppo di lavoro permanente (“Sustainable Finance Working Group”) per avviare una serie di iniziative e definire una tabella di marcia con lo scopo di accrescere il contributo della finanza agli obiettivi di sostenibilità. È stato inoltre chiesto al Financial Stability Board (FSB) di sviluppare un piano di interventi per fare fronte ai rischi per la stabilità finanziaria derivanti dai cambiamenti climatici, con l’obiettivo di: (a) migliorare la disponibilità dei dati e promuovere standard uniformi nella diffusione delle informazioni non finanziarie in materia di rischi climatici; (b) perfezionare le metodologie per la valutazione delle vulnerabilità del settore finanziario connesse con i cambiamenti climatici. L’impegno su questi temi è testimoniato dall’attenzione che è stata dedicata nei diversi comunicati dei Ministri e dei banchieri centrali, nonché nella Dichiarazione di Roma adottata nell’ottobre 2021 dai leader del G20.
  25. Faiella I. e L. Lavecchia, La povertà energetica in Italia, Politica Economica, n. 1, pp. 27-76, 2015.
  26. Secondo i dati dell’Eurostat, nel 2020 l’Italia tassava ogni unità di energia finale (espressa in tonnellate di petrolio equivalente) con 350 euro contro una media della UE27 di 232 euro.
  27. Paolo Malanima, Transizione energetica e crescita in Italia. 1800-2010, ISMed–CNR, 2011.
  28. Laudato si’, 165.
  29. Confrontando l’andamento dell’inflazione al consumo in Germania e in Italia nel decennio 1971-1980 si nota che, mentre l’inflazione “strisciante” avviatasi alla fine degli anni Sessanta è un fenomeno comune ai due paesi, i percorsi divergono nettamente dopo lo shock petrolifero del 1973. Secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Consumer prices) il differenziale di inflazione medio tra i due paesi passò da poco più di un punto percentuale nel triennio 1971-1973 a oltre 12 punti nel periodo 1974-1980. In Italia l’inflazione tornò a una cifra solo alla metà degli anni ottanta; non scese stabilmente sotto il 5 per cento che negli anni novanta, con l’avvicinarsi della prospettiva della moneta europea.
  30. “Lo stesso cristianesimo, mantenendosi fedele alla sua identità e al tesoro di verità che ha ricevuto da Gesù Cristo, sempre si ripensa e si riesprime nel dialogo con le nuove situazioni storiche, lasciando sbocciare così la sua perenne novità” (Laudato si’, 121).
  31. Laudato si’, 7-9.
  32. “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Genesi 1:28, versione CEI).
  33. “Anche se qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature” (Laudato si’, 67). “Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano” (Laudato si’, 69).
  34. Ikeda Daisaku, Per una società globale sostenibile ogni persona è protagonista del cambiamento, Istituto buddista italiano Soka Gakkai, 2012, p. 48.
  35. Laudato si’, 216-221.
  36. Nichiren Daishonin, Raccolta degli insegnamenti orali, 2008.
  37. Laudato si’, 82.
  38. Laudato si’, 113, 223.
  39. Centesimus annus, 40-41.
  40. Centesimus annus, 41. Si veda inoltre Centesimus annus, 34: “Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni” Ciò tuttavia – aggiunge Giovanni Paolo II – vale solo per bisogni ‘solvibili’ e per risorse ‘vendibili’. Molti – certo non tutti – dei passi da fare per la transizione climatica consistono in atti di investimento e consumo che implicano transazioni monetarie; per tali atti, incorporare le esternalità ambientali nei prezzi di mercato consente di sfruttarne il potenziale di efficiente allocazione delle risorse.
  41. Riporto, col suo permesso, il commento di un amico e collega credente che ha letto in anticipo questo passaggio: “Qui la tesi pare essere: il mercato ha i meccanismi per indirizzare i comportamenti coerenti con il perseguimento del bene individuale e collettivo. La buona volontà, la moralità, la sobrietà, la rinuncia possono aiutare ma non sono elementi costituenti di un progetto finalizzato al conseguimento del progetto del benessere collettivo. Su questo un cattolico […] dissentirebbe, perché gli incentivi (che […] finiscono sempre per avere una misura monetaria) non completano l’information set sulla base del quale le persone scelgono i comportamenti da adottare. I valori fondanti di una società determinano la forma della funzione di utilità e quindi a parità di segnali di prezzi e vincoli di risorse generano comportamenti diversi. Per questo credo i veri cristiani […] insistono così tanto sui valori. In micro economia noi assumiamo che le preferenze sono un dato pre-economico e da lì partiamo nelle nostre analisi. I cattolici ci dicono che forse è su questo dato pre-economico che dovremmo lavorare.” – In realtà, non dissentiamo affatto. La buona volontà, individuale e collettiva, è elemento costitutivo del progetto. Credente o meno, chi ha a cuore le sorti del pianeta deve lavorare su quelle che per l’economista sono preferenze esogene. Il mercato non è che uno strumento per realizzare queste preferenze; ma è uno strumento potente.
  42. “L’esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale” (Centesimus annus, 33).
  43. Laudato si’, 175.
  44. Laudato si’, 246 (parafrasi).
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