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[L’intervento integrale] Ignazio Visco (governatore Banca d’Italia): «La transizione digitale sta trasformando il sistema bancario. Sull’ euro digitale occorre valutare rischi e opportunità »

Visco-26-novembre-2021-Milano

Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è intervenuto a Milano nell’ambito del convegno “Il sistema finanziario europeo nella prospettiva post-Covid”, organizzato dall’Associazione Europea per il Diritto Bancario e Finanziario. Riportiamo di seguito il suo intervento integrale.

TIl nuovo incremento dei contagi in Europa e in altri paesi sposta ancora in avanti la prospettiva post-Covid. A differenza dello scorso anno, le società del mondo avanzato sono oggi meno vulnerabili grazie alle massicce campagne di vaccinazione. Occorre proseguire con decisione nei programmi di immunizzazione ed estenderli alle aree che ne hanno beneficiato meno; il definitivo superamento della pandemia può avvenire soltanto a livello globale.

Il sistema finanziario italiano e quello europeo hanno fatto fronte alla crisi pandemica senza subire rilevanti contraccolpi. Gli interventi delle autorità fiscali e monetarie hanno contribuito in misura determinante a mantenere condizioni finanziarie distese; la fase di uscita va quindi gestita con la necessaria gradualità.

Diversamente da precedenti episodi di crisi, non si è innescata una spirale recessiva tra l’indebolimento dei bilanci delle imprese, i mercati e le condizioni delle banche, favorite dalla liquidità fornita dall’Eurosistema. Il settore finanziario ha potuto così svolgere un importante ruolo di sostegno all’economia reale nella trasmissione delle misure varate dai governi. Tra la fine di febbraio del 2020, al momento dello scoppio della pandemia, e lo scorso settembre i prestiti alle famiglie sono cresciuti del 6,2 per cento nell’area dell’euro e del 5,2 in Italia; quelli alle imprese sono rispettivamente aumentati dell’8,1 e del 9,2 per cento.

I livelli di patrimonializzazione delle banche, saliti a seguito delle riforme regolamentari introdotte successivamente alla crisi finanziaria globale del 2007-08, sono ulteriormente cresciuti, grazie al contributo dei limiti alla distribuzione dei dividendi raccomandati dalle autorità di vigilanza. Con il miglioramento delle prospettive economiche, nella prima metà di quest’anno la redditività è tornata ad aumentare, soprattutto a seguito del calo delle rettifiche di valore su crediti, che nel 2020 si erano collocate su livelli particolarmente elevati.

La ripresa dell’attività economica procede a un ritmo migliore di quanto atteso solo pochi mesi fa: la crescita del prodotto supererà il 6 per cento quest’anno, recuperando oltre i due terzi di quanto perduto nel 2020. Permane tuttavia elevata l’incertezza, riflesso soprattutto di una situazione sanitaria tornata a essere in Europa fonte di notevole preoccupazione, con conseguenze oggi difficili da anticipare, anche se gli indicatori di breve periodo continuano a essere in complesso favorevoli.

Dall’aumento dei prestiti ristrutturati e dei finanziamenti per i quali le banche hanno osservato un significativo incremento del rischio di credito (classificati nel cosiddetto “stadio 2” previsto dal principio contabile IFRS 9) potrebbe conseguire una crescita delle perdite su crediti, pur se verosimilmente inferiore a quanto avvenuto in precedenti episodi di crisi. La necessità, da tutti condivisa, di aiutare famiglie e imprese in temporanea difficoltà non deve ostacolare la corretta classificazione dei prestiti né andare a scapito di un pronto riconoscimento delle perdite ritenute probabili.

Per l’intermediazione non bancaria i principali rischi sono connessi con la possibilità di brusche correzioni dei corsi delle attività finanziarie determinate da un peggioramento delle prospettive di ripresa dell’economia. Negli ultimi mesi i tassi di interesse a lungo termine sui titoli pubblici e la loro volatilità sono cresciuti nelle principali economie avanzate, inclusa l’area dell’euro. All’incertezza sulla persistenza delle pressioni inflazionistiche si sono affiancate valutazioni di mercato sulla possibilità di un rientro dagli stimoli monetari più rapido delle attese. Le tensioni che ne sono risultate sono state finora riassorbite senza ripercussioni sugli altri segmenti dei mercati finanziari.

In Italia i rischi per la stabilità finanziaria provenienti dall’industria del risparmio gestito si mantengono contenuti, grazie al buon allineamento tra la liquidità dell’attivo e del passivo dei fondi comuni e alla ridotta dimensione dei comparti caratterizzati da alti livelli di leverage. Sul piano internazionale essi possono invece essere particolarmente rilevanti per alcuni intermediari soggetti a requisiti meno stringenti o del tutto al di fuori del perimetro regolamentare, ma con estese interconnessioni all’interno del sistema finanziario. È stato questo, ad esempio, il caso del family office statunitense Archegos Capital Management, il cui dissesto è stato indotto da una pericolosa strategia di investimento in strumenti derivati attraverso l’assunzione di posizioni a elevata leva finanziaria, con gravi ripercussioni sui bilanci di alcune banche sistemiche globali esposte verso tale impresa.

Per alcuni intermediari non bancari, ad esempio quelli che operano nel settore immobiliare, del private equity e del credito, permangono inoltre carenze sul piano della conoscenza delle loro reali esposizioni al rischio; ciò rende difficile l’identificazione dei possibili canali di trasmissione degli shock ai mercati e agli altri segmenti del sistema finanziario. Le incertezze connesse con la valutazione dei possibili effetti della gravissima crisi del gruppo immobiliare cinese Evergrande ne sono un esempio. Anche in base alle priorità indicate all’inizio di quest’anno dalla Presidenza italiana del Gruppo dei Venti (G20), il Financial Stability Board sta lavorando per colmare queste lacune informative, il primo, necessario, passo su cui basare una complessiva revisione della regolamentazione di questo comparto.

Negli ultimi anni, anche per l’impulso determinato dalla crisi pandemica, si stanno definitivamente affermando due fenomeni che già da tempo impegnano il sistema finanziario europeo in un complesso processo di cambiamento: la diffusione delle tecnologie digitali e lo sviluppo della finanza sostenibile. Sono fenomeni destinati ad assumere importanza crescente e a condizionare in modo cruciale l’evoluzione dell’industria finanziaria.

Il maggiore ricorso alle innovazioni tecnologiche modifica sia gli assetti organizzativi degli intermediari sia le loro modalità di distribuzione dei prodotti e dei servizi offerti; li espone a nuove pressioni competitive provenienti dall’emergere di start-up finanziarie particolarmente innovative e da imprese, multinazionali e di grandi dimensioni, operanti in altri comparti dell’economia. Si sta inoltre decisamente intensificando la partecipazione delle banche e degli altri intermediari allo sforzo che tutti i settori produttivi sono oggi chiamati a esercitare per rendere l’economia globale più sostenibile. Di questo comincia a esservi crescente evidenza nel nostro paese; la Banca d’Italia, anche al fine di promuovere una maggiore consapevolezza su questi temi da parte della comunità finanziaria, con la sua Carta degli investimenti sostenibili pubblicata lo scorso luglio ha comunicato i principi cui si ispira la gestione dei propri investimenti finanziari e ha indicato precisi impegni mediante i quali intende dare concretezza alla propria azione a favore di un modello di crescita economica sostenibile.

L’innovazione tecnologica: opportunità e rischi

La diffusione delle tecnologie digitali da un lato sta ampliando la gamma di prodotti e servizi finanziari offerti, dall’altro porta a riduzioni di costo per i clienti; il potenziale per ulteriori sviluppi è enorme. L’industria finanziaria non è nuova a ondate di rapido cambiamento tecnologico: ciò che differenzia la situazione attuale dal passato è che le spinte innovative provengono prevalentemente dall’esterno del settore. Per poter sfruttare appieno i vantaggi della digitalizzazione e affrontare con prospettive di successo le nuove sfide competitive è necessario che le banche e gli altri intermediari effettuino ingenti investimenti, riconsiderino la composizione del personale innalzando le competenze digitali, estendano le collaborazioni con società Fintech o BigTech.

Secondo l’ultima delle indagini sugli investimenti in innovazione tecnologica che la Banca d’Italia effettua ogni anno presso un ampio campione di banche e società finanziarie, le risorse destinate ai progetti previsti per il biennio 2021-22 sono pari a 530 milioni, un valore quasi doppio rispetto a quelli del biennio 2017-18. Esse sono tuttavia concentrate in un numero esiguo di intermediari: l’85 per cento degli investimenti fa infatti capo a soli 10 operatori, a fronte delle 110 banche e dei 48 intermediari non bancari che hanno partecipato alla rilevazione. Una maggiore diffusione delle nuove tecnologie sarebbe frenata tanto da considerazioni di natura economica – quali l’insufficiente domanda attesa per i prodotti e i servizi generati dagli investimenti, gli alti costi e le difficoltà di reperimento del personale con conoscenze adeguate – quanto da fattori di natura più operativa, in particolare la scarsa compatibilità tra vecchi e nuovi sistemi e la complessità nel controllo dei rischi per la sicurezza informatica.

In Europa le logiche aperte e collaborative introdotte nell’ambito dei servizi di pagamento a seguito delle previsioni regolamentari volte a permettere (previo consenso) l’accesso di terze parti ai conti della clientela, il cosiddetto open banking, si sono rapidamente diffuse; si sta considerando, altresì, di estendere l’obbligo di condivisione delle informazioni anche ad altri servizi finanziari (quali quelli assicurativi o di investimento). Insieme con il crescente utilizzo di piattaforme online come canale di distribuzione di prodotti e servizi finanziari, l’affermazione dell’open banking pone importanti sfide a intermediari, regolatori e supervisori.

L’introduzione e il crescente utilizzo di queste tecnologie favoriscono infatti lo sviluppo di servizi e prodotti personalizzati e a elevato valore aggiunto; incentivano altresì forme di collaborazione tra intermediari e operatori tecnologici anche al di fuori del perimetro dei servizi di pagamento, come la valutazione del merito creditizio. Si tratta di cambiamenti rilevanti nell’ambito delle attività svolte dagli operatori vigilati, che richiedono investimenti e revisioni degli assetti organizzativi e di controllo dei rischi; la vigilanza, d’altro canto, è chiamata a rivedere le prassi per il monitoraggio e il controllo di rischi vecchi e nuovi.

Algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning cominciano a trovare applicazione nella tradizionale attività di intermediazione; il loro utilizzo nell’ambito delle piattaforme sarà sempre più diffuso. Gli ambiti di applicazione sono vasti, spaziando dai processi di back-office all’analisi e alla gestione dei rischi cibernetici e operativi, al marketing, alla consulenza in materia di investimenti finanziari. La complessità degli algoritmi espone tuttavia gli intermediari al rischio di utilizzi anche involontariamente scorretti, che potrebbero ad esempio determinare discriminazioni della clientela.

Alcuni intermediari stanno sviluppando queste tecnologie anche per potenziare l’efficacia dei modelli interni utilizzati a fini prudenziali. Nello sviluppo di tale attività andrà prestata particolare attenzione alla robustezza degli algoritmi utilizzati e all’interpretabilità dei risultati ottenuti dai modelli. Nella valutazione di questi risultati l’esame dei potenziali rischi derivanti dall’applicazione “meccanica” degli algoritmi dovrà essere approfondito anche nella necessaria interazione con le autorità di vigilanza.

Un ulteriore canale di sviluppo tecnologico in forte crescita è rappresentato dalla cosiddetta “tokenizzazione” delle attività finanziarie, ovvero l’incorporazione in uno strumento digitale iscritto su un registro elettronico (blockchain) dei diritti di proprietà su un particolare prodotto. I token digitali applicati alle attività finanziarie potranno ridurre i costi e i tempi di transazione collegati alle emissioni e alla circolazione degli strumenti finanziari, favorendo così l’ampliamento della platea degli investitori e degli emittenti nonché la crescita e l’affidabilità di mercati di attività sinora considerate poco liquide.

Ma l’uso delle tecnologie digitali nell’offerta di prodotti e servizi finanziari deve avvenire in condizioni di sicurezza per gli investitori, gli emittenti e l’economia in generale. A livello globale, i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dallo sviluppo del mercato delle cripto-attività sono in aumento. Sebbene queste ultime rappresentino una quota contenuta del valore totale delle attività finanziarie, la loro capitalizzazione è aumentata di 3,5 volte nel 2021, raggiungendo i 2.800 miliardi di dollari. Vi hanno contribuito la maggiore esposizione verso questi strumenti da parte del settore finanziario non bancario – principalmente fondi di investimento speculativi e family offices – e la crescente interconnessione con il mondo finanziario tradizionale. Le caratteristiche di alcune tipologie di cripto-attività, come l’anonimato o l’emissione e la circolazione su infrastrutture completamente decentralizzate, destano anche particolari preoccupazioni legate all’eccessivo consumo energetico, al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

La diffusione non controllata delle cripto-attività presenta per il pubblico forti rischi ed è costante il nostro impegno per contenerli, informando i risparmiatori dei pericoli 4 5 legati agli investimenti in quelle attività digitali che, per loro natura, hanno un valore instabile e sono altamente esposte a bolle speculative. Per le cosiddette stablecoins, che si prefiggono di mantenere un valore stabile nel tempo e che potrebbero essere utilizzate per i pagamenti, abbiamo collaborato alla stesura delle dieci raccomandazioni adottate dal Financial Stability Board e riconosciute dal Gruppo dei Sette (G7) riguardanti le implicazioni normative e di vigilanza. Abbiamo inoltre partecipato attivamente al negoziato per la definizione di un quadro normativo europeo volto, tra l’altro, a garantire la redimibilità di tali attività. Operiamo nelle sedi della cooperazione internazionale per garantire che le innovazioni nei pagamenti digitali privati siano sicure; come ribadito nell’ambito del G7 nessun progetto di stablecoin può essere avviato fino a che non siano adeguatamente soddisfatti i necessari requisiti legali, normativi e di supervisione.

Lo scorso luglio il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha avviato la fase di investigazione dell’euro digitale, che sarà coordinata da una task force ad alto livello dell’Eurosistema di cui siamo parte. Verranno affrontate questioni chiave riguardanti le possibili caratteristiche dell’euro digitale, tra cui gli aspetti infrastrutturali, quelli distributivi e gli ambiti di utilizzo che rispondano alle esigenze degli utenti. Questa prima fase segue la consultazione pubblica e il lavoro di sperimentazione svolto negli ultimi mesi, cui la Banca d’Italia ha contribuito significativamente.

L’uso degli strumenti di pagamento digitali al dettaglio è in crescita costante, sostenuto da mutamenti strutturali della nostra economia come i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori e la crescita dell’e-commerce. In tale contesto, l’euro digitale assicurerebbe che il pubblico continui a godere dei benefici legati all’uso dell’unica moneta priva di rischi, quella emessa dalla banca centrale, e aiuterebbe a preservare la fiducia dei cittadini nel sistema monetario e nelle forme di denaro privato. Anche la politica monetaria e la stabilità finanziaria potrebbero trarne benefici.

Una moneta digitale emessa dall’Eurosistema fungerebbe da complemento, piuttosto che da sostituto, rispetto al contante e agli altri mezzi di pagamento elettronici esistenti o che potranno essere sviluppati in futuro. A tal fine, le sue caratteristiche dovranno essere tali da soddisfare le aspettative degli utenti, garantendo la privacy, la sicurezza e la facilità di utilizzo, e favorire l’innovazione e la trasformazione digitale dell’economia. Per evitare effetti indesiderati sul mantenimento della stabilità monetaria e finanziaria saranno necessarie analisi quantitative per valutare l’opportunità di introdurre vincoli all’utilizzo della moneta digitale (ad esempio, limiti agli importi che possono essere detenuti o trasferiti dagli utenti). La decisione sulla possibile emissione di un euro digitale sarà presa nei prossimi anni alla luce dei risultati delle attività che abbiamo avviato.

La diffusione delle nuove tecnologie implica anche una maggiore esposizione degli intermediari ai rischi cibernetici. Nel 2020 gli attacchi informatici gravi alle principali banche europee – le banche cosiddette “significative”, sottoposte alla diretta vigilanza dalla BCE – sono aumentati del 54 per cento, un valore in linea con quello registrato per quelle italiane (significative e non). Gli incidenti hanno avuto generalmente conseguenze limitate, anche grazie ai presidi imposti dalla regolamentazione.

La natura globale del rischio cibernetico richiede uno stretto coordinamento tra le autorità nazionali e internazionali. La Banca d’Italia partecipa attivamente ai lavori del Financial Stability Board e del Comitato di Basilea per la definizione di standard di sicurezza comuni per gli intermediari finanziari. In Europa la Commissione ha pubblicato per la consultazione un pacchetto di misure sulla resilienza operativa digitale per il settore finanziario (Digital Operational Resilience Act, DORA). Con esso verranno applicati agli operatori del settore requisiti normativi armonizzati in materia di gestione del rischio cibernetico, notifica di incidenti rilevanti, previsioni relative all’esternalizzazione di servizi.

Il ricorso a fornitori esterni, soprattutto in ambito informatico, è in crescita e i rischi che possono derivarne per i singoli intermediari e per la stabilità finanziaria nel suo complesso sono da tempo all’attenzione degli organismi internazionali. Per migliorare la conoscenza dell’industria dei fornitori, valutare i presidi adottati dagli intermediari che ricorrono all’esternalizzazione e verificare l’eventuale presenza di fenomeni di concentrazione nell’offerta dei servizi, la Banca d’Italia ha recentemente effettuato un’apposita rilevazione. I dati indicano che le attività maggiormente oggetto di esternalizzazione sono quelle relative alle funzioni di back-office e di adempimenti di vigilanza, alla gestione dei sistemi informativi e al credito. Si registra inoltre una elevata concentrazione nei primi tre fornitori per quasi tutte le attività. Siamo impegnati nell’individuazione delle possibili misure da adottare per mitigare i rischi di concentrazione. Gli intermediari che ricorrono all’esternalizzazione mantengono in ogni caso la responsabilità sulle attività affidate a terzi e sono tenuti a esercitare su di essi un’azione di controllo.

Per favorire la transizione digitale del sistema finanziario nazionale e bilanciare la necessità di promuovere l’innovazione con quella di presidiare adeguatamente i rischi, la Banca d’Italia ha da tempo aperto canali di dialogo con il mercato. Sin dal 2017 è attivo il Canale Fintech, un punto di contatto attraverso il quale gli operatori possono presentare progetti innovativi nel campo dei servizi bancari e finanziari ed ottenere chiarimenti e indicazioni anche di natura regolamentare. Le iniziative sinora gestite superano le 100.

Accanto al Canale Fintech si sono recentemente aggiunti la sandbox regolamentare e Milano Hub, il centro di innovazione realizzato dalla Banca d’Italia. La costituzione di un sistema integrato di iniziative a supporto della transizione digitale del settore finanziario offre opportunità tanto per le imprese quanto per le istituzioni coinvolte, che potranno beneficiare di un osservatorio privilegiato sulle dinamiche in corso e individuare i possibili interventi, anche normativi, per agevolare lo sviluppo del Fintech e contenere la diffusione di potenziali nuovi rischi.

La sandbox regolamentare è un ambiente controllato dove intermediari vigilati e operatori del settore Fintech potranno testare sperimentazioni tecnologicamente innovative volte a migliorare la qualità e ridurre i costi di servizi e prodotti bancari, finanziari e assicurativi. La sperimentazione avverrà in costante dialogo, anche ai fini della valutazione delle compatibilità normative, con le autorità di controllo (Banca d’Italia, Consob, Ivass) e sotto il coordinamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interno del Comitato Fintech. Dallo scorso 15 novembre, per un periodo di due mesi, è possibile presentare le prime richieste di ammissione alla sandbox.

La costituzione del Milano Hub è volta a sostenere l’evoluzione digitale del mercato finanziario e favorire l’attrazione di talenti e investimenti; stimolerà il confronto e il dialogo con gli operatori, l’accademia e le imprese per la condivisione di analisi e ricerche e per offrire sostegno allo sviluppo di progetti innovativi in grado di apportare benefici diffusi. Si è chiuso da poco il primo invito a presentare progetti dedicati all’intelligenza artificiale e, in particolare, al contributo che questa nuova tecnologia può dare al miglioramento dei servizi bancari, finanziari e di pagamento. Le iniziative che verranno ritenute più meritevoli potranno giovarsi del sostegno, nella fase di sperimentazione, di gruppi specialistici multidisciplinari, cui parteciperanno esperti della Banca d’Italia.

Nel maggio del 2021, facendo seguito a un’analoga iniziativa presa lo scorso anno dalla Presidenza saudita del G20, il Milano Hub e l’Innovation Hub della Banca dei regolamenti internazionali hanno promosso una seconda edizione del G20 TechSprint, una competizione volta a premiare progetti innovativi di natura finanziaria. Il tema scelto per quest’anno ha riguardato applicazioni digitali alla finanza sostenibile. Sono state ricevute circa 250 manifestazioni di interesse, con 99 domande complete provenienti da 25 paesi; tra le 21 squadre avanzate alla fase finale le 3 soluzioni più promettenti sono state premiate nello scorso mese di ottobre.

Transizione ecologica e finanza sostenibile

Negli ultimi anni la finanza sostenibile è cresciuta in misura rilevante. Nel 2020, secondo la Global Sustainable Investment Alliance, oltre 35.000 miliardi di dollari erano impiegati in investimenti sostenibili, il 54 per cento in più rispetto al 2016. I fondi sostenibili hanno attratto flussi netti per un valore di oltre 50 miliardi di dollari, più del doppio rispetto al 2019. Secondo stime recenti, nel 2021 le emissioni di obbligazioni verdi o sostenibili ammontano a oltre 400 miliardi di dollari; quelle in essere si attesterebbero ormai a quasi 1.500 miliardi. La forte espansione di questo mercato rappresenta una significativa opportunità per le banche che si impegneranno per finanziare direttamente progetti sostenibili o sviluppare servizi e prodotti con lo scopo di favorire gli investimenti della clientela.

Gli obiettivi di neutralità climatica da raggiungere nei prossimi decenni richiedono, peraltro, una mole ancora più elevata di finanziamenti al fine di modificare radicalmente il modo in cui produciamo, trasportiamo e utilizziamo energia. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, entro il 2030 gli investimenti in tecnologie pulite dovranno triplicare a livello globale, raggiungendo i 4.000 miliardi di dollari.

Per mobilitare una tale quantità di risorse occorre il pieno coinvolgimento del sistema finanziario, oggi frenato dalla scarsa qualità delle informazioni sui rischi legati al clima, che risulta decisamente inferiore a quella dei dati di natura finanziaria, quali quelli che riguardano i rischi di credito e di mercato. Questo problema è in parte originato anche dalla mancanza di una definizione generalmente accettata del rischio di sostenibilità. Nel caso del rischio di credito, ad esempio, la definizione comune considerata dagli investitori porta a una elevata correlazione dei meriti di credito assegnati alle imprese dalle diverse agenzie di rating. Per il rischio di sostenibilità, invece, l’esistenza di definizioni molto diverse, che vanno da quelle che considerano solo gli effetti finanziari nel breve termine a quelle che contemplano anche l’impatto a più lungo termine, si riflette in una correlazione bassa tra i cosiddetti punteggi ESG (Environmental, Social, Governance) assegnati dalle diverse agenzie specializzate.

Migliorare la valutazione di rischi finanziari legati al clima, facilitandone l’integrazione negli investimenti, richiede dunque di colmare le lacune nei dati, ampliandone la diffusione da parte delle imprese. Attualmente, la disponibilità di informazioni è limitata alle grandi aziende. Le imprese più piccole, che spesso operano in settori meno inquinanti, potrebbero pertanto perdere l’opportunità di raccogliere capitali a costi inferiori; per alleggerire l’onere della raccolta e della divulgazione dei dati sulla sostenibilità delle loro attività andrebbe intensificato il ricorso alle tecnologie digitali, in grado di fornire soluzioni innovative, creative ed efficienti.

Una maggiore quantità e qualità delle informazioni sulla sostenibilità è fondamentale anche per garantire che il mercato funzioni in modo efficiente. Solo in questo modo le imprese con le migliori pratiche di sostenibilità potranno beneficiare di condizioni di finanziamento più favorevoli, mentre quelle che tarderanno ad adeguarsi saranno penalizzate fino a che non intraprenderanno azioni più credibili o ambiziose per la transizione ecologica. Migliori informazioni sono essenziali anche per prevenire il rischio di greenwashing, che si materializza quando si comunica in modo ingannevole la presunta sostenibilità delle proprie strategie.

La rilevanza di questi temi è stata alla base della intensa azione per la promozione della finanza sostenibile nei lavori svolti quest’anno nell’ambito del Finance track della Presidenza italiana del G20. Abbiamo chiesto al Fondo monetario internazionale di avviare e promuovere iniziative per ampliare le informazioni sui rischi climatici con il lancio di una nuova Data Gap Initiative. Il Financial Stability Board è stato inoltre invitato a preparare due rapporti: il primo per identificare le lacune oggi esistenti nei dati utili per l’analisi dei rischi finanziari legati al clima e formulare raccomandazioni volte a colmarle; il secondo per definire gli interventi in grado di migliorare gli standard di diffusione delle informazioni relative a tali rischi a livello di singola impresa.

Ma l’iniziativa di maggior rilievo è stata la ricostituzione e la valorizzazione del Sustainable Finance Working Group, presieduto da Cina e Stati Uniti, le due maggiori economie mondiali e le giurisdizioni a cui fa capo, insieme all’Unione europea, circa la metà delle emissioni globali di gas serra. Le attività del Gruppo si sono concentrate in tre aree principali: la divulgazione e la rendicontazione di sostenibilità; le metriche per la classificazione e la verifica degli investimenti sostenibili; l’allineamento dell’operatività delle istituzioni finanziarie internazionali agli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 e all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Il rapporto di sintesi del Gruppo è stato approvato dai Ministri delle finanze e dai Governatori delle banche centrali e le sue conclusioni sono state incluse nella dichiarazione finale dei Leader del G20. Il Gruppo ha inoltre predisposto una roadmap per la finanza sostenibile che traccia l’agenda futura di questo tema per la comunità del G20. Questa tabella di marcia è complementare a quella analoga predisposta dal Financial Stability Board, focalizzata sulle azioni e gli interventi necessari per rafforzare la gestione dei rischi climatici e la tutela della complessiva stabilità finanziaria. La roadmap del Financial Stability Board si basa su una sequenza di azioni per migliorare l’informazione fornita dalle imprese, la disponibilità di dati e l’analisi delle vulnerabilità, nonché per individuare le misure di regolazione e supervisione da adottare per la mitigazione dei rischi.

Le autorità di supervisione stanno adottando iniziative per spingere banche e altri intermediari a dotarsi di opportuni presidi per misurare, monitorare e gestire i rischi finanziari derivanti dal cambiamento climatico. All’inizio di questa settimana la BCE ha pubblicato un rapporto in cui si evidenzia come gli intermediari significativi europei, nonostante i notevoli sforzi profusi negli ultimi anni e la consapevolezza della rilevanza di questi temi, siano ancora lontani dal disporre di assetti organizzativi in linea con le aspettative del supervisore.

Un ulteriore stimolo proverrà dall’esercizio di stress test sulle banche significative europee che sarà condotto il prossimo anno dalla BCE. L’esercizio è l’occasione, sia per le banche sia per il supervisore, per sviluppare le necessarie competenze nell’ambito della finanza sostenibile. Esso consentirà una prima valutazione della capacità degli intermediari di fronteggiare i rischi finanziari derivanti dal cambiamento climatico utilizzando diversi scenari e sarà modulato tenendo conto del livello di preparazione delle banche partecipanti; i risultati non avranno un impatto diretto sui requisiti di capitale e saranno integrati con un approccio qualitativo nel processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP).

Non vi è dubbio che la strada da percorrere sul fronte della transizione ecologica sia ancora lunga, ma non si può esitare a intraprenderla con decisione. La COP26 di Glasgow appena conclusa ha visto, come nel caso della Dichiarazione dei Leader del G20, l’emergere di incertezze e resistenze. Si sarebbe certamente potuto fare di più ma i risultati raggiunti sono tutto sommato positivi. Con la piena attuazione degli impegni di limitare le emissioni dichiarati dai paesi nel corso della Conferenza, il riscaldamento globale non supererà gli 1,8 gradi entro la fine del secolo, mantenendosi quindi al di sotto della soglia di 2 gradi stabilita nell’Accordo di Parigi. Le iniziative settoriali lanciate nel corso della Conferenza di Glasgow – tra cui quelle riguardanti la riduzione dell’utilizzo del carbone, la lotta alla deforestazione e alle fughe nella filiera del metano – potranno inoltre contribuire a contenere ulteriormente l’aumento delle temperature.

* * *

Il sistema finanziario europeo sarà tanto più in grado di vincere le sfide poste dall’innovazione tecnologica e dal contrasto ai mutamenti climatici quanto più sarà solido e capace di far fronte a shock avversi anziché amplificarli. La risposta concreta alla dolorosa esperienza della pandemia ne è stato un chiaro esempio. Oltre ai tradizionali profili di rischio, il cui presidio verrà ulteriormente rafforzato con il recepimento degli ultimi accordi di Basilea, gli intermediari sono chiamati a controllare e gestire con maggiore attenzione i rischi cibernetici e quelli derivanti dall’affidamento a terzi di un novero crescente di funzioni, rischi che possono compromettere la stabilità dei singoli operatori e del sistema finanziario. Non dovranno essere sottovalutati neppure gli elementi di complessità indotti dall’ingresso di nuovi operatori nei mercati finanziari. Allo stesso tempo sarà cruciale disporre di dati adeguati e affidabili sulle conseguenze dei cambiamenti del clima e delle misure che verranno varate dai governi per favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

In Europa, inoltre, occorrerà tornare a spingere per la relizzazione dell’Unione del mercato dei capitali considerando anche i rischi e le opportunità posti dalle nuove tecnologie e dalla transizione ecologica. In modo sinergico e complementare con il ruolo svolto dalle banche e dai mercati finanziari regolamentati, lo sviluppo della finanza non bancaria potrà contribuire ad ampliare le fonti di finanziamento delle imprese, favorire una corretta allocazione dei capitali e il ritorno su una traiettoria di crescita sostenuta, e al tempo stesso sostenibile. Il tutto dovrà tuttavia trovare riscontro in un quadro regolamentare sistematico e chiaro, che salvaguardi concorrenza e stabilità finanziaria.

L’azione di regolatori e supervisori mira a creare condizioni tali da permettere agli intermediari di compiere scelte lungimiranti, che non possono ormai essere più rimandate. Gli investimenti di oggi in infrastrutture informatiche, in acquisizione, gestione e analisi di grandi quantità di dati, in capitale umano, in prevenzione dei rischi cibernetici determineranno la struttura dell’industria finanziaria dei prossimi anni e la sua effettiva capacità di sostenere l’economia reale. Consentiranno anche di controllare più efficacemente i rischi derivanti dai mutamenti climatici e di sostenere, per questa via, le politiche volte a contrastarli.

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