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L’inflazione si sgonfia ma è presto il taglio dei tassi | L’analisi

Il calo della crescita dei prezzi al consumo, al di sotto del 5% nel Regno Unito il mese scorso e di circa il 3% negli Stati Uniti e nell’Eurozona, sta alimentando le aspettative secondo cui le banche centrali potrebbero orientarsi verso il taglio dei tassi di interesse, ma non subito: bisognerà aspettare il prossimo anno e probabilmente la seconda metà del 2024.

In ogni modo, anche se l’auspicato picco dei tassi è un po’ sfuggente, i rialzi sono ai titoli di coda e sono praticamente finiti in Europa, anche se ufficialmente nessun banchiere della Bce lo dice.

L’inizio di una nuova fase più accomodante per le banche centrali aumenterebbe le aspettative di un atterraggio morbido negli Usa e allevierebbe l’Europa, che è sull’orlo, o già quasi dentro, la recessione, anche se i banchieri centrali sono riluttanti ad abbassare troppo la guardia sugli aumenti dei prezzi.

La cosiddetta ‘vischiosità’ dell’inflazione è legata ad alcuni fattori straordinari, come la guerra in Ucraina che ha interrotto alcune catene di approvvigionamento e fatto aumentare i prezzi dell’energia e dai trilioni di dollari di stimoli pubblici e di domanda repressa accumulata durante la pandemia.

Si tratta di fattori che ancora oggi stanno alimentando l’inflazione di fondo, per debellare la quale è stato necessario rialzare i tassi in modo molto aggressivo.

L’idea che l’elevata inflazione si sarebbe attenuata da sola, è risultata sbagliata e fuorviante.

Tuttavia ora, anche in quei paesi in cui l’inflazione si è rivelata più tenace, come il Regno Unito, stiamo assistendo ad un calo dei prezzi al consumo, che a ottobre in Gran Bretagna sono arretrati al 4,6%, negli Usa al 3,2% e in Europa al 2,9%, con punte di inflazione addirittura negativa in Belgio e nei Paesi Bassi.

“Stiamo uscendo dalla crisi inflazionistica”, ha affermato il francese Bruno Le Maire prima dell’incontro con i suoi colleghi ministri delle Finanze dell’Unione europea la scorsa settimana.

“In poco meno di due anni l’Europa sarà riuscita a controllare l’inflazione, che grava sui nostri cittadini, che pesa sulle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti”.

L’aspettativa degli analisti è che già la prossima primavera i tassi dovrebbero iniziare a scendere in Europa e negli Usa e dall’estate nel Regno Unito.

Fino alla pubblicazione dei dati sull’inflazione statunitense martedì i mercati avevano scontato una probabilità del 30% di un altro aumento dei tassi da parte della Fed, dal livello attuale del 5,25% al 5,5%.

Questa probabilità è ora scesa al 5%.

E la prospettiva di un taglio dei tassi della Fed entro maggio è salita dal 23% di lunedì all’86% alla chiusura di martedì, per poi oscillare un po’ e assestarsi ora tra il 60% e il 70%.

La questione che ora si pone è se le banche centrali abbiano esagerato con gli aumenti dei tassi, soprattutto in Europa.

I tassi alti hanno pesato sui prestiti e sulla spesa, la disoccupazione è in aumento, le famiglie stanno diventando più riluttanti a spendere.

E ciò pesa sulle prospettive di crescita dei prossimi mesi.

Le vendite al dettaglio negli Stati Uniti sono diminuite dello 0,1% a ottobre, il primo calo da marzo, anche se il dato è migliore del -0,3% atteso dagli analisti.

Tuttavia molti grandi gruppi Usa della grande distribuzione, come Walmart e Target, pur fornendo risultati positivi nel terzo trimestre e prospettive in rialzo per fine anno, mettono le mani avanti in vista dello shopping natalizio e lanciano l’allarme sulla riluttanza dei consumatori americani a mettersi le mani in tasca per gli acquisti, specie quelli più consistenti, proprio per paura di un’inflazione vischiosa e persistente.

Insomma, il sentiment è ambiguo.

Da una parte c’è il timore che sugli acquisti natalizi gli americani abbiano il ‘braccino corto’ e dall’altra l’inflazione negli Stati Uniti sta calando e il mercato del lavoro resta abbastanza solido e ciò ha rafforzato le previsioni secondo cui le pressioni sui prezzi continueranno ad allentarsi senza una recessione.

In Europa il contesto economico è più difficile e la situazione varia da paese a paese.

Il calo dei tassi è la cura che gli europei si auspicano, anche se un ritorno al periodo di tassi di interesse estremamente bassi che ha preceduto la pandemia è ritenuto improbabile.

È invece probabile che nei prossimi anni la forza lavoro diminuisca nelle principali economie, inclusa la Cina, poiché milioni di baby boomer andranno in pensione, facendo aumentare i salari.

E l’attrito tra Cina e Occidente probabilmente aumenterà i costi di produzione poiché le aziende trasferiranno le fabbriche in altri paesi.

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