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L’emergenza climatica cambia il ruolo dei medici | L’intervento di Sandra Vernero e Antonio Bonaldi

A causa del crescente riscaldamento terrestre, il clima intorno a noi sta cambiando ad una velocità impressionante, portando con sé una serie di eventi metereologici estremi di cui le alluvioni di questi giorni in Emilia-Romagna, con il loro pesante carico di morti e distruzioni, sono solo l’ultima testimonianza. Oltretutto, tali eventi sono destinati a ripetersi con maggiore frequenza e intensità, a meno che entro il 2050 non riusciremo a ridurre la crescita delle emissioni di CO2 e contenere l’aumento della temperatura terrestre entro 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale, come stabilito a Parigi, nel 2015, dalla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Come noto, il riscaldamento terrestre, comporta gravi conseguenze sul benessere e sulla vita delle persone. Oltre alle vittime degli eventi metereologici estremi e dei colpi di calore, bisogna infatti considerare che i cambiamenti climatici aumentano l’insorgenza delle malattie infettive e respiratorie e inducono fenomeni migratori, guerre e conflitti sociali difficilmente controllabili, tanto che l’OMS considera l’emergenza climatica la più grave minaccia per la salute del 21° secolo.

In questo contesto è ampiamente riconosciuto l’importante ruolo ricoperto dai servizi sanitari nella gestione degli effetti sulla salute dei cambiamenti climatici, ma non è altrettanto noto il fatto che anche le attività sanitarie contribuiscono, con il 5% del totale, alla produzione di gas serra. Un valore significativo, considerato che è pari al doppio dell’intero trasporto aereo. La percentuale varia nelle diverse nazioni, da più del 7% negli USA al 6% del Giappone e al 4-5 % in Italia e Francia, Paesi con assistenza sanitaria di buona qualità, fino all’1,5% dell’India il cui sistema sanitario non è però comparabile a quello dei Paesi più sviluppati (1).

Queste emissioni sono dovute a fattori legati all’edilizia e ai trasporti, ma anche alle cure, agli esami e ai trattamenti effettuati. Anche un semplice esame del sangue contribuisce a produrre CO2. Per esempio, ogni mille test del sangue producono l’equivalente in CO2di 700 chilometri percorsi in automobile. Una macchina per la risonanza magnetica che lavori per un anno produce mediamente una quantità di CO2 corrispondente a quella prodotta da un’auto che viaggi per più di 500 mila chilometri, mentre una singola risonanza magnetica produce l’equivalente in CO2 di un’auto che percorre 145 km (2). I farmaci, eliminati come tali o sotto forma di metaboliti con feci e urine, contribuiscono in modo rilevante all’inquinamento dell’acqua e del suolo e nel caso degli antibiotici alimentano il drammatico fenomeno dell’antimicrobico-resistenza. I gas anestetici, in particolare il desflurano, e gli inalatori spray per l’asma e la bronchite cronica ostruttiva hanno una impronta carbonica particolarmente alta.

Importanti associazioni come Health Care Without Harm (3) a cui aderiscono migliaia di ospedali, organizzazioni sanitarie, leader e professionisti della salute di tutto il mondo, raccomandano a tutti coloro che hanno responsabilità decisionali in ambito sanitario di affrontare la crisi climatica dotandosi, in primo luogo, di una propria “Road Map” di avvicinamento agli obiettivi indicati dagli accordi di Parigi (4). A questo fine ospedali e istituzioni sanitarie dovrebbero nominare un apposito gruppo di lavoro composto da persone motivate, afferenti a diversi ambiti professionali con il compito di sensibilizzare gli operatori sanitari sui fattori ambientali correlati alla salute e definire un’agenda delle azioni da intraprendere per facilitare la transizione ecologica.

Tenuto conto delle specificità locali tali azioni potrebbero far riferimento a sei ambiti di lavoro tutti strettamente interconnessi. I professionisti sanitari hanno un ruolo fondamentale in questo percorso, in particolare negli ultimi due ambiti considerati.

  • Ridurre le emissioni di gas-serra degli edifici: massimizzare l’efficienza energetica dei fabbricati; ove possibile favorire l’illuminazione e la ventilazione naturale degli ambienti; ottimizzare l’utilizzo degli spazi; impiegare fonti luminose a tecnologie LED; sostituire gradualmente le fonti di energia fossile con energie rinnovabili, aumentare gli spazi verdi.
  • Limitare i trasferimenti e migliorare l’efficienza dei trasporti: sviluppare strategie di telemedicina e di comunicazione digitale come alternativa ai colloqui diretti, compresi i convegni e gli incontri di formazione; impiegare ambulanze elettriche; realizzare depositi protetti per biciclette (con possibilità di bike-sharing); negoziare sconti per l’uso dei mezzi di trasporto pubblici.
  • Ridurre il volume dei rifiuti sanitari: la maggior parte dei rifiuti ospedalieri (75-80%) purché raccolti in modo differenziato può essere smaltita con i rifiuti urbani; compatibilmente con la sicurezza del paziente limitare l’impiego di dispositivi monouso; utilizzare preferibilmente materiali riusabili, riciclabili e rinnovabili; eliminare la distribuzione dell’acqua in bottiglie di plastica (ove possibile utilizzare solo acqua del rubinetto).
  • Promuovere un’alimentazione sana e sostenibile: modificare i menu del personale e dei malati al fine di ridurre il consumo di carni lavorate, grassi saturi e cereali raffinati; valorizzare i prodotti locali e coltivati con metodi biologici; eliminare le bevande zuccherate dai distributori automatici, avviare progetti di recupero degli scarti alimentari e del cibo non consumato.
  • Contenere l’inquinamento ambientale da farmaci e gas anestetici: ridurre la sovraprescrizione e quando possibile scegliere farmaci e modalità di somministrazione con minor impatto sull’ambiente; limitare l’impiego di gas anestetici specie l’ossido nitroso e il desflurano (impatto sull’ambiente pari a 2 mila volte quello della CO2); sostituire i gas utilizzati come propellenti negli inalatori spray per l’asma; preparare di volta in volta confezioni di farmaci con quantità corrispondenti ai singoli bisogni; curare lo smaltimento differenziato.
  • Migliorare l’appropriatezza delle cure: le prestazioni sanitarie inappropriate, inutili e perfino dannose consumano il 20-30% delle risorse dedicate alla sanità. Un fenomeno molto preoccupante, tanto che il controllo dell’eccesso di prestazioni sanitarie è considerata dall’OMS e dall’OCSE, una tra le più importanti misure di contenimento dell’impronta ecologica dei servizi sanitari, oltre che un valido strumento di miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure.

Una modalità per individuare esami e trattamenti non necessari è l’iniziativa Choosing Wiselyavviata nel 2012, negli Stati Uniti, dall’ABIM Foundation e ripresa in Italia dall’associazione Slow Medicine ETS con la campagna “Fare di più non significa fare meglio – Choosing Wisely Italy” (5). Al progetto hanno aderito più di 50 società scientifiche di medici, infermieri, farmacisti e fisioterapisti che hanno finora definito 295 raccomandazioni relative ad esami, farmaci, trattamenti e procedure ad alto rischio d’inappropriatezza. Le raccomandazioni sono riportate tra le Buone Praticheclinico-assistenziali nel Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità.

Esempi di prestazioni spesso non necessarie sono la RM o la TAC in caso di lombalgia senza segni neurologici, la RM del ginocchio, l’RX del torace ed altri esami preoperatori per interventi di lieve entità, i check up, l’ecografia per lo screening del cancro della tiroide. Tra i farmaci: gli antibiotici, le benzodiazepine per gli anziani, gli antidepressivi, gli inibitori di pompa protonica. Ogni specialità potrà individuare le modalità più sostenibili di erogare le proprie prestazioni, come ha fatto di recente la Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Digestivi Ospedalieri (AIGO) per le endoscopie “green” (6).

Ovviamente, ciò non significa che per motivi ecologici dobbiamo rinunciare a curarci in modo adeguato o che il medico non debba prescrivere ciò che è utile per il paziente. Tutt’altro. Ciò che vogliamo sottolineare è che dobbiamo sempre considerare anche l’impatto sull’ambiente delle nostre decisioni e porre particolare attenzione alle prestazioni inutili. È importante, infatti, che i professionisti sanitari non restino indifferenti ma acquisiscano la consapevolezza del loro ruolo nelle tematiche ambientali riconoscendo, in ottica “One Health” e “Planetary Health”, che la salute dell’uomo non può più essere concepita come una entità a sé stante ma è strettamente connessa a quella delle piante, degli animali e di tutto l’ecosistema.

Note

  1. The 2022 report of the Lancet Countdown on health and climate change: health at the mercy of fossil fuels. Lancet 2022; 400: 1619–54
  2. McAlister S, McGain F et al The carbon footprint of hospital diagnostic imaging in Australia. The Lancet Regional Health – Western Pacific 2022; 24: 100459
  3. https://www.thelancet.com/journals/lanwpc/article/PIIS2666-6065(22)00074-8/fulltext
  4. https://noharm.org/
  5. Global Road Map for health Care Decarbonization. Health Care without Harm 2021.
  6. https://choosingwiselyitaly.org/
  7. Bortoluzzi F, Sorge A, Vassallo R et al. Sustainability in gastroenterology and digestive endoscopy: position paper from the Italian Association of hospital gastroenterologists and digestive endoscopists (AIGO). Dig Liv Dis 2022; 54: 1623-1629

Gli autori

Sandra Vernero: medico, coordinatore della campagna “Fare di più non significa fare meglio – Choosing Wisely Italy”

Antonio Bonaldi: medico esperto di sanità pubblica, già direttore sanitario di Aziende ospedaliere-universitarie

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