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[L’analisi esclusiva] Dalle parole ai fatti. L’enciclica di Francesco interpella in maniera urgente una diversa politica internazionale da mettere subito in pratica

Il passaggio dalla fraternità astratta o romantica alle opere di fraternità ha trovato in papa Francesco il suo campione.

Dopo l’enciclica Fratelli tutti, con ogni probabilità passerà alla storia come il papa della fraternità.

Un traguardo per l’umanità che – con la libertà e l’uguaglianza –  ha ispirato la Rivoluzione Francese.

Sia la rivoluzione sia le politiche nei due secoli successivi si sono arenate sulla fraternità, rimasta schiacciata da infiniti conflitti territoriali, culminati nelle due più grandi guerre della storia.

Per la libertà e l’uguaglianza si sono immolati un numero incredibili di donne e uomini contrari alla tirannia.

La fraternità ha avuto i suoi martiri, ma in misura minore.

Francesco, tuttavia, rilanciandola scommette sulla fraternità come via di garanzia dell’uguaglianza e della libertà. Non si è attribuito, tuttavia,  il merito in solitudine, ma ne ha condiviso l’ispirazione con un grande leader musulmano, dando così un segno tangibile che la fraternità è fattibile anche dove appare impensabile e impossibile. Il suo partner d’eccezione è stato lo sceicco di Al-Azhar, il Grande Imam Ahmad Al Tayyeb. Insieme nel 2019, ad Abu Dhabi hanno firmato il Documento sulla Fratellanza Umana, ponendo le basi di una nuova era nei rapporti tra due fedi che per secoli si sono combattute per la guida del mondo.

Sotto questo profilo l’enciclica di Francesco ai prudenti e ai realisti può apparire un azzardo. Ma scorrendone il testo ricco di 287 paragrafi, il misto tra prudenza e lungimiranza appare una garanzia all’altezza della sfida che riguarda ognuno. Poiché di sfida si tratta, nel senso che, davanti alla constatazione palese dell’impotenza dimostrata dai sistemi economici e politici finora applicati, l’umanità si dibatte tra pace e guerra, tra disparità e ingiustizie, tra abusi e sfruttamento, spaccandola in due tronconi: più o meno garantiti e benestanti, poveri e scartati in maggioranza.

Alla radice di questo male inguaribile Francesco segnala la mancanza di fraternità. Macroscopica contraddizione per un genere umano che, respirando della stessa natura umana come la pandemia ha dimostrato ampiamente,  dovrebbe invece vedere riconosciuta la stessa dignità, gli stessi diritti e doveri.

La carica innovativa della proposta di Francesco a livello di nuove politiche globali ormai indifferibili in un mondo tecnologico iperconnesso, è stata ben illustrata dal suo segretario di Stato il cardinale Pietro Parolin, lo stesso giorno della pubblicazione di Fratelli tutti.

Se il mondo attuale tanto interdipendente non funziona all’altezza dei nuovi bisogni, nulla potrà funzionare in modo esaustivo a livello di nazioni o di territorio.

Occorre maturare e muoversi nella stessa condivisa armonia a tutti i livelli. Armonia condivisa pacificamente e non imposta non può essere altra cosa dalla fraternità.

Applicata nella giusta misura è la premessa di un mondo nuovo divenuto ormai necessario dopo l’esperienza globale della fragilità insita nella condizione umana evidenziata dalla pandemia.

“Proprio mentre stavo scrivendo questa lettera, – scrive Francesco – ha fatto irruzione in maniera inattesa la pandemia del Covid-19, che ha messo in luce le nostre false sicurezze.

Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà”.

Occorre invece guardare avanti, partendo da un punto di vista solido: “Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità”. Che sia tuttavia un’aspirazione condivisa “Tra tutti” poiché nasce dalla fraternità che, per sua natura, non sopporta discriminazioni di sorta: “Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”.

I precursori di questa enciclica sono stati il concilio Vaticano II e i suoi artefici immediati: papa Giovanni XXIII e Paolo VI. Papa Wojtyla e Benedetto XVI hanno proseguito nella stessa direzione. Ma non si può dimenticare il celebre messaggio natalizio di Paolo VI sulla Fraternità nel 1964.

“Oggi la fratellanza s’impone; l’amicizia – diceva Montini nel messaggio che al lettore riserva sorprese di attualità  – è il principio d’ogni moderna convivenza umana. Invece di vedere nel nostro simile l’estraneo, il rivale, l’antipatico, l’avversario, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere l’uomo, che vuol dire un essere pari al nostro, degno di rispetto, di stima, di assistenza, di amore, come a noi stessi. Bisogna che cadano le barriere dell’egoismo; e che l’affermazione di legittimi interessi particolari non sia mai offesa per gli altri, né mai negazione di ragionevole socialità. Bisogna che la democrazia, a cui oggi si appella la convivenza umana, si apra ad una concezione universale, che trascenda i limiti e gli ostacoli ad un’effettiva fratellanza”.

In particolare l’enciclica di Francesco perfeziona gli auspici di Montini entrando nel merito di buone pratiche da seguire per avanzare nella fraternità.

Lo mette ben in luce il cardinale Parolin  che pone una domanda d’obbligo che scaturisce dall’enciclica di Francesco.

“Quale spazio e considerazione trova la fraternità nelle relazioni internazionali? Chi è attento allo svolgersi dei rapporti a livello mondiale si aspetterebbe una risposta in termini di proclami, normative, statistiche e forse anche di azioni.

Se invece ci lasciamo guidare da Papa Francesco nella costatazione di fatti e situazioni, la risposta è un’altra: «La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali» (FT, 179).

“L’Enciclica non si limita a considerare la fraternità uno strumento o un auspicio, ma delinea una cultura della fraternità da applicare ai rapporti internazionali. Una cultura, certo: l’immagine è quella di un sapere del quale viene sviluppato il metodo e l’obiettivo”.

Quanto al metodo l’enciclica rilancia il dialogo. Quanto all’obiettivo Francesco ci ricorda che, per fare della fraternità uno strumento per agire nei rapporti internazionali “è necessario far crescere non solo una spiritualità della fraternità ma nello stesso tempo un’organizzazione mondiale più efficiente, per aiutare a risolvere i problemi impellenti» (FT, 165).

La Lettera di Francesco è una trama che tesse tutte le possibilità in cui la fraternità porta aria nuova e cambiamento possibile.

Merita – prima che discuterne – di essere letta e ragionata nel filo rosso che la percorre tutta: fare meglio è possibile.

Fare meglio non si può realizzare per decreto, ma cambiando il cuore delle persone e le prospettive culturali. E ciò vale specialmente per la politica e l’economia, due ambiti decisivi per la convivenza umana e per le sorti del mondo.

Entrambe sono malate e appare urgente passare da economie e politiche basate su una visione discriminatoria dell’umanità a una visione inclusiva.

Non lasciando questa visione armonica a interventi occasionali ma ponendo mano a una legislazione e una politica mondiale radicandole sul principio della fraternità, per essere poi tradotta e applicata anche a livello nazionale e locale.

Un cantiere immenso che resta possibile completare.

Il difficile è trovare una volontà internazionale convergente per aprirlo con urgenza.

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