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La stretta della Bce è costata alle banche 80 miliardi di crediti solo in Italia | L’analisi

L’effetto è assimilabile alla scomparsa di una banca di medie dimensioni.

La stretta monetaria della Bce in 18 mesi ha fatto scomparire oltre 80 miliardi di crediti dall’economia italiana.

A tanto, scrive Milano Finanza, ammonta il calo degli impieghi registrato dai principali gruppi del Paese, secondo i dati di bilancio pubblicati in queste settimane.

Le variazioni più significative hanno interessato Unicredit e Intesa Sanpaolo, per le quali il declino è stato di ben 72 miliardi tra il giugno 2022 e il dicembre del 2023, seguite da Banco Bpm e Bper.

Nello stesso periodo Bce ha portato i tassi al 4,5%, il livello più alto mai registrato nell’Eurozona.

Alla fine di ottobre il numero di Francoforte Christine Lagarde ha deciso di tirare il freno e di evitare nuovi rialzi, ma per l’inversione di tendenza bisognerà probabilmente attendere giugno.

Si tratta di dati allineati a quelli dell’intero sistema bancario nazionale.

L’ultimo rapporto mensile dell’Abi rivela che a gennaio i prestiti a imprese e famiglie sono scesi del 2,9% rispetto a un anno prima, mentre a dicembre avevano registrato un calo del 2,5%.

Soprattutto per quanto riguarda le aziende (per le quali la contrazione a gennaio è stata del 3,7%), cali di questa portata non erano mai stati registrati da quando i dati sono elaborati dalla Bce, cioè dal 2004.

“A livello complessivo di sistema, i dati relativi al 2023 evidenziano la contrazione dello stock di finanziamenti in essere, confermando un trend che era già iniziato a fine 2022 con una progressiva riduzione dei nuovi prestiti erogati e che nel corso del 2023 ha portato alla diminuzione anche dello stock dei crediti in essere”, ha spiegato Lorenzo Macchi, coordinatore del settore bancario per Kpmg in Italia.

Quali sono le cause della stretta?

Sul lato della domanda, il rialzo degli interessi ha raffreddato l’appetito di nuovo debito da parte di famiglie e soprattutto imprese.

Negli ultimi 18 mesi molte aziende hanno quindi fatto maggior ricorso all’autofinanziamento, compensando la minore leva con le scorte di liquidità accumulare negli anni della pandemia.

Sul lato dell’offerta i timori sulla tenuta del tessuto economico hanno spinto molte banche sulla difensiva.

Dal Bank Lending Survey della Bce relativo al mese di ottobre è emerso che gli standard creditizi “si sono ulteriormente inaspriti, e più di quanto previsto dalle banche, in tutte le categorie di prestito”.

Secondo Francoforte il peggioramento è legato alla minore tolleranza per il rischio e alla minore liquidità delle banche.

“Questa dinamica – commenta Macchi – riflette da un lato una debolezza sul fronte della domanda, legata al significativo aumento dei tassi d’interesse ed alla situazione di incertezza dello scenario macroeconomico (inflazione e crescita), e dall’altro una rigidità dell’offerta, dove le banche fattorizzano nei criteri di concessione una maggiore attenzione al possibile aumento dei tassi di deterioramento applicando – in genere – politiche creditizie più restrittive, pur in un contesto dove l’incidenza dei crediti deteriorati (npl ratio) rimane ai minimi storici ed il costo del rischio non ha ancora mostrato segnali di peggioramento”.

La situazione più critica rimane quella delle imprese: “Con specifico riferimento ai finanziamenti alle imprese, per cui la riduzione del credito erogato nel corso dell’anno è stata più marcata, si evidenzia come la debolezza della domanda sia anche legata – in alcuni casi – alla scelta di privilegiare soluzioni di autofinanziamento, facendo leva sulla liquidità disponibile, rispetto al ricorso ad un maggiore indebitamento ad un costo significativamente più alto in virtù dell’andamento registrato dei tassi di interesse”, commenta Macchi.

La contrazione dei crediti ha riguardato le banche grandi e medie, ma con alcune eccezioni.

La Popolare di Sondrio per esempio nell’arco del 2023 ha incrementato gli impieghi da 32,6 a oltre 34 miliardi, con un rialzo di quasi il 5%.

Poco inferiore è stato il tasso di crescita di Mediolanum, mentre Credito Emiliano è salita dell’1,1% e Banca Montepaschi dello 0,7%.

Anche chi ha visto scendere i volumi però ha chiuso il 2023 con conti record.

Già tra il 2021 e 2022 (primo anno della stretta monetaria) gli interessi netti aggregati delle banche italiane erano saliti di 4,4 miliardi da 21,7 a 25,9 miliardi, anche se l’effetto volume (cioè l’incremento degli impieghi) era stato negativo per un miliardo.

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