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La forza muta del prestigio di Draghi e la falsa partenza sulle misure anti Covid. L’economia della montagna vittima dell’incertezza

Inciampa sulle misure anti Covid il Governo Draghi e rischia di compromettere la fiducia nella ripartenza dell’Italia.

Lo sostengono i principali direttori e editorialisti italiani nel commentare le cronache della rocambolesca proroga della chiusura degli impianti sciistici e le polemiche che ne sono scaturite fin dentro il Consiglio dei Ministri in carica da poco più di due giorni.


La forza muta di Draghi

“Dal massimo possibile al minimo indispensabile. Dalla promessa che l’ha reso celebre, «whatever it takes» (tutto ciò che serve), formula salvifica per la sopravvivenza dell’euro, alla lista dei ministri declinata venerdì scorso al Quirinale senza un preambolo né una chiusa né un cenno di ringraziamento a chi l’aveva preceduto, Giuseppe Conte. Alla prima uscita da presidente del Consiglio incaricato, il professor Mario Draghi ha preso le redini dell’Italia affidandosi alla sola forza muta del suo prestigio”. Carlo Verdelli Sul Corriere della Sera parla di fiducia come capitale sociale in relazione al neonato governo Draghi.

“E che quel tipo di debutto non fosse casuale l’avrebbe ripetuto, riferiscono le cronache, alla prima riunione dei suoi ministri, mettendoli sull’avviso: noi comunichiamo quello che facciamo e, non avendo ancora fatto niente, niente comunichiamo. Per i molti abituati a riempire il vuoto di azione politica con un pieno di parole e proclami, il segno più drastico di un cambiamento che mal tollererà eccezioni. Con credenziali simili, l’opera di rilanciare l’Italia, per quanto squassata, sembra un problema non insormontabile”.

La fiducia degli italiani

“Ma – sottolinea Verdelli – il colloquio più importante che lo aspetta è quello con gli italiani, la spinta più decisiva che deve ricevere è la loro. Un’apertura di credito che vada al di là delle appartenenze partitiche, una comprensione anche emotiva che in gioco, da qui ai prossimi mesi, c’è un pezzo, se non tutto, del destino della loro nazione, e quindi delle generazioni che verranno; e che la forbice delle diseguaglianze può e deve essere contenuta attraverso un gigantesco sforzo collettivo di responsabilità, a partire dal rispetto delle regole per non permettere al virus di allargarla, quella forbice”.

Un uomo capace può non bastare

“Il rischio da scongiurare è un Paese tagliato in due, con la sua parte più debole destinata alla marginalità. Lo stile Draghi è improntato alla sobrietà, che è indiscutibilmente un valore ma che è cosa diversa dall’aridità. Per provare a ricostruire davvero l’Italia, non basteranno un uomo per quanto capace, né un governo speriamo animato di buone intenzioni durevoli, né tutti i 209 miliardi del Recovery fund. Serve il capitale sociale della fiducia. Serve il coinvolgimento degli italiani, la loro ragionevole passione”.
 

L’incertezza che fa male

“C’è solo una cosa che più del virus fa male all’economia: l’incertezza. E purtroppo va detto che nonostante il cambio di governo, mentre la Lega diventa subito un problema per Draghi, ancora nulla sembra cambiare”. Sergio Rizzo su Repubblica mette in guardia il nuovo esecutivo da quella che può essere la trappola più pericolosa.

L’assurda tempistica

“Sta a provarlo – osserva – la decisione di tenere chiusi fino al 5 marzo gli impianti sciistici, presa soltanto a poche ore dall’apertura delle piste già prevista per ieri. I gestori delle strutture che vivono grazie al turismo invernale aspettavano quel giorno come la manna dal cielo, per avere un po’ d’ossigeno. Non avrebbero di sicuro salvato la stagione, ma avrebbero almeno avuto qualche opportunità per garantirsi la sopravvivenza”. “Avevano fatto provviste, sanificato gli ambienti e investito nelle attrezzature necessarie a evitare il rischio di contagio, preparato le piste, assunto personale precario per qualche settimana di lavoro, comprato il carburante per i generatori. Tutto inutile. Con le varianti del coronavirus in agguato, il pericolo è ancora troppo elevato. Lo dicono gli esperti, e ci sta. Quello che invece non ci sta è la tempistica”.

Il solito errore

“Non è accettabile che un governo, sia pure in una situazione di emergenza, cada regolarmente nel medesimo errore. Quante volte, nell’ultimo anno, sono state assunte decisioni tardive sulle chiusure, precipitando pezzi dell’economia nel peggiore degli incubi per un’attività commerciale? L’incertezza, appunto: e questo vale tanto per le imprese quanto per i cittadini. In un frangente così drammatico non è più nemmeno tollerabile l’interminabile processione televisiva degli esperti e dei superconsulenti. Chi pronto a giurare sulla ineluttabile necessità di un lockdown totale, precisando però di non averne discusso con i responsabili dell’eventuale chiusura; chi determinato a instillare il dubbio sull’efficacia del vaccino contro le varianti esotiche del virus; chi risoluto nell’affermare l’esatto contrario. Una corsa continua a stressare gli italiani. Ed è stupefacente che non ci si renda conto delle ripercussioni causate da questa incredibile mancanza di senso di responsabilità nei confronti di un’opinione pubblica sempre più disorientata. Anche perché quasi generalmente priva di una prospettiva chiara per l’uscita dal tunnel”.
 
La falsa partenza del Governo Draghi

L’editoriale odierno della Stampa è siglato dal direttore Massimo Giannini che rispetto alle prime mosse del nuovo governo, parla di “falsa partenza”. “Siamo grati a Mario Draghi, che nella prima riunione del Consiglio ha pregato i suoi ministri di limitare le dichiarazioni perché «il governo parla solo dopo aver fatto qualcosa». Principio indiscutibile e condivisibile, che marca una cesura netta con il caos creativo dei governi precedenti. Ma la gestione del dossier sci e del caso Ricciardi è purtroppo una “falsa partenza”. Non segnala il nuovo che avanza, ma il vecchio che resiste. Di fronte al Covid e alle sue pericolose varianti abbiamo sempre appoggiato misure draconiane, ancorché dolorose”.

Dare conto al Paese

“Ma qui siamo oltre. Non si può fissare la ripresa delle attività sciistiche con un mese di anticipo, e poi decidere la proroga improvvisa del lockdown a poche ore dalla riapertura. E se lo si fa, perché il rischio dei contagi lo impone, allora si ha il dovere di spiegare ai cittadini le ragioni di un’ordinanza urgente che fa saltare i piani di tante famiglie e i ricavi di tante imprese. Sarebbe bastato almeno che il riconfermato ministro della Salute si fosse presentato ai tg di prima serata, per dare conto al Paese di queste gravi decisioni”.

Baruffe da pentapartito

“Non lo ha fatto, e ora Speranza è già nel mirino di un ministro leghista, Garavaglia. Baruffe chiozzotte, degne di un pentapartito della Prima Repubblica, non di una Grande Coalizione della Terza. Lo stesso vale per l’incontenibile foga esternatoria dei virologi, che fuori dai circuiti istituzionali non fa aumentare la precauzione ma solo la frustrazione (come dimostra la “rivolta di San Valentino” dei ristoratori). Al nuovo governo si richiedono trasparenza, tempestività e responsabilità. Dobbiamo prendere atto che in queste ore di battaglia al coronavirus mancano tutte e tre. Draghi dovrà rimediare in fretta. Parlare poco va benissimo. Ma a una sola condizione: che si parli chiaro” conclude Giannini.


Dove si sta andando

L’incertezza di queste ore sul fronte delle misure anti covid dunque non fa bene al governo. Ne parla anche Alessandro Sallusti direttore del Giornale: “Più di un leader della nuova maggioranza – scrive – si schiera al fianco degli imprenditori turistici beffati dalla chiusura-lampo delle stazioni sciistiche invernali. Contemporaneamente il ministro Speranza non solo non fa una piega, ma sta valutando di richiudere tutta l’Italia proclamando un nuovo lockdown”. “Non ci sarebbe nulla di male – ognuno la pensa come crede -, se non fosse che i due fronti sono parti del medesimo governo, il governo Draghi annunciato come quello della rotta certa e sicura. Ma allora, si va verso una stretta o un allentamento delle restrizioni antivirus?”

Babele emergenza Covid

“Vabbè, portiamo un po’ di pazienza che il neo premier deve di fatto ancora insediarsi ma – consiglio non richiesto – Draghi farebbe bene a mettere con una certa urgenza un po’ d’ordine nella babele dell’emergenza Covid, che genera solo ansia e provoca non pochi danni economici agli imprenditori lasciati senza certezze. Si è detto, e io ci credo, che questo sarebbe stato un governo diverso da quello assai pasticciato che lo ha preceduto”.

Parli Draghi

“Domani al Senato sapremo dalla viva voce del presidente quanto e come questa diversità prenderà forma. Il discorso di insediamento è atteso come manna dal cielo, colpa o merito dell’aspettativa creata dalla sua discesa in campo. Draghi è un generale abituato a comandare eserciti, quelli economici e finanziari, in cui colonnelli e truppe rispondono a rigide regole di obbedienza al capo e amano semmai tramare nell’ombra e in silenzio. La politica è cosa altra, ministri e leader di partito non rispondono al premier ma al consenso e al loro ego e per questo non possono essere né rimossi né zittiti, si chiama democrazia”.

Impedire il caos

“L’unico modo per impedire il caos è prendere l’iniziativa, giocare d’anticipo nella sostanza e pure nella comunicazione. Su ogni dossier gli italiani vogliono sapere, e credo ne abbiano il diritto, che cosa pensano non Tizio e Caio, ma il loro primo ministro, che è vero che non hanno votato, ma sicuramente hanno evocato e invocato. È un lavoraccio? Sì, lo è. In altre parole e stando all’emergenza Covid, la strada che il governo intende percorrere è quella degli imprenditori o quella di Speranza? Alla guida ci saranno Arcuri e Ricciardi o si intende cambiare mano? Senza fretta, ma qualche certezza penso sarebbe utile dichiararla” conclude Sallusti.
 
Insani polveroni

L’editoriale di Avvenire, firmato dal direttore, Marco Tarquinio, invoca uno stop “agli insani polveroni” sul coronavirus. “Un anno fa – ricorda – ancora agli inizi della terribile pandemia di Covid-19, nel titolo di apertura di questa prima pagina suggerivamo una corale scelta di «Prudenza e unità contro virus e paura». Era il 23 febbraio 2020. E il professor Walter Ricciardi, grande esperto di salute pubblica, docente all’Università Cattolica, nostro editorialista e di lì a poco consigliere del ministro della Salute, firmava un editoriale che intitolai «Alleanza vera scienza-politica». L’auspicio finale era che tra scienza e politica non ci fosse «un dialogo tra sordi». Eppure è proprio lì, nel pieno di un assordante «dialogo tra sordi», che sembra di ritrovarci dodici mesi dopo. Come se si facesse ancora fatica a capire che cosa ci dicono oltre novantatremila morti in Italia più di mezzo milione in Europa e quasi due milioni e quattrocentomila nel mondo”.

Dialogo tra sordi

“Un anno dopo, il «dialogo tra sordi» continua – ahinoi – a scoppiare e a riscoppiare non solo tra scienziati e politici, ma anche tra gli stessi scienziati. Sempre gli stessi a obiettare, precisare, smentire ogni volta che si lancia un allarme (poi confermato) e si indica una terapia severa (e purtroppo spesso disattesa). Sempre gli stessi ad arzigogolare settimane dopo davanti a nuove ‘ondate’ del male, perché tanto le opinioni peserebbero quanto i fatti. Eppure dovremmo saperlo tutti, ormai, che le battaglie intermittenti alimentano guerre senza fine” continua Tarquinio.

Le parole sono pietre

“L’effetto è disorientante, e letale. Meglio dirlo chiaro. Stiamo avendo l’ennesima riprova che le parole sono pietre e possono troncare il respiro. Perché questo accade a causa degli insani polveroni che le parole senza vera scienza e senza vero senso politico sollevano persino oggi. Dice che col male non si convive, si combatte. E almeno con i virus assassini dovrebbe essere chiaro che non si possono fare patti di convivenza sulla pelle dei più deboli o dei più sfortunati”.

Non lucrare sui morti

“Possiamo perciò sperare in scienziati che sappiano spiegare tutto questo e che chiedano risposte adeguate alla sfida del Covid con la stessa solidità e la stessa chiarezza di Walter Ricciardi e della grande maggioranza dei suoi colleghi e delle sue colleghe? Possiamo sperare in capitani d’azienda che si rendano conto che non si può fare in Italia e ovunque il calcolo apparentemente lucroso e tragicamente miope che, esempio non casuale, ha reso le piste di sci elvetiche il trampolino di lancio della variante inglese dei coronavirus nell’Europa continentale? Possiamo sperare in politici che sappiano decidere non pensando a una ‘stagione da salvare’, ma al domani di tutti da rendere sano?” conclude Tarquinio.

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