Ce n’è una, in particolare, la cui dinamica strutturale consiglierebbe alle aziende di iniziare fin da oggi a prepararsi ai suoi molteplici impatti: organizzativi, gestionali, economico-finanziari, nonché strategici.
Si tratta dell’inverno demografico, caratterizzato da un aumento dell’aspettativa di vita affiancato da una riduzione del tasso di natalità.
Che, a differenza di altri shock (come la pandemia Covid-19), è un fenomeno multidimensionale e progressivo nel tempo.
Qualche dato: l’inverno demografico porterà a una decrescita della popolazione residente, stimata dall’Istat a 46,1 milioni nel 2080, con un significativo squilibrio tra nuove e vecchie generazioni. Entro il 2050, le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare un terzo della popolazione, con un rapporto tra individui in età lavorativa e non-lavorativa che potrebbe passare dall’attuale 3:2 a 1:1.
Inoltre, si prevede una possibile riduzione del Pil del 13% (-9% del Pil pro-capite) entro il 2040 e di circa un terzo entro il 2070, principalmente a causa della contrazione della forza lavoro e della sua scarsa produttività.
“La sfida demografica italiana rappresenta un potenziale shock irreversibile per le organizzazioni italiane e determinerà un nuovo modo di fare business per le imprese”, spiega a Economy Stefano Alfonso, senior partner e Deloitte Centrai Mediterranean Growth Leader.
“Questo scenario non è una possibilità ma è di fatto una certezza, con cui le aziende dovranno fare i conti, volenti o meno. A differenza di specifici “shock” come la recente pandemia, inoltre, l’inverno demografico è un fenomeno multidimensionale destinato a sedimentarsi progressivamente con conseguenze molto estese, complesse e oggi solo in parte prevedibili. Comprendere gli impatti e le evoluzioni di questo cambiamento è quindi un imperativo per tutte le organizzazioni che vogliono continuare ad essere protagoniste nel mercato negli anni a venire. Attivarsi già da oggi significa gettare le basi per la creazione di organizzazioni sempre più resilienti e inclusive, dove i benefici e vantaggi risulteranno più che proporzionali rispetto agli investimenti sostenuti”.
Eppure, si continua a girare la testa dall’altra parte. “Secondo l’analisi condotta da Deloitte, oggi prevale una generica preoccupazione sul tema, ma la maggior parte delle organizzazioni non ha ancora iniziato ad affrontarlo con la dovuta attenzione e il corretto atteggiamento strategico”, sottolinea Stefano Alfonso.
“La sfida demografica, infatti, è spesso ancora fuori dagli ordini del giorno dei CdA e delle decisioni manageriali, che sono focalizzati su altre priorità o legate alla profittabilità di breve/medio periodo. Solo in alcuni settori, che si distinguono per una potenziale maggiore esposizione ai clienti “senior”, le imprese stanno iniziando a prendere le misure della sfida demografica. Ad esempio, i servizi finanziari e assicurativi, le costruzioni e il real-estate, la moda e l’agroalimentare emergono come i più ricettivi in tal senso, relativamente parlando”.
Lo scarso grado di preparazione del tessuto imprenditoriale italiano non esenta le aziende da una riflessione su quali saranno i possibili impatti dell’inverno demografico sulle diverse aree aziendali in funzione della specifica fase del ciclo di vita aziendale e delle ambizioni di crescita.
“Per poter prosperare nel futuro scenario – dove il numero di persone in età lavorativa potrebbe diminuire di 5,4 milioni di unità nel 2040 con un calo del Pil – nella migliore delle ipotesi – del 13% (-9% del Pil pro-capite) (Banca d’Italia, 2024) – le aziende, devono già oggi investire risorse per aumentare la produttività del proprio capitale umano e tecnologico. In un momento storico dove la disoccupazione è ai livelli più bassi di sempre (6,2% – Istat, 2024), il primo step è aumentare il livello di maturità digitale dei processi aziendali”, rimarca Stefano Alfonso. “Occorre cioè esplorare nuove strade e opportunità di interazione digitali, per supportare la produttività dei lavoratori e concentrare il loro talento nelle attività a maggiore valore aggiunto”.
Una prima sfida fondamentale riguarderà la digitalizzazione, con un contributo positivo in termini di efficienza e produttività del lavoro. Se le organizzazioni intervistate da Deloitte percepiscono la necessità di potenziare il proprio “assetto tecnologico”, assumono ancora un approccio “conservativo” fondato su motivazioni di natura pragmatica ed economica riconducibile a un orizzonte temporale di breve periodo. “Un aspetto cruciale è investire oggi stesso nella formazione continua dei lavoratori di ogni età, in una logica di “lifelong learning”, chiarisce il senior partner e Deloitte Centrai Mediterranean Growth Leader.
“Devono essere attivati percorsi multidisciplinari e personalizzati volti all’upskilling e reskilling delle competenze, in linea con gli sviluppi digitali dell’azienda stessa, anche per attrarre maggiori risorse”.
Occorre, insomma, concentrare il lavoro umano, sempre più raro e prezioso, sulle attività aziendali “core” e a maggior valore aggiunto; investire già oggi nella formazione continua sulle competenze chiave (sia “hard” sia “soft”) dei lavoratori di ogni età in una logica di “lifelong learning”; attivare percorsi multidisciplinari e personalizzati volti all’upskilling e reskilling delle competenze, in linea con gli sviluppi digitali dell’azienda stessa, anche per attrarre maggiori risorse; e gestire lo sviluppo delle carriere, introducendo percorsi strutturati ma dinamici, promuovendo la fluidità dei ruoli e armonizzando gli squilibri intergenerazionali (per esempio con programmi di “age management”, apprendimento collaborativo, reverse mentoring, ibridazione delle competenze).
Non solo: “In parallelo, l’invito alle aziende è quello di ripensare strategicamente le modalità di crescita percorribili nel nuovo scenario, in funzione della specifica fase del ciclo di vita aziendale in cui si trovano”, chiarisce Stefano Alfonso.
“Ad esempio, si dovranno prendere quanto prima decisioni strategiche per erogare alcune attività standardizzate in appositi “delivery centers”; si dovranno, da un lato, valutare opportunità di acquisizioni o fusioni al fine di acquisire competenze, risorse, scala e/o modelli di business fortemente innovativi e, dall’altro, costituire ecosistemi di imprese per una migliore gestione di varie parti della catena del valore (come nei famosi distretti) e il conseguimento attraverso diversi approcci di economie di scala e di scopo. Le aziende dovrebbero interrogarsi non solo su quale sia il bene/servizio che possono erogare (e la sua relativa qualità) ma anche su come creare sinergie e avere accesso a conoscenze e competenze per affermarsi sulla competizione, soprattutto nei settori cardine del “Made in Italy”.
E ancora: secondo l’analisi di Deloitte, le organizzazioni dovrebbero erogare alcune attività standardizzate attraverso appositi “delivery centers”, liberando risorse che altrimenti non potrebbero dare un contributo fattivo al miglioramento della performance aziendale.
E interrogarsi sulla possibilità di consolidare la propria posizione di mercato attraverso forme di integrazione verticale e/o orizzontale basate su attività di finanza straordinaria (M&A) per accelerare il processo di creazione di valore in tempi di forte cambiamento, acquisendo le necessarie competenze, risorse, scala e/o modelli di business.
Infine, valutare la costruzione di ecosistemi d’imprese (aperti, distribuiti e collaborativi) per una migliore gestione delle varie parti della catena del valore (come nel modello organizzativo dei distretti ad alta specializzazione) e il conseguimento di economie di scala e di scopo e la condivisione di risorse, investimenti e best practice.
I modelli “Évelything-as-a-Service” diventeranno sempre più rilevanti e decisivi per il successo di mercato, a fronte di un bacino di consumatori sempre più ristretto ed esigente. In parallelo, le strategie commerciali e distributive (nonché tutti i processi aziendali sottostanti dalla fase di ideazione di un nuovo prodotto/servizio alla sua commercializzazione) devono essere riviste e adattate al nuovo contesto.
“Le imprese, infine, devono procedere a ridefinire il “purpose”, enfatizzando il proprio ruolo sociale, integrando valori e principi etici che siano condivisi e tali da generare valore per tutti gli stakeholder nel nuovo contesto di business”, conclude Stefano Alfonso: “si tratta di un aspetto cruciale anche nell’ottica di attrarre e mantenere i talenti migliori sul mercato. In questo contesto, si inseriscono considerazioni riconducibili all’evoluzione dei modelli di welfare aziendale e lo sviluppo di poliey/strumenti, che enfatizzino il ruolo sociale e proattivo dell’azienda nel mitigare le conseguenze dell’inverno demografico e nel garantire ai propri dipendenti il perseguimento del loro benessere. Tutte queste valutazioni strategiche, infine, dovranno essere allineate a una nuova “value proposition” – coerente con il purpose dell’organizzazione – per rafforzare il posizionamento di mercato: a differenza di altre crisi passate, il cambiamento demografico si deposita lentamente ma in modo chiaramente intellegibile. Proprio per questo, è miope rinviare il problema al futuro: il momento di prepararsi è già adesso”.