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Istat: l’Italia è al quart’ultimo posto in Europa per le competenze digitali di base | Il documento

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Il divario tra i diversi Paesi europei sulle competenze digitali di base risulta piuttosto elevato, con un campo di variazione di 51,4 punti percentuali. In fondo alla graduatoria si colloca la Romania con il 27,8%, preceduta dalla Bulgaria (31,2%), dalla Polonia (42,9%) e dall’Italia (45,7%). La Finlandia (79,2%) e l’Olanda (78,9%) già nel 2021 presentano valori quasi in linea con l’obiettivo target del 2030. Sono i dati comunicati dall’ISTAT, contenuti nell’indagine armonizzata a livello europeo “sull’utilizzo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione da parte degli individui e delle famiglie”, che permette di misurare i livelli di competenza digitale dei cittadini, individuati dal Digital Competence Framework 2.0, il quadro comune europeo di riferimento per le competenze digitali.

L’analisi presentata, inoltre, si basa su dati provenienti dall’indagine sull’uso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione da parte di famiglie e individui e dall’indagine omonima sull’uso delle ICT nelle imprese. Per raggiungere il medesimo obiettivo il nostro Paese dovrà far registrare nei prossimi anni un incremento medio annuo di 3,8 punti percentuali. Si tratterebbe di un incremento piuttosto elevato in un lasso di tempo limitato, che si è finora registrato per l’indicatore sull’uso regolare della rete durante gli anni della pandemia (2020-2021) dove la quota è passata dal 76,4% al 80,1%.

Un’accelerazione, questa, che ha consentito all’Italia di ridurre considerevolmente il gap con gli altri paesi europei in riferimento al divario digitale di primo livello. Le competenze digitali rientrano nel piano d’azione del pilastro europeo dei diritti sociali e in quello per l’istruzione digitale. L’obiettivo target fissato per il 2030 è l’80% di cittadini (utenti di Internet negli ultimi 3 mesi e tra i 16 e i 74 anni) con competenze digitali almeno di base (per tutti i 5 domini individuati dal framework 2.0, ossia “alfabetizzazione all’informazione e ai dati”, “comunicazione e collaborazione”, “creazione di contenuti digitali”, “sicurezza” e “risoluzione dei problemi”).

Nel 2021 tale quota a livello europeo è pari al 53,9%. Dall’analisi delle singole regioni italiane emerge un forte gradiente tra Centro-nord e Mezzogiorno, con l’eccezione della Sardegna che si attesta sul valore medio. Se alcune regioni come il Lazio (52,9%), il Friuli-Venezia Giulia (52,3%) e la Provincia Autonoma di Trento (51,7%) per raggiungere l’obiettivo target del 2030 dovranno registrare un incremento medio annuo attorno ai 3 punti percentuali, altre – come la Calabria (33,8%), la Sicilia (34%) e la Campania (34,2%) – necessiterebbero di un incremento medio annuo di circa 5 punti percentuali. È importante sottolineare, inoltre, che le regioni che presentano i tassi più bassi di persone con competenze digitali almeno di base sono anche quelle ancora caratterizzate da una quota più contenuta di utenti di internet rispetto al valore medio nazionale.

In Italia, come negli altri paesi europei, le competenze digitali sono caratterizzate da forti divari associati alle caratteristiche socio-culturali della popolazione. Nel 2021 il 61,7% dei ragazzi di 20-24 residenti in Italia che ha usato internet negli ultimi 3 mesi ha competenze digitali almeno di base. Tale quota decresce rapidamente con l’età per arrivare al 41,9% tra i 55-59enni e attestarsi al 17,7% tra le persone di 65-74 anni. Per tutte le coorti considerate, persino tra le più giovani, si evidenziano valori nettamente inferiori a quello medio EU27. Tra i giovani di 16-19 anni si riscontra una distanza di 10,5 punti percentuali mentre tra i 20-24enni si sale a 11 punti di differenza.

Questo livello di competenze risulta caratterizzato da una forte disparità a favore degli uomini, che nel nostro Paese è di 5,1 punti percentuali mentre è più contenuta a livello europeo (3,3 punti percentuali). Va però evidenziato che tali diseguaglianze sono proprie delle classi di età più anziane. In particolare, in Italia fino a 44 anni di età il divario di genere è nullo e in alcune classi di età inverte il segno, come ad esempio tra i 20 e i 24, dove le ragazze registrano un vantaggio di 9 punti percentuali sui ragazzi. Le competenze digitali sono ancora una prerogativa delle persone con titoli di studio elevati. Infatti, l’80,3% delle persone di 25-54 anni con istruzione terziaria ha competenze digitali almeno di base, valore quasi in linea con quello medio EU27. La quota cala al 25% (sempre in riferimento alle persone della stessa coorte) ma con titolo di studio basso (fino alla licenza media), che presentano una distanza di circa 8 punti percentuali rispetto al valore medio EU27.

Differenze sensibili si riscontrano anche considerando la condizione occupazionale. In Italia il divario tra gli occupati che hanno usato internet negli ultimi 3 mesi e che hanno competenze digitali almeno di base rispetto a chi è in cerca di occupazione è di 17,8 punti percentuali. Inoltre, osservando la posizione professionale degli occupati, emerge come gli operai presentino i livelli più bassi di competenza digitale, con una distanza di 34,8 punti percentuali rispetto a quella riscontrata tra direttivi, quadri e impiegati (75,2% contro 36,7%).

Dall’esame delle cinque dimensioni che compongono l’indicatore sulle competenze digitali è possibile tracciare una mappa degli elementi di forza oltre che dei ritardi nei livelli di competenza dei cittadini residenti in Italia rispetto al quadro europeo. I divari rispetto alla media EU27 sono minimi per il dominio “comunicazione e collaborazione”, dimensione legata all’interazione via Internet e all’uso dei social media (75,8% rispetto al 77,5% EU27). I divari si presentano già significativi invece per il dominio “creazione di contenuti digitali”, dominio legato all’utilizzo di applicativi per la creazione o la modifica di contenuti digitali (41% contro il 45,2% EU27) e alla “risoluzione di problemi”, area legata all’utilizzo dei servizi online e di alcune abilità di gestione software (47% contro il 52,7% EU27).

Si evidenzia, infine, un netto ritardo per “alfabetizzazione su informazioni e dati”, dominio legato alla ricerca di informazioni, di dati e alla capacità di giudicare la rilevanza della fonte (-9,8 punti percentuali rispetto alla media EU27), seguito da quello relativo alla “sicurezza”, ovvero l’area legata alla protezione dei dispositivi e dei dati personali negli ambienti digitali (-7,6 punti rispetto alla media EU27). Sul territorio italiano, per ciascuno dei cinque domini si confermano i divari registrati per l’indicatore complessivo delle competenze, ossia quelli legati al genere, all’età, al titolo di studio e all’occupazione. Va tuttavia evidenziato che nel dominio “Comunicazione e collaborazione” i divari relativi al genere risultano pressoché inesistenti.

Il programma strategico della Commissione europea per la transizione digitale prevede, oltre all’obiettivo sulle competenze digitali dei cittadini, anche il monitoraggio della quota di imprese che erogano ai propri addetti formazione in materia di ICT. La “Rilevazione sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese” permette di stimare la quota di imprese che impiegano personale con competenze digitali specializzate. Nel 2022 il 13,4% delle imprese con almeno 10 addetti impiega esperti ICT, il 4,9% ha provato ad assumere questo tipo di esperti o li ha assunti nell’anno precedente e il 19,3% ha organizzato nell’anno precedente corsi di formazione per sviluppare o aggiornare le competenze ICT dei propri addetti. L’impiego di specialisti ICT rimane stabile rispetto al 2020, confermandone l’impiego ridotto da parte delle aziende italiane rispetto alla media europea (21%).

In particolare, l’Italia risulta piuttosto distante da Germania (22,2%), Francia (17,6%) e Spagna (16,3%). A livello dimensionale si registrano importanti divari tra imprese con 10-249 addetti (PMI) e quelle di maggiore dimensione (con almeno 250 addetti) sia per l’adozione di specialisti (rispettivamente 12,2% e 75,0%) sia per la decisione di investire in formazione ICT nel corso dell’anno precedente (18,4% contro il 65,4%). Del resto, il 57,2% delle PMI italiane ha dichiarato di utilizzare esclusivamente fornitori esterni all’impresa per la gestione delle funzioni ICT (45,6 la media EU27), contro il 14,2% delle grandi imprese (10,9% EU27).

Come atteso, gli indicatori di adozione di specialisti ICT e di formazione informatica per i propri addetti non sono neutrali rispetto alle attività economiche svolte dalle imprese: le migliori performance vengono registrate dalle imprese appartenenti al settore della domanda di ICT specializzata e strategica: i servizi di telecomunicazione (72,4% nell’impiego di addetti e 60,4% nell’organizzazione di formazione) e l’informatica (65,2% e 56,0%) si distinguono su tutti, seguono le attività di fabbricazione di computer (39,5% e 32,8%) e quelle editoriali (35,3% e 32,8%). Rientrano tra le attività interessate al coinvolgimento di almeno una impresa su quattro: i servizi postali, la fabbricazione di mezzi di trasporto e di apparecchiature elettriche nella adozione di specialisti ICT e quelle delle attività professionali, della fabbricazione di coke e della fornitura di energia e gestione dei rifiuti per la formazione ICT.

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