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In Italia crescono le rinnovabili | Lo scenario

Secondo le prime evidenze emerse dall’Osservatorio Internazionale sull’Economia e la Finanza delle Rinnovabili (Oir) elaborato da Agici-Finanza d’Impresa, se l’anno scorso le rinnovabili in Italia sono cresciute a ritmo doppio rispetto al 2021, il passo è rimasto ancora troppo corto rispetto agli altri Paesi europei e, soprattutto, ai target prefissati.

Nel 2022, scrive MF-Milano Finanza, la capacità installata è stata di 3 Gw, con investimenti in crescita su base annua del 26% per circa 4-5 miliardi di euro. Il divario con i Paesi più virtuosi però è ancora molto ampio: la Germania, per esempio, ha installato ben 10 Gw di capacità rinnovabile. Le osservazioni sono state presentate a Milano, al Centro Congressi di Fondazione Cariplo, e dove è intervenuto Paolo Franco, assessore alla Casa e all’Housing Sociale della Regione Lombardia.

«La crisi energetica ha fatto comprendere quanto sia deleteria la dipendenza energetica da fornitori esteri, specie se concentrata nelle mani di due-tre operatori, e quanto sia fondamentale investire sulle rinnovabili», ha detto a MF-Milano Finanza l’ad di Agici Marco Carta. A livello di imprese, ha proseguito Carta, «abbiamo visto una crescita degli investimenti delle rinnovabili in tutta Europa per le prime 15 aziende: siamo passati dai 21 miliardi del 2019 ai 39 miliardi del 2022».

E al 2030 le principali aziende europee hanno pianificato investimenti per oltre 193 miliardi. In questo contesto di crescita, ha notato Carta, «emerge però un certo disallineamento tra l’ambizione dei piani industriali e quanto effettivamente installato». Se nel 2020 sono stati realizzati 17 Gw, ne erano stati programmati 19 Gw, così come nel 2021 erano stati pianificati 28 Gw ma ne sono stati realizzati 21. La causa principale è il collo di bottiglia creato da burocrazia e politica locale, al quale in Italia si aggiunge un meccanismo delle aste non aggiornato. «In Italia il tetto delle aste al ribasso è rimasto lo stesso del periodo precedente la crisi energetica, mentre adesso realizzare un impianto costa di più», ha notato Carta, precisando che «il sistema delle aste è un ottimo strumento ma occorre tararlo leggermente, cioè aggiornare le basi d’asta all’inflazione, perché serve stabilizzare i ricavi».

Il tutto tralasciando che nelle aste non è contemplato l’eolico offshore, le cui richieste di autorizzazione sono per ben 20 Gw, cioè due anni pieni di target europei centrati fermi al palo. E così l’Italia continua a perdere terreno: la Germania ha installato 133 Gw dal 2010 al 2021, l’Italia solo 57. Anche per questo Agici ha individuato una serie di soluzioni per arginare le criticità. «Abbiamo individuato nove modelli partecipativi, tra cui lo studio di tariffe agevolate o dinamiche, le comunità energetiche rinnovabili e l’agrivoltaico, che hanno un impatto limitato sul bilancio dell’operatore ma permettono di ridurre la spesa energetica», ha spiegato Anna Pupino, direttrice dell’Osservatorio Industria Rinnovabili (Oir) di Agici.

Dall’analisi, spiega Pupino, «si nota che per un impianto senza l’adozione di modello partecipativo il tempo di ritorno dell’investimento è circa 9 anni con un Irr del 9% circa; adottando modelli partecipativi il tempo varia di qualche anno e di mezzo punto percentuale sul tasso interno di rendimento, ma porta a un beneficio per gli stakeholder con una riduzione di oltre 200 euro l’anno sulla spesa energetica per una famiglia tipo». Insomma, se il 10% della nuova capacità al 2030 fosse implementata con modelli partecipativi, sarebbero coinvolte 3 milioni di famiglie per un risparmio annuo in bolletta di oltre 800 milioni di euro.

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