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Il Sud è il territorio più arretrato ed esteso d’Europa. Ecco perché qui la sfida del Pnrr è più difficile. E cruciale | Il dossier Istat

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Com’è noto, una componente significativa del territorio italiano è caratterizzata da divari rilevanti e persistenti. Il Mezzogiorno è il territorio arretrato più esteso dell’area euro, che ha sofferto in modo accentuato la Grande crisi del 2008 e, da ultimo, l’impatto della pandemia. Tuttavia, è anche un contesto dalle grandi potenzialità e differenziazioni interne, dove risiedono oltre venti milioni di abitanti (circa un terzo della popolazione italiana), con un tessuto produttivo che – pur debole e incompleto – potrebbe generare effetti positivi per il Paese.

Lo sostiene l’Istat in questo documento che l’Osservatorio Riparte l’Italia pubblica integralmente.

Quello dei ritardi del meridione d’Italia è da più di un secolo una priorità nazionale e un ambito privilegiato di attenzione nel dibattito e nelle politiche per lo sviluppo e la coesione sociale[1]. Non a caso, l’attualità e urgenza della “questione meridionale” è un punto qualificante del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (da ora: PNRR), cui viene dedicata una priorità trasversale (“ridurre i divari di cittadinanza”) e destinate risorse ingenti (circa il 40% del totale) per finanziare riforme e interventi, talvolta esclusivi per le 8 regioni del Sud.

In presenza di policy così ampie e ambiziose è compito della Statistica Ufficiale contribuire a valorizzare il potenziale informativo disponibile per sostenere il processo decisionale e valutativo. In quest’ottica, il presente lavoro fornisce 10 “istantanee” ispirate ai principali orientamenti strategici e tematici del PNRR, e non ha alcuna ambizione specifica riguardo alla ricchezza contenutistica del Piano, né – ancor meno – al vastissimo dibattito sul Mezzogiorno. Il taglio è di tipo storico-comparativo, incentrato sui trend del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord e sull’articolazione dei divari interni, di livello sub-regionale.

Essendo la principale risposta comunitaria alla crisi indotta dalla Pandemia da Covid-19, il PNRR presenta un impianto operativo molto articolato e complesso. In estrema sintesi, esso si propone di contribuire al riequilibro dei gap territoriali a un duplice livello: a) sul piano della coesione socio-economica, riguardo ai differenziali strutturali tra sistemi economico-produttivi territoriali che hanno ripercussioni critiche sull’assetto socio-demografico; b) sul piano dell’accesso ai “diritti di cittadinanza”, talvolta anche ai più elementari, che si sostanziano nel livello e nella qualità di rilevanti infrastrutture e servizi alle persone.

La prima delle due direttrici viene richiamata esplicitamente nella declaratoria relativa alla priorità 3 del Piano (“Riduzione dei divari”) e in alcune valutazioni previsionali di impatto. A questo proposito, nel contributo si riprendono quattro classici temi chiave: (1) le performances del sistema produttivo (con ricorso al “PIL pro-capite”); (2) la qualità del capitale umano (con la proxi “livello d’istruzione”); (3) le opportunità lavorative dei giovani (“tasso di occupazione”); (4) la relativa propensione migratoria (“indice” e “tasso migratorio”). La seconda direttrice, connessa ai “diritti di cittadinanza”, evoca l’impianto operativo del PNRR, articolato in sei Missioni ossia in linee di intervento tematiche molto ampie che chiamano in causa, rispettivamente, il livello e la qualità delle infrastrutture (missioni 1-3) e dei principali servizi socio-sanitari ed educativi (missioni 4-6). In merito, sono stati approfonditi i seguenti temi: (M1) reti digitali (“digital divide”); (M2) reti idriche (“efficienza”); (M3) rete ferroviaria (“elettrificazione”); (M4) servizi di istruzione (“competenze degli studenti”); (M5) servizi per l’infanzia (“diffusione degli asili nido”); (M6) servizi sanitari (“emigrazione sanitaria”).

Le evidenze salienti

In generale, il lavoro conferma la persistenza di divari strutturali di vario genere e livello, anche molto ampi; di rado si apprezzano processi di convergenza significativi col resto del Paese. Le differenze interne – anche infra-regionali – sono molteplici, e tendono a delineare contesti più o meno critici che talvolta ricalcano criteri di perifericità geografica (distanza dal Centro-Nord), e in altri casi di marginalità territoriale (cosiddette “aree interne”). Nell’insieme sembra emergere una difficile sostenibilità dei divari, per l’impatto inedito sulla struttura demografica della società meridionale, che appare sempre più fragile nelle prospettive future.

Più in dettaglio:

1) Da oltre un ventennio il “PIL pro-capite” nel Mezzogiorno si aggira intorno al 55-58% del Centro-Nord; nel 2021 il PIL reale è di circa 18mila euro (33mila nel Centro-Nord). Tutto il Mezzogiorno si colloca sotto la media nazionale: la Regione di coda (Calabria) ha un Pil pro-capite pari al 39,5% della migliore (Trentino Alto Adige).

2) Il livello d’istruzione nel Mezzogiorno conferma una grave arretratezza: migliora nelle giovani generazioni ma lo svantaggio è ancora molto ampio. Nel 2020, un terzo (32,8%) dei meridionali in età 25-49 anni (24,5% nel Centro-Nord) ha concluso al più la terza media; il 22,6% (27,6% nel Centro-Nord) ha un titolo terziario.

3) La condizione lavorativa vede fortemente penalizzati i giovani meridionali. Dal 2000 in poi si registrano abbastanza stabilmente circa 3 occupati ogni 10 in meno nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord (25-34 anni). Tranne rare eccezioni, l’intero Mezzogiorno presenta tassi di occupazione giovanile molto inferiori alla media.

4) Ne scaturisce una preoccupante ripresa dell’emigrazione di massa. Nel 2020, Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti (25-34 anni) ogni 100 movimenti anagrafici nei flussi interni extra-regionali (+ 22 nel Centro-Nord) e 56 su 100 in quelli esteri (49 nel Centro-Nord). Il fenomeno è accentuato nelle province con bassa occupazione e nelle cosiddette “aree interne”.

5) Nell’ultimo ventennio il processo di digitalizzazione è stato molto rapido, ma il Mezzogiorno non ha ancora recuperato il gap di partenza: il 60% circa dei residenti ha opportunità ridotte di accesso alla Banda ultra-larga, e circa 1 su 5 (17,3%) vive in contesti molto distanti da questo standard (4,2% nel Centro-Nord).

6) L’obsolescenza delle reti idriche è un fattore critico data la sempre più grave siccità che interessa il Paese. Nel Meridione spesso si registrano perdite per circa la metà dell’acqua per uso civile. Livelli di inefficienza superiori alla media caratterizzano tre quarti delle province del Mezzogiorno (1/4 nel Centro-Nord).

7) Il Mezzogiorno presenta una dotazione di infrastrutture di trasporto visibilmente inferiore alle altre ripartizioni. La densità della rete ferroviaria è nettamente più bassa, soprattutto nell’alta velocità (0,15 Km ogni 100 Km2 di superficie; 0,8 al Nord; 0,56 al Centro). Negli ultimi decenni l’ampliamento è stato molto modesto (+0,3% contro +7,1% del Centro-Nord) mentre è aumentato il gap qualitativo (58,2% di rete elettrificata; 79,3% del Centro-Nord).

8) Nel Mezzogiorno, gli outcome dell’istruzione sono notevolmente peggiori: le competenze degli studenti risultano più basse in tutte le discipline e il gap aumenta nei diversi gradi d’istruzione. Nel 2021-‘22 il 42,7% degli studenti meridionali di V superiore presenta competenze “molto deboli” in matematica (28,3% in Italia; 15% nel Nord-Est) e solo il 6,7% si colloca a un livello “molto buono” (14,9% in Italia; 22,6% nel Nord-Est).

9) I servizi per l’infanzia sono cruciali per la crescita del bambino e per l’occupabilità delle donne con figli. L’offerta di questi servizi è in crescita su tutto il territorio nazionale, ma i gap restano significativi. Due terzi dei bambini (0-3 anni) nel Mezzogiorno vive in contesti con livelli di offerta inferiori agli standard nazionali e il 17,8% in zone con una dotazione molto bassa o nulla (5,3% nel Centro-Nord);

10) Divari territoriali rilevanti caratterizzano l’efficienza, appropriatezza e qualità dei servizi sanitari. Nel Mezzogiorno – soprattutto in alcune regioni coinvolte dai Piani di Rientro (6 su 7 in questa ripartizione) – la contrazione della spesa pubblica ha inciso negativamente sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).  Permane una diffusa “emigrazione sanitaria”: i ricoveri extra-regionali sono il 9,6% di quelli interni (6,2% nel Centro-Nord). In oltre 1 Provincia su 5 (21,1%; 7,2% nel Centro-Nord) tale mobilità sanitaria èmolto intensa.

I ritardi del Mezzogiorno stanno aumentando i rischi di un eccessivo e non reversibile impoverimento demografico. Fra il 2011 e il 2020 si è registrato il primo calo di popolazione nella storia recente del Mezzogiorno (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord). A tendenze invariate, nel 2030 i residenti scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%).

La perdita di popolazione si concentra nei più giovani, cui fa da contrappunto il maggior peso della popolazione anziana. Intorno al 2035 l’età media della popolazione di Sud e Isole potrebbe superare quella del Centro-Nord, nel 2011 ancora nettamente inferiore (39 anni contro 43,2 del Centro-Nord). Tali fenomeni inediti, se non governati con urgenza, possono far incamminare il Mezzogiorno verso un’involuzione radicale e molto problematica nella funzionalità e sostenibilità della propria struttura sociale. 


[1] Per la bibliografia si rinvia all’ “Allegato metodologico e bibliografico”, in cui sono presenti – oltre a selezionati richiami all’amplissima letteratura sul Mezzogiorno – alcuni estratti mirati sul PNRR e una migliore descrizione del framework (qui solo accennata) e della meta-informazione sugli indicatori utilizzati. I dati esaminati sono sempre aggiornati all’ultima annualità disponibile alla chiusura del lavoro.

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