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Il referendum sulla giustizia si prepara già come una battaglia politica totale | L’analisi di Stefano Folli

Su la Repubblica Stefano Folli si occupa del referendum sulla riforma della giustizia della prossima primavera. Mancano “tre mesi e mezzo, forse quattro”, a quell’appuntamento. “Di recente – osserva – qualche super ottimista aveva affacciato uno scenario a tinte rosa: una campagna quasi neutra, depurata dall’atmosfera da resa dei conti, con le forze politiche che se ne stanno alla finestra e lasciano il campo ai tecnici. Ma non ci voleva molta fantasia per prevedere il contrario. Gli obiettivi sono troppo ambiziosi, per il Sì come per il No, e nessuno ha voglia di rischiare la sconfitta per un deficit d’impegno. Oggi il lieve prevalere del consenso alla riforma è un dato non secondario, ma troppo esile per far dormire sonni tranquilli alla maggioranza. E gli oppositori, che siano politici o magistrati, vedono la possibilità di una rimonta, a maggior ragione se riusciranno a trasformare il dibattito di merito in una contesa politica”.

Nel 2016 l’allora premier Matteo Renzi commise l’errore di accettare lo scontro, facendo del referendum costituzionale un sondaggio su di sé. E lo perse, come è noto. È ovvio che Giorgia Meloni si sforzerà invece di starne fuori, ma sarà più difficile a dirsi che a farsi. Il primo segnale del clima che si prepara è la nomina di Rosy Bindi alla testa del Comitato per il No. Figura rappresentativa della storia della sinistra, cattolica impegnata nel sociale, già ministro della Sanità e vicina a Romano Prodi, sarà a fianco di Giovanni Bachelet, figlio del giurista assassinato dalle Brigate Rosse. È una scelta su cui la destra ha subito ironizzato, presentando Rosy Bindi come un personaggio legato a un passato ideologico. Ma è sempre un errore sottovalutare l’avversario. Lei è senza dubbio l’opposto di Giorgia Meloni, tuttavia è una combattente politica sperimentata. Rappresenta un’opzione chiara: il gruppo dirigente del Pd, affidandosi a un nome di prestigio ma radicale, indica che vuole battersi senza risparmio. Inutile dire che questo scontro – comunque vada – renderà pressoché impossibile una qualche forma di accordo sulla legge elettorale e tanto meno, nel caso, sulla riforma del premierato”.

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