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I disastri climatici e la grande beffa dei risarcimenti | L’anticipazione 

Per gentile concessione dell’autore Giuseppe Caporale e della casa editrice Rubbettino pubblichiamo un breve estratto di Ecoshock, libro inchiesta sull’impatto del cambiamento climatico in Italia che verrà presentato domani al Salone del libro di Torino.

Oltre il 90% dei comuni italiani è a rischio frane o alluvioni: complessivamente 7 milioni e mezzo di italiane e italiani sono esposti a questi due pericoli (1,3 milioni per il rischio frane, 6,2 milioni per il rischio alluvioni). In totale, più del 12% della popolazione. In questo quadro delicato si inserisce la crisi climatica in corso, che rende ancora più impattanti gli eventi meteo-idro.

Dal 2013 al 2019 il danno economico provocato da frane e alluvioni in Italia è stato pari a 20,3 miliardi di euro, per una media di quasi 3 miliardi l’anno; la regione più colpita è stata l’Emilia-Romagna, con 2,4 miliardi di danni, seguita da Campania e Toscana (circa 1,8 miliardi di danni), poi Abruzzo e Liguria.

Solo il 10% dei danni causati da alluvioni e frane è stato risarcito dallo Stato alle Regioni. Infatti, in sette anni (2013-2019), a fronte dei 20,3 miliardi di euro di danni stimati, per risarcire i territori colpiti da questi due fenomeni sono stati trasferiti alle regioni solo 2,4 miliardi di euro.

Dal 2013 al 2019 i fondi spesi in prevenzione sono stati pari a 2,1 miliardi di euro, un decimo dei danni stimati in Italia, nello stesso arco di tempo, a causa degli stessi fenomeni estremi.

• Le polizze contro i rischi catastrofali, in assenza di un mercato calmierato, restano una rarità: in Italia solo il 4,5% degli immobili è assicurato contro le calamità naturali (ovvero frane, alluvioni o terremoti).

Alle dichiarazioni di stato di emergenza della Protezione Civile, fanno seguito decreti che stanziano fondi emergenziali e immediati per risanare i danni causati dagli eccezionali eventi meteorologici a territori, infrastrutture, città. Fondi utili a tamponare l’emergenza che, secondo i dati della Protezione Civile, solo dal 2013 al 2019 sono stati pari a 1,8 miliardi di euro. In aggiunta a questi stanziamenti concessi alle Regioni per risarcire i danni di alluvioni e frane, si devono aggiungere 561 milioni di euro che, dal 2013 al 2019, l’Italia ha chiesto al Fondo di solidarietà europeo solo per eventi idro. Se ai fondi nazionali si sommano quelli erogati da Bruxelles si arriva a quasi 2,4 miliardi di euro spesi in sette anni, solo per risarcire i territori distrutti da frane e inondazioni sempre più violente.

Questa cifra spesa per risanare il territorio acquista però tutto un altro significato se la si paragona ai 20,3 miliardi di euro di danni complessivi stimati dalle Regioni per gli stessi eventi meteo-idro.

Quello che al momento si riesce a fare, insomma, è tappare la falla di ogni singolo disastro: infatti è stato risarcito solo il 10% dei danni causati da alluvioni e frane. Se poi si va a vedere il dettaglio delle percentuali di risarcimento ottenute dalle Regioni, si evidenziano situazioni assai più drammatiche: se si esclude la Valle d’Aosta, che è riuscita a coprire circa il 49% dei danni dichiarati, nessuna regione italiana è stata risarcita per oltre il 13% dei danni stimati e il 75% non arriva alla doppia cifra percentuale. Vi sono poi regioni del Centro-Sud in cui la spesa non arriva a coprire il 5% dei danni, come Molise, Campania, Puglia, Abruzzo, Marche.

In sintesi, lo Stato tramite la Protezione Civile riesce a contribuire a percentuali irrisorie rispetto alle richieste dei territori colpiti da allagamenti e frane.

E il divario tra i fondi stanziati a livello nazionale a seguito delle dichiarazioni di stato di emergenza e il costo reale dei danni non può essere colmato con i fondi regionali.

Per questo motivo «non è detto che gli interventi siano realizzati», commenta Rita Nicolini, direttrice ad interim dell’Agenzia Regionale per la Sicurezza Territoriale e la Protezione Civile dell’Emilia-Romagna. Quel che non viene ricostruito dallo Stato spesso resta in macerie. E non è l’unica conseguenza. «Si sta accumulando una quota parte di danni al territorio non risarciti agli enti locali che nell’evento successivo può diventare una criticità. E a farne le spese», secondo la Protezione Civile Emilia-Romagna, «è la messa in sicurezza del territorio».

Misure di sicurezza e prevenzione: un fronte sul quale siamo molto indietro, nonostante gli eventi estremi causati dalla crisi climatica continuino a causare gravi perdite in termini di vite umane e danni economici. Quello che manca è una risposta sistemica, mentre continuiamo a rapportarci al problema come se si trattasse di un’emergenza; come se per noi una frana, una valanga o un’alluvione fosse “sempre la prima volta”. «I fondi per la prevenzione stanziati» leggiamo nel dossier «hanno subito un incremento negli ultimi anni, passando dai 42 milioni di euro annui del 2013 ai 188 milioni nel 2018, fino ad arrivare alla cifra limite di 790 milioni nel 2019 (superata solo dagli 828 milioni spesi nel 2015). Nonostante questo incremento, la spesa in prevenzione resta ben al di sotto della cifra che le Regioni hanno richiesto per risanare i danni provocati da eventi meteo-idro estremi».

Il database dell’Ispra mostra come le somme più ingenti per la messa in sicurezza nel periodo 2013-2019 siano andate alla Liguria (ben 339 milioni di euro), seguita da Toscana (198 milioni) e Lombardia (189 milioni). Altre regioni in cui si è investito molto in sicurezza sono state Emilia-Romagna, Sicilia e Veneto.

Focalizzandoci invece sul numero di progetti, il primato è di Piemonte e Basilicata (rispettivamente 155 e 132 interventi in sette anni), ma superano il centinaio anche gli interventi in Sicilia (125), Toscana (113), Emilia-Romagna (112), Abruzzo (105). In totale, in sette anni sono stati più di 1.467 gli interventi di prevenzione realizzati in Italia, due terzi destinati a prevenire alluvioni e un terzo frane.

Oltre agli interventi già realizzati, è lo stesso Ispra a segnalare le proposte fatte nel 2019 da e province autonome per mettere in sicurezza il territorio: oltre 7.800 richieste di interventi, per un importo complessivo di oltre 26 miliardi. Questa può essere indicata come una stima approssimata del costo teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale. Una cifra ben lontana dai 2,1 miliardi stanziati dal mattm dal 2013 al 2019, così come dagli 8,49 miliardi previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (pnrr) per la lotta al dissesto idrogeologico.

Ultimo tasto dolente, i tempi di attuazione delle messe in sicurezza.

Il campione analizzato nel rapporto di ispra evidenzia una durata media di quasi 5 anni e un 10% di casi considerati critici poiché si protraggono per oltre i 10 anni.

«È come se in Italia sia difficile portare a compimento più di un dato numero di interventi l’anno», commenta ispra. «I motivi sono molti: complessità di intervento, difficoltà di progettazione, legislazione complessa». Un dato che non presenta significative differenze tra nord, centro e sud Italia, che condividono l’ormai proverbiale lentezza delle opere pubbliche.

«La messa in sicurezza del territorio attraverso efficaci opere di mitigazione garantirebbe una riduzione dell’intensità dei processi, e quindi la loro distruttività: non azzererebbe i costi, ma salverebbe vite umane», commenta Paola Salvati del cnr. Infatti, prima dei costi economici non si deve dimenticare il costo umano degli eventi estremi. «La buona notizia è che si salvano sempre più vite, ma la cattiva è che l’emergenza climatica in espansione colpisce sempre più persone», ha detto Mami Mizutori, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di disastri.

Quello che molti non sanno è che lo Stato non è obbligato a intervenire. «Lo fa solo quando e se è possibile», racconta Antonio Coviello, docente di Marketing assicurativo dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Gli fa eco Rita Nicolini, direttrice dell’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile della Regione Emilia-Romagna: «Non esiste la possibilità che lo Stato riesca tramite fondi pubblici a coprire tutti i danni. Inoltre, nella norma non è scritto che lo Stato è obbligato a risarcire, dipende dall’emergenza e anche da quante emergenze vi sono ogni anno». Anzi, «proprio l’aumento del numero di eventi estremi e dei danni provocati è una delle cause che porta lo Stato a non riuscire più a risarcire i cittadini», conclude Coviello. Ecco perché sottoscrivere un’assicurazione contro gli eventi estremi è diventata l’extrema ratio dei cittadini esposti al rischio di un territorio disastrato e quasi privo di prevenzione. «Nella situazione che viviamo in Italia, con strutture vetuste e un assetto climatico mutevole, le assicurazioni diventano sempre più importanti», precisa la Protezione Civile Emilia-Romagna. «Per esempio, visto che non è possibile riconoscere a tutti una copertura, per chi vive in prossimità di una frana o in zona soggetta ad allagamento, dovrebbe essere obbligatoria un’assicurazione privata». Una pratica in realtà ancora poco diffusa, anche per l’elevato costo di simili polizze.

Una partnership pubblico-privato potrebbe costituire una soluzione: per evitare che assicurare chi è veramente in pericolo sia troppo oneroso, serve un sistema di assicurazione obbligatoria controllato e calmierato dallo Stato. È un fatto che molti altri Paesi, europei e non, che come il nostro hanno un territorio a elevato rischio sismico/idrogeologico, hanno attuato uno schema nazionale di copertura obbligatorio o semi obbligatorio, mentre in Italia vi è ancora una certa prudenza.

In Francia, Belgio, Germania, Spagna, Regno Unito, Svizzera, solo per citarne alcuni, è già in vigore un sistema obbligatorio o semi-obbligatorio di assicurazione in cui lo Stato “detta le regole” e le assicurazioni offrono le polizze controllate e calmierate. «In questo modo, i cittadini non sono più tenuti a pagare i costi delle ricostruzioni e la fiscalità di emergenza, ma solo la propria polizza che garantisce loro sicuro risarcimento in caso di danni», precisa ancora Antonio Coviello.

E in Italia? Come spesso accade, occorrerebbe combattere contro particolarismi e interessi di parte, cui conviene che la gestione del cambiamento climatico e dei drammatici eventi che ne derivano siano ancora trattati secondo una logica emergenziale. Però «la situazione climatica peggiorerà», continua Coviello, «e non possiamo sempre piangere le vittime a posteriori. Dobbiamo attrezzarci non per eliminare il rischio ma per limitare i danni. Il vero sinistro, il vero pericolo, è lo Stato che non agisce».

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