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Human & Green. Il nuovo capitalismo | Gli italiani del futuro

Il mercato ha visto crescere notevolmente l’attenzione verso il “green” ma la realtà spesso non corrisponde alle aspettative.

L’83,6% dei prodotti acquistati nella grande distribuzione sono etichettati come sostenibili, ma i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente confermano che ciò non si è tradotto in una significativa riduzione dell’impronta ecologica.

Questo disallineamento tra percezione e impatto è stato al centro delle discussioni del forum «Human & Green Retail».

Paolo Mamo, presidente di Plef, «invito oggi ad affrontare la giornata con l’entusiasmo dell’Innovazione perché molto spesso le pratiche della sostenibilità vengono vissute come una procedura da seguire, e basta.

Oggi si parlerà anche di procedure. Stiamo entrando nella seconda fase dell’innovazione sostenibile».

Enrico Giovannini, con gli associati di Plef (Planet Life Economy Foundation ETS) in occasione della XIV edizione, a Palazzo Reale a Milano, il 16 ottobre, con il mondo Retail riunito dice:

«Non si chiamerà più rendicontazione finanziaria ma rendicontazione di sostenibilità, dal primo gennaio di quest’anno e dal prossimo riguarderà tutte le imprese con oltre 250 addetti; vuol dire che si passa in Italia da circa 400 a 4.000 imprese e non si rendiconta soltanto sugli aspetti ambientali ma anche sugli aspetti sociali.

Inoltre la direttiva contro il Greenwashing (perché non se ne può più, tutti i prodotti sono sostenibili secondo la pubblicità.

Tra l’altro questo riduce la fiducia dei consumatori e delle persone sul fatto che la sostenibilità sia una cosa seria), una direttiva quindi che sarà recepita nel nostro Paese.

La prima è già stata recepita.

La direttiva sulla «Due diligence», «vuoi vendere i tuoi prodotti in Europa, le società a capo delle filiere devono rendicontare su rispetto dei diritti umani, green, ecc ecc lungo tutta la filiera.

Quindi se hai un impianto in Bangladesh – dove inquini – questo non è più accettabile.

Io non sono sicuro che il mondo produttivo italiano abbia capito che cosa gli sta per capitare, dice Enrico Giovannini, anche perché, con tutto rispetto la stampa parla di pandori, occhiali con la telecamera, eccetera no, queste cose che ci appassionano straordinariamente.

Ma questo sta per succedere, questo sta succedendo, e allora quando l’Istat il 6 settembre 2024 pubblica l’indagine sulle imprese e l’atteggiamento verso la sostenibilità e dice «il 61% delle imprese ha già fatto interventi di sostenibilità e conta di farli per i prossimi tre anni» vuol dire che il 40% ancora no, e questo è un serissimo problema.

Pensate per un attimo alla questione della rendicontazione della «due diligence», su cui – non ho capito perché – alcune associazioni imprenditoriali italiane hanno detto no.

Ma come, anche i cinesi a questo punto dovranno rispettare queste regole perché no?

Tanto tu le devi rispettare comunque.

A proposito, ho dimenticato una cosa: due settimane fa la Cina ha imposto a tutte le imprese quotate, sulle borse cinesi, di usare la rendicontazione di sostenibilità Europea.

E l’India sta cominciando a muoversi, nonostante tutta la resistenza.

Perché, se vuoi vendere in Europa, questo dovrai fare.

A proposito del fatto che l’Europa non conta niente nel mondo, certo non in termini di armi, però… imporre alla Cina gli standard che devono essere seguiti…

Nel momento in cui il capo filiera dovrà rendicontare lungo tutta la filiera, ricordiamoci che in Italia abbiamo 3 milioni di lavoratori irregolari: quelli?

Ci voltiamo da un’altra parte, facciamo finta che non ci siano, oppure le imprese capo filiera cominceranno a dire alle piccole e medie imprese, piccole imprese soprattutto che usano 3 milioni di lavoratori, «guarda, ti devi aggiustare, devi evitare».

Capite che occasione straordinaria.

Se quel capitalismo di cui parlavamo prima facesse il salto, ma in termini di competitività, in termini di giustizia sociale… La vera domanda che ci dobbiamo porre è se siamo o no alle soglie di una nuova fase del capitalismo, che è sempre stato capace di rinnovarsi, e quindi di sfatare le previsioni sul suo fallimento.

Lo fa per bontà? Lo fa per sopravvivere perché l’alternativa a un mondo sostenibile è un mondo insostenibile».

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