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Giorgio Tomassetti, AD Octopus Energy: “Investiremo più di 1 miliardo in Italia al 2030” | L’intervista

“Un miliardo al 2030 è anche poco per quello che dobbiamo realizzare”, rivela a MF-Newswires Giorgio Tomassetti, amministratore delegato di Octopus Energy Italia.

La società è controllata al 100% da Octopus Energy Group, primo fornitore di energia rinnovabile nel Regno Unito, e ha come obiettivo quello di replicare nel nostro Paese un modello di business che rende l’energia verde accessibile su scala nazionale.

La holding, che in un più articolo del Financial Times è stata paragonata ad Amazon per l’innovativo utilizzo della tecnologia e del servizio ai clienti, gode di un parterre di investitori di alta gamma (dal Fondo Generation IM di Al Gore al Cpp Investment Board).

Finanziamenti certi che spingono il ceo Tomassetti a non avere dubbi sul fatto che “questa rivoluzione” energetica e tecnologica “è assolutamente realizzabile anche in Italia”.

Avete appena tagliato il target di 100.000 clienti. Chi è Octopus Energy?

Octopus è un’azienda che combina tecnologia, produzione e fornitura di energia rinnovabile ai clienti.

Siamo entrati in Italia nel 2022 con l’idea di replicare il modello di accessibilità dell’energia verde su scala nazionale.

Nel giro di un anno abbiamo fatto quello che nessuna startup energetica italiana è mai riuscita a fare, registrando una crescita di utenze del 33% su base annua.

Anche nel Regno Unito partivamo da zero, poi siamo diventati il primo fornitore di energia del Paese.

In Italia investirete 1 miliardo entro il 2030. Cosa ci farete?

Punteremo su tre settori: produzione (e storage), decarbonizzazione e fornitura.

La fornitura per noi significa offrire energia verde a un prezzo accessibile con un servizio stabile.

Per consolidare questo segmento con margini bassi, su scala e in tempi così brevi prevediamo di dover investire almeno 100 milioni di euro.

Poi ci sono i servizi di decarbonizzazione, elementi fondamentali per realizzare un mercato più elettrico e più efficiente.

Anche questo è un settore cash intensive, considerando tutta la filiera connessa stimiamo che spenderemo il 10-15% del budget.

Tutto il resto della liquidità lo immaginiamo sugli impianti di produzione.

Da realizzare in Italia?

Assolutamente sì.

Attualmente non abbiamo produzione su grande scala in Italia, ma è quel che dobbiamo fare.

Nella nostra pipeline è appena entrato il primo impianto solare ad Ascoli Piceno, nell’ambito delle Comunità Energetiche Rinnovabili (Cer).

Per riuscire a diventare quel che vogliamo diventare, la maggior parte del miliardo andrà su impianti grandi e storage.

Da dove arriva l’energia che vendete oggi?

Per accelerare i tempi abbiamo siglato una joint venture con Nexta che ci fornisce una pipeline avanzata, dalla quale dovremmo produrre il primo elettrone verde su impianti grandi già nel 2025.

Qui siamo nel Sud Italia.

Ne abbiamo diversi in cantiere, purtroppo la burocrazia ci lascia incerti sui tempi nel dire quale sarà il primo a entrare in funzione, ma abbiamo raggiunto già dei primi step.

E abbiamo avviato un medesimo discorso sullo storage.

L’Italia è in grado di accogliere questa rivoluzione?

Stiamo lavorando per portare avanti una visione che i gestori nazionali oggi definiscono complessa o irrealizzabile.

Questi termini però sono figli di una tradizione dove si è sempre fatto in un certo modo e si fatica a cambiare.

Octopus è in grado di dimostrare che vendere energia verde su larga scala è assolutamente fattibile, non solo in Regno Unito o negli altri Paesi dove operiamo, ma anche e soprattutto in Italia.

Come concretizzate questa fattibilità?

Ci sono tre strade.

La prima attraverso un segnale di prezzo, dunque avere il via libera del regolatore a proporre tariffe innovative legate ai consumi.

La seconda, meno gradita ma comunque percorribile, è la gestione della comunicazione, che consiste nel parlare direttamente con i clienti e indicare loro quando dovrebbero consumare di più e quando di meno.

E funziona?

Sì, non per tutti ma funziona.

L’iniziativa si chiama Saving Sessions.

Nel Regno Unito, lo scorso anno, vi hanno aderito oltre 700.000 clienti.

Gli utenti sono sostanzialmente invitati a ridurre i loro consumi durante specifiche fasce orarie in cambio di un bonus che potrà essere convertito in uno sconto in bolletta.

Nel corso dell’inverno il guadagno complessivo di coloro che hanno aderito è stato di oltre 5 milioni di sterline.

Qual è la terza via?

Quella preferita da tutti: l’automazione.

In questo caso il cliente ci dà accesso ai propri asset (pompe di calore, auto elettrica etc.) e noi ottimizziamo il carico in base alle necessità dell’utente e della rete.

Come ci riuscite?

Grazie alla tecnologia.

Octopus Energy può avvalersi di Kraken, la piattaforma cloud che controlla domanda e offerta grazie all’utilizzo di machine learning e intelligenza artificiale.

Attualmente Kraken è utilizzata nel Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e gran parte dell’Europa continentale.

E può funzionare anche in Italia.

Avete grandi investitori dietro. Avere un accesso ai capitali così importante può fare la differenza nel mercato italiano?

Abbiamo fatto un ultimo round da 800 milioni, ottenuti relativamente con poco effort.

Non lo nego, dietro c’è una forte volontà di investire.

La stessa che ci permette di dire: un miliardo è anche poco per quello che dobbiamo realizzare.

Ma il vostro capitale è aperto?

Abbiamo un range di investitori papabili molto ristretto, se per fortuna o sfortuna non saprei dirlo.

Il punto è che ci sono pochi soggetti al mondo che possono eguagliare gli investimenti che abbiamo, l’Italia farebbe fatica in termini di size.

Octopus Energy non è quotata. È plausibile pensare a un interesse per la Borsa?

La storia ci racconta che società di questo tipo, a un certo punto, è molto probabile che si quotino.

Adesso ci troviamo in una posizione di favore, abbiamo investitori che ci danno liquidità e la libertà di investirli per perseguire la mission aziendale.

Quotarci significherebbe uccidere tutto questo.

Una Borsa nemica?

Oggi sì.

Ci legherebbe le mani su troppi fronti.

Ma aggiungo un’altra cosa, noi oggi non abbiamo debito: situazione finanziaria che ci offre un grandissimo margine di manovra.

La priorità adesso è investire nel lungo termine, per poter dare un ritorno interessante ai nostri azionisti nel tempo, senza blindarci.

Cosa c’è dietro le quinte dell’azionariato?

Abbiamo due tipologie di investitori.

Quelli più finanziari che allocano capitale con un’ottica di un medio-lungo periodo, parliamo del Fondo Generation IM di Al Gore e del CPP Investment Board.

Poi ci sono investitori di lunga data che sono nel capitale, dunque Tokyo Gas e Origin Energy.

Il 10% del nostro azionariato è in mano ai nostri dipendenti.

Cosa si deve aspettare il mercato da Octopus Italia?

Non abbiamo un piano industriale dove nero su bianco si legge che nel 2026 avremo un numero x di clienti.

Ma abbiamo dominato un intero Paese che è simile all’Italia.

Posso dire che il termine chiave è crescita, offrendo servizi e allargando sempre più la produzione.

Crescere per noi è una parola molto più importante di marginalità.

Voi puntate alla fornitura verde su scala. Farete M&A?

Assolutamente sì.

Siamo pronti a farle sia lato retail sia lato servizi.

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