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[L’Intervista] Enzo Bianco, Presidente Consiglio Nazionale ANCI: «La Blue Economy sarà protagonista della ripartenza, guidando l’economia verso uno sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente e del territorio»

Enzo Bianco è un avvocato e politico italiano, sindaco di Catania per quattro mandati non consecutivi e sindaco metropolitano della sua città dal 2016 al 2018. Dapprima deputato e in seguito senatore, è stato anche ministro dell’Interno nei governi D’Alema II e Amato II. Attualmente è Presidente del Consiglio Nazionale dell’ANCI, carica in cui è stato confermato nel 2019. Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di Blue Economy e del Mare Mediterraneo in particolare.

Presidente Bianco l’adozione di adeguate e virtuose misure volte a fronteggiare la catastrofe dell’inquinamento, a plurimi livelli, è ormai improcrastinabile. Recentemente l’Assemblea Regionale e Locale Europea e Mediterranea (ARLEM), celebratasi a Barcellona, ha approvato un documento di estrema importanza sulla Blue Economy. Come giudica questo risultato, anche nella prospettiva italiana?

Le comunità locali sono protagoniste di primo piano in questi settori, e la scelta dell’Assemblea regionale e locale euromediterranea è apprezzabile e significativa. ARLEM si impegna a promuovere la definizione di una “inversione di rotta”, un percorso in cui la Blue Economy sia protagonista, guidando l’economia verso uno sviluppo sostenibile e la tutela dell’ambiente e del territorio. Il successo di questa importante iniziativa di ARLEM dipenderà largamente dalla nostra capacità di far conoscere, discutere, confrontarsi, coinvolgere i nostri cittadini, le imprese, il mondo del lavoro, le istituzioni scientifiche ed accademiche, i giovani, il volontariato.

 In questo contesto, l’inversione della rotta dovrà essere progettata da un’autorità internazionale con la partecipazione attiva delle amministrazioni locali e regionali nel Mediterraneo. Questo percorso dovrà essere basato su alcune linee guida:

  • obiettivi chiari e condivisi nel bacino del Mediterraneo per le energie rinnovabili;
  • divieto di prospezione ed estrazione di petrolio e gas metano nel Mediterraneo entro il 2030;
  • obiettivi chiari e condivisi nel bacino del Mediterraneo per l’economia circolare (uso razionale delle risorse);
  • obiettivi chiari e condivisi nel bacino del Mediterraneo per la riduzione dei rifiuti;
  • regole e norme armonizzate nel bacino del Mediterraneo per acqua e rifiuti;
  • raggiungere l’obiettivo di almeno il 10% di aree protette entro il 2025.
Affinché il tema delle buone pratiche, in un’ottica di crescita della sensibilizzazione nei confronti dei temi ambientali, possa trovare concreta realizzazione occorre avviare processi di formazione e di educazione. Come disegnare un percorso che giunga a delineare un cambiamento di approccio generalizzato, idoneo ad elevare l’ambiente, nella concretezza dei fatti, a bene primario e fondamentale?

Il primo passo verso la necessaria transizione richiede consapevolezza e coscienza dei problemi ambientali e delle opportunità dal punto di vista economico. La formazione sarà fortemente orientata a costruire una cittadinanza attiva; promuovere il cambio di comportamento e di priorità; co-creare percorsi innovativi in piena armonia con tutti gli attori economici, sociali e ambientali. Gli attori principali per la Blue Economy sono ONG, sindacati, università, giovani, amministrazioni locali e regionali e media. In particolare, dovranno essere rafforzati i rapporti tra tutti i paesi del Mediterraneo e le comunità per creare cittadinanza attiva. Le buone pratiche raggiunte da operatori o aziende private e pubbliche dovranno essere condivise.

Il mare è al centro del documento approvato a Barcellona, in particolare quel Mediterraneo culla di storia, di civiltà e di traffici commerciali. Quello stesso mare che oggi è al centro dell’attenzione a causa dei fenomeni di inquinamento che lo pervadono. Come trasformarlo in una risorsa capace di produrre valore aggiunto combattendo i tanti mali che lo affliggono?

Il Mediterraneo, “Mare nostrum” per i Romani, è la culla delle nostre civiltà e democrazie. Il Mediterraneo ha permesso la crescita delle civiltà, dalle rotte commerciali dei Fenici, fino all’argine a difesa della nostra democrazia: le poleis greche. Ora la vita del Mediterraneo, la sua storia è sotto una pesante minaccia: l’uomo. I suoi ecosistemi vengono danneggiati irreparabilmente, con gravi conseguenze anche economiche. Il turismo ha un forte impatto sulle coste e sul mare a causa della gestione non responsabile dei rifiuti; di un consumo eccessivo di energia; e dell’alterazione del ciclo annuale delle attività economiche.

I rifiuti plastici, con 30.000 bottiglie gettate in acqua ogni minuto, minacciano le specie marine, gli ecosistemi e la catena alimentare, di cui noi stessi facciamo parte. Si prevede che entro il 2050 in mare ci sarà più plastica che pesce. I pesci continuano ad arrivare sulle nostre tavole, ma oltre 80% del pescato è a rischio di sovrasfruttamento. Corriamo il rischio di avvicinarci alla fine del “Mare nostrum”? Sì, se non invertiamo la rotta.

Un obiettivo ambizioso è quello di introdurre entro il 2030 un divieto di prospezione ed estrazione del petrolio e del gas metano nel Mediterraneo. Non teme che gli interessi economici collegati possano costituire un’invalicabile barriera rispetto al conseguimento dell’obiettivo?

Il Mediterraneo è una delle aree geografiche che saranno maggiormente esposte agli effetti dei cambiamenti climatici. Il Mediterraneo si sta riscaldando più velocemente del 20% rispetto alle medie globali; il livello del mare aumenterà di oltre un metro entro il 2100 con effetti diretti su un terzo della popolazione; la disponibilità di acqua si ridurrà del 15%. I consumatori sono più sensibili al turismo eco-sostenibile, qualora vi siano delle offerte attrattive; e il turismo è e sarà una delle principali attività economiche del Mediterraneo.

La pesca con tecniche sostenibili e di piccola scala si sono dimostrate molto positive in alcune regioni. Le Città e le Regioni sono protagoniste di primo piano in questa transizione: le loro azioni e interventi hanno un impatto diretto sugli ecosistemi marini. Inoltre, esse possono interagire in maniera rapida ed efficace con i cittadini. Una rinnovata consapevolezza è necessaria. E questa consapevolezza deve essere condivisa con le comunità che amministriamo. Deve diventare l’energia necessaria per le scelte coraggiose da intraprendere, e per superare eventuali ostacoli.

Il documento approvato riserva grande attenzione alle energie rinnovabili, le quali potrebbero ricevere un forte impulso proprio con riguardo alle zone costiere e al mare. Secondo quali modalità e modelli procedimentali vi si potrebbe giungere, tenuto anche conto che oggigiorno lo sviluppo degli impianti è legato a iter amministrativi dal percorso non agevole?

L’energia è un tema centrale. Il settore è responsabile (direttamente o indirettamente) di oltre 80% delle emissioni a effetto serra. Oggi nel Mediterraneo il fabbisogno energetico dipende principalmente dai combustibili fossili. Questo si traduce in una quota di importazione pari al 40%. Le rinnovabili permetterebbero di ridurre le importazioni di energia al di sotto del 25%. L’energia eolica non ha raggiunto il suo potenziale, e rimane un’opzione molto interessante per superare i combustibili fossili. La transizione verso le rinnovabili porterebbe innumerevoli vantaggi per le comunità locali e per il turismo sostenibile, oltre a una riduzione dei costi. Infatti, le rinnovabili possono essere utilizzate con profitto per produrre l’elettricità e il calore (o raffrescamento) richiesto dalle comunità locali.

Un vantaggio molto significativo per le aree costiere del Mediterraneo dove l’energia solare può essere facilmente assorbita da pannelli solari o fotovoltaici; e l’energia del vento può essere sfruttata con impianti a terra, in mare o in aria. Inoltre, i costi energetici possono essere ridotti migliorando l’efficienza degli edifici residenziali e turistici. Queste azioni porterebbero anche grandi vantaggi economici: indipendenza energetica; opportunità di crescita ed occupazione, poiché l’installazione, la gestione e la manutenzione di questi impianti richiede una forza lavoro locale.

La Blue Economy intende promuovere lo sviluppo del benessere e dell’equità sociale attraverso politiche che sappiano, al contempo, produrre valore sotto il profilo economico e occupazionale e neutralizzare i rischi ambientali. Su quali progetti concreti occorre in particolare puntare?

La Blue Economy è una delle azioni più promettenti per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Plan Blue – l’agenzia regionale francese del Mediterranean Action Plan (MAP) del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) – definisce la “Blue Economy come un Sistema economico a basso inquinamento e circolare, basato su modelli di consumo e di produzione sostenibili, che può aumentare il benessere e l’equità sociale, generando valore economico e occupazione, e, al tempo stesso, riducendo in modo rilevante i rischi ambientali e la scarsità di risorse naturali”.

Affinché la Blue Economy possa effettivamente coniugare sviluppo e benessere, occorre darsi carico di lavorare, così come emerge dal documento, su più versanti: dati, governance e strumenti finanziari di sostegno. Quali le proposte per operare su ciascuno di essi?

La Blue Economy può diventare uno straordinario strumento per lo sviluppo. Tuttavia, il suo impatto sulle amministrazioni locali e regionali non è stato pienamente analizzato. Le barriere possono essere classificate in tre principali categorie:

– La gestione dei dati (e degli indicatori) è una barriera fondamentale, perché l’integrità e l’interoperabilità dei dati sono indispensabili per realizzare analisi e confronti affidabili su base temporale e geografica.

– La governance della Blue Economy non è ancora stata definita. Un vasto numero di associazioni, autorità e amministrazioni operano in questo ambito senza coordinamento o conoscenza reciproca in modo incoerente e talora contraddittorio. La mancanza di coordinamento può diventare una fonte di gravi problemi, poiché le singole azioni possono diventare inutili se non condivise nel bacino del Mediterraneo.

–  Attivare “l’inversione di rotta” richiede enormi investimenti a livello nazionale, regionale e locale. L’effetto principale di questi investimenti è la riduzione degli impatti ambientali, quindi essi non sostenibili dal punto di vista strettamente finanziario. In altri termini, non si può attivare “l’inversione della rotta” attraverso finanziamenti privati, a meno che non vengano adottati strumenti fiscali o incentivi dedicati.

Lei è un grande conoscitore, oltre che del sistema delle Istituzioni, della realtà delle città. Come dare un impulso nuovo, che valga a superare la crisi che gli agglomerati urbani stanno vivendo, valorizzando i temi della Blue Economy?

La storia si ripete: le poleis hanno, di nuovo, un’enorme possibilità e responsabilità. Le comunità locali sono le prime a subire gli effetti degli impatti ambientali ma, allo stesso tempo, possono diventare vettori di cambiamento. Tuttavia, per invertire la rotta debbono esserci alternative efficaci e sostenibili: infrastrutture e servizi per il turismo sostenibile, fonti energetiche alternative ai combustibili fossili. Una chiave per il successo è l’educazione, in senso lato. I nostri giovani, attraverso la formazione, ma anche la cittadinanza attiva. Attivare la transizione è una responsabilità di ciascuno di noi, sbloccando i risparmi che possono catalizzare la trasformazione e promuovendo un modello di governo coerente con i principi di sostenibilità per i paesi del Mediterraneo.

La Blue Economy ha come necessario presupposto realizzativo lo sviluppo di un turismo sostenibile, rispetto al quale il Sud del nostro Paese potrebbe rappresentare un interessante laboratorio di sperimentazione. Quali gli interventi su cui puntare?

I dati, pur frammentati, portano ad alcuni considerazioni: il potenziale per la crescita è molto significativo, specialmente in termini di occupazione e investimenti. Il turismo marittimo rappresenta oltre 80% del GVA e del numero degli occupati. Inoltre, vi è un grande potenziali per aumentare le presenze turistiche, in particolare nei paesi del Sud-Est Mediterraneo. Le cinque principali destinazioni turistiche nel Mediterraneo: Francia, Spagna, Italia, Turchia, Grecia rappresentano oltre 80% delle presenze turistiche.

Per aumentare le presenze turistiche servono azioni per promuovere il turismo sostenibile, i servizi e la loro qualità. La diversa attrattività tra Nord e Sud-Est dipende spesso dalla qualità dei servizi: gestione dei rifiuti, disponibilità di acqua potabile, depurazione delle acque, trasporto pubblico, sicurezza; elementi molto considerati e richiesti dai visitatori. Per ridurre queste distanze, sono richiesti ingenti investimenti nei paesi del Sud-Est Mediterraneo, e la condivisione di standard e obiettivi.

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