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Ecco perché le banche non hanno extra profitti | L’intervento

Intervento di Chiara Mancini, vicedirettore generale Abi

Gentile direttore, faccio riferimento all’articolo pubblicato ieri sul suo giornale a firma del senatore Turco per fare qualche considerazione sul tema dello stato di salute del mondo bancario italiano e meglio inquadrare in un contesto complesso, il tema dei profitti.

Vero è che i principali indicatori dello stato di salute del mondo bancario italiano restano nel complesso positivi e vero è che la redditività complessiva degli intermediari è sostenuta dall’innalzamento dei tassi di interesse, ma queste affermazioni, se non articolate e approfondite, rischiano di essere superficiali e portare a valutazioni non solo non corrette, ma distorcenti negli effetti.

Innanzitutto una questione di metodo: il mondo bancario italiano ed europeo non è un monolite, un sistema.

Le banche sono, come tutte le imprese, tra loro diverse, in concorrenza tra loro, con condizioni di operatività sul mercato, modelli distributivi e di raccolta, redditività, bacini di operatività, molto diversificati ed è pertanto assai difficile, se non grossolano, immaginare valutazioni che vadano bene per tutte e quindi, di conseguenza, misure uguali per tutte.

Valgano come esemplificazione di questo basilare presupposto le numerose tabelle e articoli pubblicati dal Suo giornale in cui si confrontano in modo oggettivo rendimenti, margini di intermediazione, utili netti di intermediari italiani ed europei, da cui emerge plasticamente l’elevato grado di differenziazione delle situazioni esistenti e prospettiche.

Vi sono poi valutazioni ulteriori che attengono, appunto, al quadro nel suo insieme e alle sue numerose variabili. Il governatore, al Forex dello scorso 4 febbraio, ha sottolineato che se è vero che “l’inflazione abbatte il valore reale del debito, riducendo la probabilità di insolvenza dei prenditori indebitati a tasso fisso e i cui ricavi non soffrono in misura significativa per l’aumento dei prezzi” (rispetto ai quali vi è un onere crescente per le banche per far fronte alla provvista) è però da considerare che “una parte preponderante dei debiti delle imprese (.) è a tasso variabile e alcuni settori sono particolarmente esposti ai rincari dell’energia. In prospettiva, quindi, non va escluso un incremento anche significativo delle rettifiche su crediti”.

Se è vero che la valutazione di qualità dei c.d. prestiti garantiti dalle misure varate durante la crisi pandemica ha registrato una sostanziale tenuta, è altresì vero che deve essere prestata particolare attenzione al vasto mondo delle imprese che più risentono e potranno risentire dall’aumento del costo dell’energia.

Inoltre, sempre il Governatore sottolinea che, “oltre all’effetto sui conti economici, il rialzo dei tassi di interesse ha anche un effetto diretto sul patrimonio di vigilanza degli intermediari, riflesso del calo dei corsi dei titoli obbligazionari, sovrani e non, valutati ai prezzi di mercato”.

Tutto ciò significa che l’effetto del rialzo dei tassi di interesse non si esaurisce nell’ampliamento dei margini commerciali della tradizionale attività creditizia ma comporta anche effetti depressivi sulla redditività bancaria che ne possono ampiamente compensare i benefici.

Per concludere. Non pare corretto concentrare l’attenzione sui profitti, nel presupposto che la redditività del mondo bancario, soprattutto in via prospettica, è legata a una serie di fattori macro-economici e congiunturali che devono essere valutati con attenzione e lungimiranza: dobbiamo vedere le luci, ma valutare e prepararci alle ombre.

Non pare corretto parlare di profitti di un “sistema” perché il sistema delle banche non esiste, esistono imprese bancarie diverse, con solidità, redditività diverse e non sempre tutte positive.

Non ha infine senso parlare di extra profitti, nel presupposto che tale locuzione è propria solo delle forme di mercato non perfettamente concorrenziali in cui la rendita è il frutto di un monopolio, che non è ovviamente il caso del mondo bancario.

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