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Difesa comune, l’Europa non parte da zero | L’analisi di Maurizio Ferrera

Sul Corriere della Sera Maurizio Ferrera ricorda un episodio avvenuto nel 2008 per sostenere che in materia di difesa comune l’Europa non parte da zero.

Nel 2008, appunto, durante una missione in Africa, il sergente Gilles Polin fu ucciso da una pallottola dell’esercito sudanese.

Il primo caduto in nome dell’Europa indossava una uniforme francese, sulla quale era cucita la bandiera della Ue.

Si trattava infatti di un’operazione Eufor, sotto il comando di un ufficiale irlandese, con militari svedesi, belgi, austriaci, francesi e irlandesi.

L’episodio, sia pure triste, offre secondo Ferrera almeno tre preziosi spunti di riflessione.

Primo: il nucleo di una difesa europea è già esistente.

Da quasi vent’anni la Ue è impegnata in missioni estere: attualmente ne sono in corso 21, di cui 9 a carattere militare, coordinate dallo stato maggiore della Ue (sì, esiste).

Non c’è ancora un esercito permanente, però sono attivi numerosi «gruppi tattici» (battaglioni) multinazionali, pronti a mobilitarsi in caso di necessità.

Il secondo spunto riguarda gli obiettivi strategici: la difesa europea ha fini protettivi e preventivi.

Le armi hanno funzione deterrente e sono usate in contesti (ieri in Ciad, oggi in Ucraina) dove qualcun altro ha iniziato la guerra.

I dispositivi di sicurezza vanno oggi rafforzati non solo per promuovere la pace ma anche per garantire la protezione del territorio e dei cittadini Ue.

Terzo spunto: le truppe Ue non possono che indossare un doppio cappello, nazionale ed europeo.

Anche ai militari si applica infatti la logica della cittadinanza europea, che si sovrappone ma non sostituisce a quella nazionale.

Se non partiamo da zero, la domanda da porsi è ora: dove andiamo da qui?

Qualche giorno fa Ursula von der Leyen ha usato la formula giusta: va costruita una Unione europea della difesa, capace di creare maggiori sinergie fra le forze armate nazionali, mobilitare il bilancio Ue per gli investimenti in difesa e realizzare una infrastruttura comune di deterrenza e protezione.

Il modello organizzativo potrebbe essere quello della Unione europea della salute, realizzata in soli due anni durante il Covid.

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