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Costruire la pace al tempo del Covid. L’appello (inascoltato) del cardinale Turkson

L’estremismo che Lenin bollava come malattia infantile del comunismo, sembra aver contagiato centro, destra, sinistra. 

O, almeno le posizioni più intransigenti, miste a una notevole confusione, sembrano andare per la maggiore. L’estremismo non ha un metodo e quindi improvvisa.

E’ imprevedibile. Perciò la politica, nella sua accezione di regolatrice nobile del bene comune, è piuttosto malconcia un po’ ovunque e proprio ora che crisi sociali tremende si profilano all’orizzonte mondiale debilitato dalla pandemia. Nel tempo della signoria sempre più decisiva delle tecniche informatiche, si moltiplicano i documenti farciti di buone intenzioni che restano sulla carta.

Manca, insomma, la spinta ideale e prevale la rabbia ideologica. Singoli Paesi, anche importanti,  sollevano accuse pretestuose nei confronti di organismi internazionali come l’OMS, le Corti internazionali di giustizia, il FMI e perfino verso le Nazioni Unite.

Si votano programmi, sanzioni, delibere, raccomandazioni, ma poi si registra una lentezza esasperante nell’applicarli. Vince burocrazia e immobilismo.

L’ultimo esempio è l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma magnifico d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. L’Agenda prevede 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016 e i Paesi si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030.

Ma già ora non si è certi che saranno raggiunti i primi obiettivi della lista più importanti per lo sviluppo: la lotta per sradicare la povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto efficace al cambiamento climatico.

L’Agenda persegue anche il rafforzamento della pace universale e una maggiore libertà. Rispetto a questi obiettivi si riscontra un flebile interesse per il bene comune. Cresce, invece, in misura esponenziale l’interesse in ogni Paese per il bene proprio particolare.

L’incertezza della leadership mondiale contesa tra USA e Cina, incalzati dalla Russia accresce il disordine sotto il cielo. E l’Europa non sta meglio.

Con una certa malinconia occorre prendere atto che l’unico leader mondiale coerente e progressivo nella visione di una globalizzazione della solidarietà per contrastare l’indifferenza e il degrado ambientale, resta Francesco.

E, incalzata dalla sua sollecitudine pastorale, la Santa Sede – microscopica entità statuale di enorme prestigio morale- non manca di incoraggiare il dialogo tra i vari Paesi e di farsi carico del clamore dei poveri e dell’ambiente. Ne ha dato un’ennesima prova in questi giorni chiedendo alla politica e all’economia di “preparare il futuro, costruire la pace al tempo del Covid 19”.

Finora è apparso molto laborioso perfino in Europa trovare rapidamente la quadra per sostenere l’economia, il lavoro, la salute fortemente provati dalla pandemia. 

L’analisi elaborata dal Dicastero Vaticano per lo Sviluppo Integrale è molto esigente, ma rigorosa e consequenziale con l’esempio e l’insegnamento di Francesco. E’ chiaro a tutti, ormai, che il papa non si contenta di buoni sentimenti, ma chiede sempre il passaggio dalle belle idee alla fase operativa e realizzatrice. E, tuttavia, l’analisi sulla condizione precaria della pace nel tempo presente appare perfino brusca e critica sulla lentezza internazionale nel passaggio alla pratica delle decisioni concertate. Francesco cerca di scuotere il mondo dal sonno della ragione, persuaderlo che solidarizzare è meglio che combattersi.

“Mentre oggi si destinano somme senza precedenti alle spese militari (compresi i più grandi programmi di modernizzazione nucleare), – ricorda il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e Presidente della Commissione Vaticana per il Covid-19 –  i malati, i poveri, gli emarginati e le vittime dei conflitti sono colpiti in modo sproporzionato dalla crisi attuale. Finora, le crisi interconnesse (sanitaria, socio-economica ed ecologica) stanno allargando il divario non solo tra ricchi e poveri, ma anche tra le zone di pace, di prosperità e di giustizia ambientale e le zone di conflitto, di privazione e di devastazione ecologica”.

La riflessione diventa perfino denuncia.

“Non ci può essere guarigione senza pace. La riduzione dei conflitti è l’unica possibilità di ridurre le ingiustizie e le disuguaglianze. La violenza armata, i conflitti e la povertà sono infatti collegati in un ciclo che impedisce la pace, favorisce le violazioni dei diritti umani e ostacola lo sviluppo. Personalmente, – osserva con un certo tono ironico il cardinale – accolgo con favore la recente approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU di un cessate il fuoco globale. Non possiamo combattere la pandemia se ci combattiamo o ci stiamo preparando a combattere l’uno contro l’altro. Accolgo inoltre con favore l’approvazione, da parte di 170 Paesi, dell’appello delle Nazioni Unite a mettere a tacere le armi! Ma una cosa è chiamare o approvare una dichiarazione di cessate il fuoco, un’altra cosa è metterla in pratica. Per farlo, dobbiamo congelare la produzione e il commercio di armi”.

Non si tratta di parole suggerite dal momento. Ma sono frutto di una coerenza con le grandi scelte di umanesimo moderno decise da papa Giovanni nel concilio Vaticano II,  perseguite e aggiornate da 60 anni a questa parte dai  papi suoi successori sulla pace, la giustizia, il lavoro, la guerra, la vita e la dignità umana, la fraternità, l’ambiente.

Sembra che l’amicizia politica e la concordia internazionale “cessino sempre più di essere il bene supremo che le nazioni desiderano e per il quale sono pronte a impegnarsi. Purtroppo, – lamenta il cardinale Turkson – invece di essere uniti per il bene comune contro una minaccia comune che non conosce confini, molti leader stanno approfondendo le divisioni internazionali e interne. In questo senso, la pandemia, attraverso morti e complicazioni sanitarie, recessione economica e conflitti, rappresenta la tempesta perfetta!

Abbiamo bisogno di una leadership globale che possa ricostruire legami di unità, rifiutando al contempo il capro espiatorio, la recriminazione reciproca, il nazionalismo sciovinista, l’isolazionismo e altre forme di egoismo.

Come ha detto Papa Francesco lo scorso novembre a Nagasaki, dobbiamo “rompere il clima di sfiducia” e prevenire “l’erosione del multilateralismo”. Nell’interesse della costruzione di una pace sostenibile, dobbiamo promuovere una “cultura dell’incontro” in cui uomini e donne si scoprano l’un l’altro come membri di una stessa famiglia umana, condividano lo stesso credo. Solidarietà. Fiducia. Incontro. Bene comune. Non-violenza. Noi crediamo che questi siano i fondamenti della sicurezza umana”.

Sulla scia di Turkson, Alessandra Smerilli una suora professore ordinario di economia politica presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, pone concreti interrogativi.

“Papa Francesco ci ha chiesto soluzioni creative. E allora ci chiediamo: se invece di fare la corsa agli armamenti, facessimo la corsa verso la sicurezza alimentare, di salute e lavorativa? Cosa chiedono i cittadini in questo momento? Hanno bisogno di uno Stato militarmente forte, o di uno Stato che investa in beni comuni? Come ogni cittadino vorrebbe che fossero spesi i propri soldi oggi? Ha senso continuare a fare massicci investimenti in armi se poi le vite umane non possono essere salvate perché mancano le strutture sanitarie e le cure adeguate? La spesa militare nel mondo nel 2019 ha raggiunto il livello più elevato. Se ho una persona malata in famiglia e ho bisogno di spendere per le cure, non indirizzerò tutte le mie risorse per curare il mio familiare?”

Il cardinale Turkson sostiene che la pandemia dovuta al COVID-19, la recessione economica e il cambiamento climatico “rendono sempre più chiara la necessità di dare priorità alla pace positiva rispetto a concetti ristretti di sicurezza nazionale”.

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