Sebbene oltre la metà della spesa pubblica italiana sia in capo a Regioni ed enti locali, le tasse degli italiani continuano in massima parte a confluire nelle casse dello Stato centrale. Nel 2019, ad esempio, l’85,4% del totale del gettito tributario è stato prelevato dall’erario: praticamente 441,4 miliardi su un totale di 516,6. Per contro, agli enti periferici sono andate le “briciole”: praticamente poco più di 75 miliardi, pari al 14,6% del totale.
A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia, secondo cui «appare necessario approvare in tempi ragionevolmente brevi la legge sull’autonomia differenziata chiesta a gran voce da molte Regioni. In altre parole, vanno trasferite funzioni e competenze agli enti periferici che, a loro volta, devono poter contare su risorse proprie che dovranno essere “recuperate” trattenendo sul territorio buona parte delle tasse versate dai contribuenti».
La Cgia osserva come le prime 20 voci di tasse, imposte e tributi (per importo prelevato) incidono sul gettito tributario totale per il 93,7%. Solo le prime 3 – Irpef, Iva e Ires – pesano sui contribuenti italiani per un valore complessivo pari a 320,6 miliardi. Un importo, quest’ultimo, che “copre” il 62% del gettito complessivo. In vista della prossima riforma fiscale, oltre a ridurre il carico in capo a famiglie e imprese, appare sempre più necessario semplificare il quadro generale, tagliando gabelle e balzelli che, per l’erario, spesso costituiscono più un costo che un vantaggio. Negli ultimi 20 anni – sottolinea ancora la Cgia – le entrate tributarie in Italia sono aumentate di 166 miliardi. Se nel 2000 l’erario e gli enti locali avevano incassato 350,5 miliardi, nel 2019 il gettito, a prezzi correnti, è salito a 516,6 miliardi.
In termini percentuali, la crescita in questo ventennio è stata del 47,4%, 3,5 punti in più rispetto all’aumento registrato sempre nello stesso arco temporale dal Pil nazionale espresso in termini nominali (+44,2%). Ancorché provvisori, gli ultimi dati statistici dell’OECD, club che racchiude i 37 Paesi più industrializzati al mondo, ci dicono che dopo la Danimarca (46,3% del Pil), la Francia (45,4%), Belgio e Svezia (entrambe al 42,9%), l’Italia è al 4° posto a pari merito con l’Austria (42,4%) per incidenza della pressione fiscale sul Pil.
Se ci confrontiamo con i nostri principali competitor commerciali, solo la Francia sta peggio di noi (i transalpini registrano un carico fiscale complessivo superiore al nostro di 3 punti). La Germania, invece, presenta una pressione fiscale inferiore alla nostra di 3,6, la Spagna di 7,8 e il Regno Unito addirittura di 9,4 punti. Al di là dell’Atlantico, infine, gli Usa contano quasi 18 lunghezze di peso fiscale inferiore a quello italiano, mentre la media dei Paesi OECD è inferiore alla nostra di 8,6 punti.