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Biden? Troppo accomodante con l’Iran. Trump? Basta ambiguità su Israele | The editorial board The Wall Street Journal

L’assalto di droni e missili iraniani contro Israele, tra la notte di sabato 13 e domenica 14, è un atto di aperta aggressione, ma non è l’inizio di un nuovo conflitto.

È un’escalation della guerra che l’Iran sta conducendo da mesi contro Israele attraverso i suoi alleati in Medio Oriente.

La differenza è che ora il volto imperialista dell’Iran è alla luce del sole anziché nell’ombra, e questo dovrebbe cambiare i calcoli da fare, soprattutto a Washington.

Il leader supremo Ali Khamenei e il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (Irgc) sono stati i burattinai del caos mediorientale, per evitare di esserne direttamente responsabili.

L’attacco di Israele del 1° aprile contro i generali dell’Irgc in Siria, in risposta agli attacchi per procura dell’Iran contro Israele, era apparentemente più di quanto i mullah potessero tollerare.

L’attacco dell’ultimo fine settimana rappresenta finalmente la realtà ed è un segnale inquietante: l’Iran è disposto a correre nuovi rischi di escalation.

Dovrebbe anche chiarire ai leader occidentali le intenzioni malevole dell’Iran.

Migliaia di cittadini americani vivono in Israele e avrebbero potuto diventare delle vittime.

Il bombardamento iraniano non è stato discriminatorio o limitato a obiettivi militari, a differenza dell’attacco di precisione di Israele che ha ucciso i generali dell’Irgc.

Il fatto che la maggior parte dei droni e dei missili sia stata intercettata è un sollievo, ma non è rassicurante contro futuri attacchi a sciame.

Le difese aeree israeliane sono state un successo spettacolare, aiutate da mezzi di Stati Uniti, Regno Unito, Giordania e forse altri.

Ma cosa succederebbe se il prossimo attacco arrivasse tutto in una volta dagli Hezbollah in Libano e Siria e dall’Iran?

L’accaduto è un altro caso di fallimento della politica di deterrenza statunitense.

Il presidente Joe Biden aveva avvertito l’Iran di non attaccare dopo che l’intelligence statunitense aveva rilevato segni di preparazione a Teheran.

“Non fatelo”, aveva detto Biden.

Ma come Vladimir Putin in Ucraina, l’Iran è andato avanti lo stesso, senza dubbio fiducioso che Biden non avrebbe risposto militarmente.

E di sicuro, domenica 14 si è detto che il suo messaggio principale, nella telefonata di sabato 13 al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stato quello di non rispondere.

Le teorie della Casa Bianca sulla gestione dell’escalation non funzionano contro un regime che pensa che un presidente degli Stati Uniti tema l’escalation più di quanto lo tema l’Iran.

La moderazione degli Stati Uniti dopo il massacro del 7 ottobre ha incoraggiato Teheran a vedere quanto ancora possa farla franca. L’attacco a Israele sottolinea anche il fallimento della politica iraniana di Biden.

Il presidente ha cercato di placare i mullah alleggerendo le sanzioni, liberando decine di miliardi di fondi congelati e cercando di rinegoziare l’accordo nucleare del 2015.

L’Iran ha compreso la debolezza e ha mobilitato le sue forze per procura contro Israele, le truppe statunitensi in Siria e Iraq e le navi commerciali nel Mar Rosso.

Gli Stati Uniti hanno risposto con bombardamenti a raffica e ora l’Iran sta nuovamente aumentando il livello di violenza. Immaginate come si comporterebbe l’Iran se acquisisse armi nucleari.

Come minimo, una Teheran armata con il nucleare sarebbe meno contenuta nelle sue guerre per procura e nel terrorismo.

È anche un regime messianico che vuole diffondere la rivoluzione sciita.

Un regime del genere potrebbe essere fin troppo disposto a rischiare l’Armageddon per distruggere lo Stato ebraico.

“Accetta la vittoria”, avrebbe detto Biden a Netanyahu.

Ma è da reputare una vittoria, se l’Iran può attaccare direttamente Israele senza conseguenze?

Israele non dovrebbe aspettare sulla difensiva fino a quando l’Iran non deciderà di attaccare di nuovo.

Israele è giustificato ad attaccare postazioni dell’Iran, compresi gli obiettivi militari in Iran.

Senza dubbio Israele sta valutando se distruggere la maggior parte possibile della capacità nucleare iraniana e ritardare un’esplosione nucleare.

Ma i rischi per Israele sono considerevoli senza il sostegno degli Stati Uniti, soprattutto senza le bombe anti bunker per colpire i siti sotterranei, dove viene immagazzinato l’uranio arricchito.

Ciò significa che l’Iran controlla ancora una volta quando e come provocare un’escalation.

L’attacco dovrebbe almeno indurre Biden e i suoi colleghi democratici a porre fine alla loro guerra fredda con Israele su Gaza e a riconoscere che quella in corso è in realtà una guerra contro l’Iran.

Le minacce dei Democratici contro Israele hanno probabilmente dato all’Iran maggiore fiducia di poter colpire senza conseguenze.

Compiacere la sinistra minacciando di tagliare le armi a Israele è un tradimento e inviterà a un’ulteriore escalation iraniana.

Questa è un’opportunità anche per Donald Trump.

La sua risposta sabato 13 sera è stata quella di dire che il nostro Paese è debole e che questo non sarebbe successo se lui fosse stato presidente.

Ma è successo, e Trump erediterebbe questo pasticcio se vincesse a novembre.

Dovrebbe abbandonare la sua ambivalenza nei confronti di Israele e dichiarare il suo sostegno incondizionato.

I leader di entrambi i partiti dovrebbero anche iniziare a dire la verità agli americani sul nuovo mondo delle minacce globali.

Russia, Cina, Iran e Corea del Nord sono in marcia e lavorano insieme.

Questo non cambierà magicamente con la vittoria di Trump.

Gli Stati Uniti hanno bisogno di un programma urgente di riarmo per ripristinare la deterrenza.

L’attacco di sabato non sarà l’ultimo contro i nostri alleati o il territorio degli Stati Uniti.

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