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Dialogo con Alessia Berra, campionessa paralimpica: “I limiti sono nella nostra mente” | Italiani del Futuro di Benedetta Cosmi

«Credo che a volte essere un po’ «ciecati» aiuti a fregarsene del giudizio altrui e a pensare un po’ di più a sé stessi senza limitazioni immaginarie, dettate dall’esterno. Vivendo nella mia condizione faccio più attenzione agli altri canali di percezione della realtà come udito, tatto e a sensazioni che spesso vengono soffocate dalla vista. Percepisco il mondo a mio modo e mi capita di captare cose che agli altri magari sfuggono, come all’opposto perdere cose che per tutti sono scontate. Sicuramente, cercando di avvicinarvi alla mia visione vi potreste arricchire, perché non sono un supereroe, ma cerco di sfruttare al meglio tutto quello che ho».

Alessia Berra, 29 anni, quando ci conosciamo al Panathlon Milano ha vinto la medaglia d’argento nei 100m farfalla femminile S13 alle Paralimpiadi estive di Tokyo 2020. È con Andrea Liverani e Simone Barlaam, mi colpisce subito. Saremo spesso successivamente a cene tra campioni paralimpici, atleti della mia regione e dirigenti sportivi, allenatori che fanno del lavoro sul «capitale umano» dei capolavori. Che emozione. La verità è che noi intorno non capiamo nemmeno che abbia una disabilità. Il modo più particolare possibile per parlare di questo argomento, si rivela farlo con lei, che ogni giorno deve giustificare e spiegare, dimostrare, è come se le chiedessimo lo sforzo di «sembrare disabile» per accettarla. Un paradosso ridicolo che mi ha fatto nascere la necessità di approfondire questo mondo e piano piano riesco a trovare le domande per attraversare la nostra superficialità spiazzante.

«Ho cominciato a 8 anni e il mio mentore e allenatore si chiama Luca Borreca».

Al momento della nostra chiacchierata la sua avversaria principale – rispondeva – «Sicuramente Maria Carolina Gomes Santiago» brasiliana.

Le chiedo e mi sento subito stupida per averlo fatto, quali sono i tratti più comuni tra gli atleti paralimpici. E mi dice, salvandomi: «Il sorriso e l’ironia». Domando dove tiene le sue medaglie.

«Ne tengo un po’ nell’armadio, qualcuna invece è incorniciata. Quella di Tokyo la porto in giro nelle scuole». (Nel frattempo ne ha vinta un’altra, ai mondiali paralimpici di Manchester 2023).

Ecco la raffica di domande e risposte.

Chi è il tuo atleta del cuore?

Gregorio Paltrinieri, mi piace come persona, oltre che come atleta. Mi ispiro comunque a tutti i miei compagni di squadra, cercando di fare mie le qualità che permettono loro di raggiungere risultati straordinari.

Cosa fa battere il cuore di un atleta?

Oltre a battere, amare e soffrire per le persone, il cuore di un atleta batte anche per la passione sportiva. Chi non è dentro a questo ambiente fa fatica a comprendere questa vocazione.

Cerco di superare la timidezza per fare una domanda che secondo me si pongono tutti o che solo io non avevo mai capito fino in fondo: quali sono le diverse categorie nel nuoto per atleti con disabilità e le caratteristiche di ognuna (ovviamente lo faccio mentre mi ricordo come la guardavano alla cena, «non ha come Andrea una sedia a rotelle», «non ha come Simone una protesi» alla gamba destra).

Il criterio di suddivisione degli atleti con disabilità è quello di offrire a tutti l’opportunità di competere per il podio. Le categorie sono divise in base alle disabilità fisiche (S1-S10), con una classificazione che diventa meno limitante dal punto di vista funzionale all’aumentare del numero di classe sportiva (S). Ad esempio, nella categoria S5 ci sono atleti con lesioni midollari che possono utilizzare solo la parte superiore del corpo, ma ci sono anche atleti affetti da nanismo, in quanto le loro leve articolari sono lunghe la metà rispetto a chi non ha questa malattia.

Le categorie sono basate sulla funzionalità e non sulla patologia. Ci sono tre categorie per la disabilità sensoriale (S11-13), con gli atleti non vedenti nella categoria S11 e gli ipovedenti gravi o meno gravi nelle altre categorie. Infine, c’è la categoria S14 dedicata alla disabilità intellettivo-relazionale lieve. Per gli atleti in questa categoria, esiste un mondo a parte, che riguarda tutte le forme di disabilità intellettiva, chiamato Special Olympics, e la federazione di nuoto che si occupa di queste competizioni è la FISDIR.

Quando una persona con disabilità si avvicina al mondo acquatico, qual è il limite di età per pensarsi atleta?

Non c’è un limite di età per imparare a nuotare in qualsiasi condizione fisica uno si trovi, nemmeno per iniziare l’agonismo.

Qual è il problema principale del mondo paralimpico?

Il fatto che il mondo paralimpico sia sconosciuto ai più, che la gente non sappia che esistono numerosi sport adattati e divertenti per mettersi in gioco.

Hai un consiglio per noi, per tutti gli altri?

Guardate, cercate e appassionatevi al mondo paralimpico che apre gli orizzonti e la mentalità, sprona e fa riflettere, cambiando la visione della propria disabilità e della diversità, rendendola «normale» e non più un qualcosa di lontano, strano e «spaventoso».

La mia visione è limitata da macchie sulla retina concentrate nella zona centrale. In periferia del campo visivo, riesco a percepire le immagini, ma ci vedo meno di 1/10 in entrambi gli occhi.

Quale differenza hai notato tra l’Italia e altri paesi riguardo alla cultura paralimpica?

Voglio citare la Spagna, in quel paese esiste una mega organizzazione chiamata ONCE, conosciuta da tutti i cittadini e molto sponsorizzata, che promuove tutte le attività motorie e non solo quelle per ciechi e ipovedenti. In Italia, invece, ho scoperto solo a 21 anni l’esistenza del mondo paralimpico. Nessun medico e oftalmologo mi aveva mai proposto uno sport adattato. Questo è un po’ il problema della cultura sociale in cui ci troviamo, che deve evolvere e svilupparsi affinché attività sportive di ogni tipo siano davvero inclusive e accessibili a chiunque, così da rendere “normale” anche chi è diverso.

Viaggiando per competizioni internazionali, mi sono accorta che ogni Paese ha una cultura diversa rispetto alla disabilità, alcuni sono molto avanti sull’abbattimento delle barriere architettoniche, altri lo sono solo limitatamente ad alcuni aspetti. Diciamo che ogni cultura ha i suoi pro e contro. Sarebbe intelligente prendere esempio e provare a replicare alcune ottime strategie di inclusione.

Qual è l’aspetto più bello del mondo paralimpico?

Un aspetto bellissimo delle gare e del mondo paralimpico è il darsi una mano a vicenda. Questo crea legami non solo all’interno delle squadre nazionali, ma anche con gli atleti avversari. In spogliatoio e fuori dalla vasca, diventiamo amici e compagni di risate. Con il confronto, capita di aprirsi a nuovi modi di affrontare la quotidianità e le proprie difficoltà. Le persone con cui ho legato maggiormente nel corso della mia carriera sportiva sono quelle più simili a me anche se magari vivono dall’altra parte del mondo. È bello conoscere le diverse culture e il modo diverso di ironizzare sulle situazioni. Ritrovare gli amici di Spagna, Inghilterra, Brasile e Russia è un motivo di gioia durante le trasferte internazionali.

Quali sono le sfide che il nostro paese deve ancora affrontare per l’accessibilità e l’inclusione?

L’Italia sta facendo passi avanti per l’accessibilità e i servizi al cittadino con difficoltà, ma ci sino ancora una mentalità chiusa e molto egoismo che rallentano i progressi. Quello che cerco di fare, andando nelle scuole e raccontando la mia esperienza, è far conoscere il mondo paralimpico, sensibilizzare rispetto ai temi della diversità e disabilità e provare ad aprire la mente dei più piccoli, per aiutare a creare generazioni un po’ più consapevoli e aperte. Vorrei che ci fossero pubblicità che mostrassero la diversità in modo normale, togliendola dalla lista dei tabù. Inoltre, vorrei che tutti i medici fossero informati sugli sport adattati e che ci fosse una rete che potesse aiutare ciascun diversamente abile a trovare il proprio posto, un proprio spazio personale in cui essere se stesso e in cui potersi esprimere al massimo delle potenzialità.

Quali sono tre cose che non sapevi prima di iniziare la tua carriera sportiva paralimpica?

Ho scoperto che chi è in carrozzina è una persona proprio come me. L’unica differenza è che per spostarsi usa le ruote, mentre io uso le gambe.

Ho imparato poi che può essere fastidioso per una persona con disabilità, che la si tratti come «un disabile». Mi spiego: chi non ha le mani impara ad essere autonomo e a chiedere aiuto solo quando ne ha bisogno. Se gli allacci le scarpe, gli fai un favore, ma se lo tratti come se fosse un malato terminale, susciti il sentimento opposto alla gratitudine. Io non sopporto quando qualcuno mi prende sottobraccio e mi tratta come un non vedente, mentre apprezzo tantissimo chi mi chiede se ho bisogno di aiuto e mi assiste nel momento della difficoltà. Sì, lo so, siamo complicati!

E veniamo infine alla terza cosa che ho scoperto. Quando entri in contatto con la nostra realtà, cambia la tua visione, ridimensioni i problemi, prendi forza dagli altri e ti stupisci di quante cose uno possa fare nonostante viva in una condizione difficile e molto limitante. Capisci che spesso i limiti ce li creiamo nella nostra mente e che è fondamentale apprezzare quello che si ha e l’affetto di chi ci sta intorno.

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