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[L’Intervento] Angelica Donati (presidente ANCE Giovani Lazio): «La peggiore recessione britannica da oltre un secolo è dovuta dall’incrocio della Brexit con il Covid»

Dopo numerosi negoziati e una lunga trattativa, circa un anno fa il Regno Unito usciva ufficialmente dall’Unione Europea. Nel frattempo, nello stesso periodo, il mondo iniziava a vivere i primi segnali di quella pandemia che in poco tempo si sarebbe rivelata con tutta la sua violenza.

Diversi elementi legano l’emergenza sanitaria – ancora lontana dall’essere finita, specie nel Regno Unito – alla Brexit, e viceversa. Primo fra tutti, l’impatto sui flussi demografici. Nell’ultimo anno si è registrata infatti un’ingente migrazione: secondo il Financial Times, circa 1 milione e 300 mila persone hanno già abbandonato il Regno Unito.

Nonostante lo shock economico portato dal Covid-19 e la possibilità di richiedere un sussidio per la disoccupazione, molti lavoratori – per paura del coronavirus, ma anche per evitare di rimanere in un Paese non più membro dell’Unione Europea – hanno preferito tornare nel proprio Paese d’origine, o spostarsi in un altro all’interno della UE. Con la Brexit, molte compagnie, banche ed aziende hanno deciso di spostare le loro sedi operative dalla città londinese ad altre città europee, in Germania, Belgio e Olanda. Con esse, migliaia di impiegati e relative famiglie hanno lasciato il paese. Tra le molte, una categoria particolare di lavoratori, quella dei “cervelli” (ricercatori, accademici e professori universitari) è tra le più incentivate a puntare al trasferimento verso il continente, evitando “scomodità” e limiti dell’isolazionismo britannico.

Oltre a tutto ciò, lo scenario di incertezza e instabilità legato alla crisi sanitaria ha provocato chiaramente anche forti conseguenze a livello economico e sul commercio. Lo scoppio della pandemia ha portato alla luce e reso ancora più difficili i rapporti tra la Comunità Europea e la Gran Bretagna, già incrinati dalla Brexit. Anche in questo campo, in pratica, il virus ha agito da potente acceleratore di dinamiche già in atto.

Secondo quanto stimato dall’ONS (l’Office for National Statistics), si è registrato un forte calo delle esportazioni in ambito alimentare e farmaceutico (-40,7%) a gennaio 2021 rispetto a dicembre 2020. Anche le importazioni hanno subito un crollo notevole. Nello specifico, proprio quelle che provengono dal resto dell’Europa, infatti, da febbraio 2020 ad aprile 2020, quindi nel giro di pochi mesi, il valore delle importazioni è passato da 16,6 miliardi a 12,7 miliardi di sterline.

Inoltre, le nuove regolamentazioni sui controlli alla frontiera hanno sortito un certo effetto sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. Dopo l’introduzione da parte dell’Unione Europea dei controlli doganali lo scorso gennaio, le importazioni dall’Europa sono diminuite meno rispetto alle esportazioni verso il continente. Ad essere colpite maggiormente sono le piccole imprese, piuttosto che le grandi aziende o le multinazionali. L’aumento dei costi di trasporto e dei nuovi protocolli ha reso il Regno Unito poco attrattivo per le aziende estere. Molte di queste, infatti, hanno spostato i loro depositi e i loro commerci in paesi dell’Unione Europea, provocando di fatto una grossa perdita di lavoro e opportunità.

Chiaramente, in questo momento storico con ancora lo stato di emergenza sanitaria in atto, non è semplice valutare quanto sia grande l’impatto della sola Brexit. Non è possibile distinguere, quindi, se la recessione britannica, la peggiore registrata da oltre un secolo, sta stata causata interamente dal coronavirus oppure dall’uscita dalla comunità europea. Sicuramente i controlli doganali e le barriere al confine hanno avuto il loro peso. Fra qualche anno, molto probabilmente saranno più evidenti gli effetti che questi due grossi avvenimenti avranno sul paese, anche per quanto riguarda l’impatto sulle piccole e medie imprese.

Resta il fatto che questi dati destano sicuramente una particolare preoccupazione per il futuro del paese anglosassone, che nei prossimi mesi e anni vivrà numerose trasformazioni. Non è difficile capire perché con il senno di poi molti – anche tra quelli che un tempo erano i più ardui sostenitori della Brexit – ora si trovano a vivere un forte senso di “buyer’s remorse”.

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