Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, spiega perché a sinistra i partiti non riescano quasi mai a coalizzarsi e a presentarsi uniti alle elezioni, contrariamente ai partiti di destra.
Ciò dipende, scrive l’editorialista, da una differenza decisiva, sebbene raramente presa in considerazione, esistente tra i due elettorati: il fatto che a destra non esiste, o è comunque scarsissimo, un elettorato radicalizzato, il quale invece è da sempre e in notevole misura presente a sinistra, potendo contare su scala nazionale all’incirca su almeno un milione, un milione e mezzo di elettori (ma forse di più considerando la sua incidenza sul fenomeno dell’astensionismo), tratti in specie dalle fasce giovanili.
Per elettorato radicalizzato si intende quello che si nutre di scelte ideologiche forti, assai spesso decisamente polemiche verso il proprio stesso schieramento.
Un elettorato che vive tali scelte con un impegno altrettanto forte nella quotidianità, partecipando intensamente alle più varie attività di tipo politico (presenza alle manifestazioni, organizzazione di comitati “di lotta”, altre forme di militantismo).
Un elettorato che, quando vota, si distribuisce in modo ondivago tra 5 Stelle, Avs, e formazioni come Democrazia sovrana e popolare, Potere al popolo e altre consimili, tipo Toscana rossa.
È evidente la difficoltà di coalizzare un tale elettorato.
Di convincerlo a votare per un centro-sinistra di governo, vale a dire un centro-sinistra in cui l’istanza di centro sia almeno pari a quella di sinistra.
Fondamentalmente, infatti, l’elettorato radicale non è interessato alle elezioni né a governare.
La principale motivazione che lo anima sta altrove: sta nella testimonianza e nella lotta.
Esso non desidera esercitare il potere quanto soprattutto essere in grado ogni giorno di indignarsi contro di esso.
Al radicalismo di sinistra non interessa la costruzione di un asilo o un aumento delle pensioni: interessa sentirsi dalla parte giusta della storia.








