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Il 2021 delle banche sarà un anno chiave: ecco perché

Le banche italiane si preparano a un 2021 carico di incertezze, a parte poche eccezioni. Non aver pagato i dividendi le ha rese più forti dal punto di vista del capitale, ma l’andamento dell’economia nei prossimi mesi è ancora un’incognita. Se l’Italia non dovesse ripartire come previsto – il Pil 2020 è atteso in calo del 9,9%, quello del 2021 aumenterà solo del 4,4% secondo la Commissione Ue – le banche si troveranno a fronteggiare più perdite sui crediti di quanto stimato e tanti prestiti potrebbero finire in   sofferenza. Oltre a questo, gli istituti italiani iniziano il nuovo anno con un discreto senso di accerchiamento: i piccoli e i medi istituti temono di finire vittime di offerte a sorpresa, i grandi di non cogliere l’attimo e perdere l’occasione di portare a termine operazioni vincenti. Il 2021 sarà per le banche un anno chiave: tre i motivi principali.       

Il consolidamento

L’operazione Intesa-Ubi, portata a termine il 31 luglio, è stata lo shock positivo del 2020 e ha già iniziato a dare i suoi frutti in termini di emulazione. Il 23 novembre è arrivata l’offerta di Credit Agricole Italia per comprare il Creval, e il trend deflagrato nel 2020 sarà ancora meno prorogabile nel 2021. Il motivo? Lo spiega Moody’s in un report sui prossimi dodici mesi: “La debole redditività causata della cronica inefficienza del settore sarà aggravata da un aumento dei default e del calo dei margini di   interesse”.

Le sinergie che scaturiscono dalle aggregazioni possono   contribuire a migliorare gli utili e a ridurre i costi delle società, se non addirittura a ‘salvarle’. E’ il caso di Mps: per la banca controllata dal Mef il 2021 è l’anno dell’uscita obbligata del ministero, secondo gli accordi presi dalla Commissione nel 2017. Il candidato più quotato è Unicredit, che ha davanti mesi di transizione dopo il passo indietro dell’amministratore delegato Jean Pierre Mustier. Un altro fronte caldo è costituito dal possibile ‘terzo polo’ che Intesa Sp era stata accusata di voler annientare comprando Ubi.       

Restano in lizza per costituirlo Banco Bpm e Bper, che sembrano in fase di avvicinamento per un’aggregazione a due, che ha già ricevuto il benestare di Unipol, azionista forte della banca modenese. I sindacati vorrebbero costituire un grande polo con Mps, Banca Popolare di Bari e Carige, ma il Governo non sembra gradire. Nel 2021, tra l’altro, è atteso l’ingresso in scena per la banca genovese di Cassa Centrale Banca, che deve esercitare l’opzione per comprare la quota dell’80% in mano al Fondo interbancario.

I crediti deteriorati

Finora gli effetti del Covid19 sui bilanci delle banche sono stati contenuti, ma la stagnazione economica, le difficoltà dei grandi gruppi e i fallimenti possibili di piccole e medie imprese rischiamo di diventare una vera bomba a orologeria. In una ricerca dei mesi passati, Oliver Wyman stimava in   circa 400 miliardi le perdite sui crediti del settore bancario europeo nei prossimi tre anni a causa della pandemia. In Italia, secondo Moody’s, le rettifiche potrebbe raggiungere cifre vicine ai 55 miliardi di euro nel periodo 2020-2022.       

Tra l’altro, “le misure per contenere la pandemia hanno gravemente   interrotto il funzionamento del sistema giudiziario, creando un arretrato di casi che ritarderà i recuperi e gli accordi sui non performing loan”, osserva l’agenzia di rating. C’è poi il tema delle moratorie, con cui si è concessa una dilazione dei tempi per il pagamento dei propri debiti. Alla fine di marzo, entreranno in vigore le nuove e più stringenti linee guida dell’Eba per la   riclassificazione dei prestiti con moratoria. “Penso che la questione   fondamentale sia l’emersione del rischio di credito. Con la rete di sicurezza data dalle garanzie pubbliche e dalle moratoria sta rinviando l’emersione dei crediti deteriorati”, spiega il docente di Economia monetaria dell’Università Cattolica, Angelo Baglioni.       

“Quando la moratoria finirà, bisognerà classificare questi prestiti come deteriorati. La coperta dura fino al 31 giugno dell’anno prossimo, alle pmi è stato concesso altro tempo dalla legge di bilancio. Poi bisogna vedere cosa succederà”. I prestiti assistiti da garanzie pubbliche hanno superato i 120 miliardi di euro dall’inizio del Covid, ma sono solo il 7% del totale dei prestiti erogati da famiglie e imprese.

Dividendi e azionisti

Nel 2020, su indicazione di Bce e  Banca d’Italia, le banche non hanno distribuito i dividendi accantonando gli utili del 2019 nel proprio patrimonio. Sono stati congelati, pertanto, circa 6 miliardi di cedole, che hanno consentito al settore di avere riserve di capitale per affrontare gli shock del Covid19 e prepararsi a traumi futuri. La misura, non particolarmente gradita dall’associazione bancaria, è stata un duro colpo soprattutto per alcune categorie di azionisti, come le fondazioni, che con i   proventi delle cedole finanziano i loro investimenti sul territorio. 

I banchieri, però, sono preoccupati anche dall’eventualità che grandi fondi e investitori istituzionali abbandonino le banche per fuggire verso altri comparti più redditizi, che non hanno authority capaci di condizionare la distribuzione degli utili. A fine anno, la Bce ha pubblicato una nuova raccomandazione sul pagamento dei dividendi: fino al 30 settembre serve ancora “estrema prudenza” e le banche potranno al massimo restituire ai soci il 15% dei profitti accumulati nell’esercizio 2019-2020 o 20 punti base in termini di cet1. Naturalmente, possono farlo solo banche “redditizie” e particolarmente solide.

“L’autorità – spiega Baglioni – è preoccupata e continua con il suo approccio prudente, dopodiché è chiaro che è una scelta aziendale. Ci sono banche che possono permettersi di pagare il dividendo di quest’anno e altre che non possono farlo”.

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