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Matteo Maria Zuppi (cardinale e arcivescovo di Bologna): «La grande opportunità di questo momento è riprendere la lotta contro la povertà»

«La pandemia ha creato anche tante situazioni di povertà». Parla così Matteo Maria Zuppi, cardinale e arcivescovo di Bologna, nel suo intervento in occasione del webinar online, dal titolo “La povertà: seminario congiunto nell’ambito degli insegnamenti di diritto costituzionale”.

«Le statistiche parlando di 5 o 6 milioni di italiani sulla soglia di povertà», ricorda. «È importante quella definizione che la Caritas ha usato “gli equilibristi della povertà”. C’era un film che si chiamava “Gli equilibristi”. E parla proprio di quelli a cui si accennava prima. Quelli che fanno sempre attenzione. Molti di questi equilibristi sono anche tanti anziani. A me ha colpito, nelle statistiche, riguardo le farmacie: il consumo dei farmaci (ma anche del latte) diminuisce quando si arriva vicini a prendere la pensione. Quando devi fare attenzione, quando devi stare più attento. Quindi si riduce il consumo di molti farmaci non mutuabili, che richiedono un investimento. Questi sono i cosiddetti equilibristi».

«La pandemia ha aumentato tutto questo. Siccome siamo in un momento in cui si può e si deve pensare al futuro più che mai, come ha detto il sindaco “avremmo tanti soldi, dobbiamo riuscire ad amministrarli. L’amministrazione deve fare un salto, altrimenti non ce la fa”. Beh, è coraggioso a dirlo. E come facciamo? Parliamo di una delle zone dove le amministrazioni notoriamente funzionano meglio, ci sono altre zone dove le amministrazioni fanno acqua. Questo che cosa significa? Che una possibilità per lottare contro la povertà. La cosa, inaccettabile, è che molte volte si combattono i poveri e non si combatte la povertà. Oppure si fa la lotta tra i poveri, invece di aiutare insieme a combattere la povertà».

«Qualche mese c’era la distribuzione di case popolari a gente che ne aveva tutti i diritti a Roma, come una signora italiana, di origine etiope. Le sono andati addosso tutti quanti. O meglio, alcuni che lo facevano a posta per creare il caso. Dov’è il problema? È che se tu non amministri le case popolari per cui tu dai diritti a tutti, e fai rispettare tutti. Non sto qui a raccontare la non-amministrazione, il ruolo delle piccole e grandi mafie nella periferia romana, che cosa significa che le case vengono occupate di vero diritto dal prepotente o quello che paga qualcun altro per avere la casa. A cosa porta tutto questo? Alla lotta tra poveri e non alla lotta della povertà. Questo è evidentemente inaccettabile».

«L’emergenza ci deve aiutare a capire come combatterla. Se non ne facciamo tesoro la prossima emergenza sarà la stessa» spiega l’arcivescovo. «Un esempio di questo, a mio parere, è l’immigrazione. Sono quarant’anni che parliamo di immigrazione in Italia. Sono quarant’anni che lavoriamo nell’emergenza».

«Nel 2080, solo la Nigeria avrà un miliardo di persone. Ci sarà un po’ di pressione per andare a cercare qualche ricchezza. Penso che sia il minimo, no? Questo richiederebbe un po’ di lungimiranza e di buonsenso, ma anche una seria politica in materia di immigrazione e cooperazione. Cioè il famoso “aiutiamoli a restare lì”. Benissimo, ha anche molto senso, ma – a mio parere – non è soltanto un problema di senso difensivo. C’è qualcosa che si chiama anche uguaglianza. Non è che certi diritti universali sotto un certo parallelo non valgono più o valgono la metà. Valgono i tutti i paralleli e dovremmo cercare di aiutare a far in modo che questi diritti siano rispettati».

«È chiaro che poi ci sarà una pressione che sfonderà qualsiasi impermeabilizzazione che creeremo. La pressione dal fondo sarà talmente alta che sarà inevitabile. Non si può pensare di ragionare nell’emergenza. Il problema è delle politiche, è il problema di un sistema che funzioni e che abbia la capacità di rigenerarsi, di riformarsi. È chiaro che poi arriva una pandemia e cambia tutto, ma se tu hai un sistema saldo, non dovrai contare più soltanto sul volontariato, no? O sul fatto che addirittura il pubblico diventi volontariato. Certo, lo può diventare nell’emergenza, per un po’. Ma dopodiché, medici e infermieri dicono “signori, ma come facciamo se non c’è un sistema?”».

«Dopo un po’ si stancano pure loro. Sono stati straordinari nella prima fase della pandemia, e nella seconda fase avevano molto affanno e dicevano “perché devo continuare a fare qualcosa in emergenza quando, appunto, è di qualcosa di strutturale?”, e la domanda mi sembra molto giusta. Il problema della povertà è che se ne esce tutti insieme. Non credo sia soltanto un discorso etico. L’etica, purtroppo, qualche volta è un po’ antipatica, perché la riduciamo quasi fosse il grillo parlante».

«Non so se qualcuno si ricorda, il film che si chiama “Uccellacci e uccellini” di Pasolini, dove c’è questo corvo che continuava a rompere le scatole a questi qua. Alla fine questi due si mangiano il corvo, perché non ne potevano più. Beh, l’etica non è il corvo che ti rompe le scatole. È quello che ti permette di essere più forte di condizionamenti. E abbiamo un grandissimo bisogno di etica. Non si può vivere senza etica, altrimenti l’etica diventa altre cose. Obbediamo ad altre cose. Un capitalismo senza etica è terribile per tutti. Un mondo senza etica è un mondo in cui vince il più forte. È pericoloso davvero per tutti».

«Siamo sulla stessa barca e soltanto insieme se ne esce – riprendo un espressione di Papa Francesco. E non possiamo lasciare nessuno indietro – di nuovo espressione di Papa Francesco – perché se qualcuno resta indietro restiamo tutti indietro. Non possiamo vivere sani in un mondo malato, così come non possiamo pensare di vivere ricchi in un mondo di poveri. Dici, “ma che mi importa? Io sono tra quei 500 che hanno tanti soldi quanto milioni di persone, sono affari loro”. A mio parere, così, non vive bene neanche quel ricco. Ha tutto ma non ha niente».

«In questo senso dobbiamo uscirne insieme. La grande opportunità di questo momento che stiamo vivendo è proprio quello di riprendere la lotta contro la povertà, che è guardare al futuro, è non accettare delle situazioni che possono poi trasformarsi. Perché se io sto male devo trovare qualche soluzione. E se non trovo qualche soluzione poi prevale la rabbia, no? E poi povero posso diventarci sempre anch’io. “Fai agli altri ciò vuoi sia fatto a te” è anche molto saggio, perché la povertà fa parte di una dimensione che anche un po’ accompagna la nostra vita: la vulnerabilità. Cioè che ti succede qualcosa e ti ritrovi in una condizione che non avresti mai pensato. La pandemia è stata una grande chiarificazione in questo senso. Evitiamo di tornare come prima».

«Sul discorso dei diritti la Costituzione è effettivamente straordinaria. Nella Costituzione ci sono i diritti inviolabili dell’uomo, sia singoli che nelle formazioni sociali, richiede l’adempimento dei doveri inderogabili, di solidarietà, politica, economica e sociale. Dice che tutti hanno pari dignità e sono uguali. L’uguaglianza non è una fotografia: devono essere uguali. Perciò se l’ascensore sociale è rotto bisogna aggiustarlo. Non possiamo dire che è rotto e poi ci penserà qualcuno».

«Bisogna aggiustare la struttura sociale, altrimenti quel diritto all’eguaglianza non è più un diritto, viene svuotato. E resta soltanto nelle dichiarazioni, disattese e svuotate. Diventa irridente. Perché se dichiaro dei diritti e poi li svuoto, è irridere la situazione e chi poi in effetti è privato di questi diritti. Apre alla disillusione. Perché se l’ascensore sociale è rotto vado a prendere quello della mafia. Se l’ascensore sociale è rotto cerco qualsiasi cosa mi faccia alzare. Questo evidentemente è molto pericoloso. Anche la diffusione di tante mafie – e usiamo il plurale, perché è molto più complicato di prima – è dato da questa condizione».

«Ogni cittadino ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Non è un piacere, è un diritto. Quando il diritto diventa un piacere è gravissimo. È una logica assistenzialista. E se lo Stato e le istituzioni fanno assistenzialismo è il contrario della spinta che permette di dare dignità a ciascuno».

«La povertà non è una colpa, che “alla fin fine se l’è cercata lui”. Questo credo sia inaccettabile: ci sono dei diritti che vanno applicati. Il problema della colpa sarà suo, ma io devo dare diritti a tutti quanti. Non è che si chiede il certificato se sia stato buono o no. Se ha fame ha fame. Punto. E bisogna dargli da mangiare. Papa Francesco insiste moltissimo su questo. Bisogna combattere le cause della povertà. Il problema non è dare qualcosa nell’emergenza, ma dare qualcosa che risolve l’emergenza. Come dice in “Fratelli tutti”, devi dargli l’aiuto economico, ma anche il lavoro. Tu vedi degli anziani che attraversano il fiume, devi aiutarli ad attraversare e costruirgli il ponte. Questa politica. Lui parla addirittura dell’amore politico, altro che etica. La politica che nasce dalla passione della causa comune per vivere bene tutti».

«La solitudine spoglia di tutto, impoverisce tutti. Poi tanti che sono effettivamente in condizione di povertà e anche tanti anziani che hanno vissuto già il precariato. Tanti della mia generazione, sono del ’55, hanno vissuto come veniva, già figli di una realtà economica molto più volatile. E si trovano con pensioni che sono poco più delle pensioni sociali. Per chi non ha case e ha una pensione di 800 euro, è chiaro che diventa un problema di equilibrio».

«Tra le povertà, oltre agli stranieri e al precariato dei giovani, aggiungerei anche le dipendenze. Uno magari dice “se la va a cercare”. Con la dipendenza si diventa schiavo. C’è quel diritto all’assistenza che chiede anche di spezzare quelle dipendenze. Ho l’impressione che ci stiamo abituando a tante dipendenze che rischiano di essere accettate come qualcosa di normale. I diritti non sono problemi. I diritti non sono favori».

«Credo che l’università, questo incontro e questo pensare insieme, sia importantissimo. Perché penso che ci serva anche tanta cultura, tanto fondamento. Ho trasmesso molta passione anche nel vedere tante risorse sprecate, tante possibilità negate, tanti diritti che diventano piaceri. Credo che sia folle, oltre che eticamente inaccettabile, per il futuro. Ci abitueremo a vivere in una casa comune. È fondamentale il contributo che l’università, la ricerca, la cultura, lo studio, l’approfondimento, possono dare in questa comune lotta, affinché la casa comune sia più vivibile per tutti. Lottare contro la povertà è garantire una garantire una casa comune che davvero è più sicura per tutti».

In conclusione, «se la politica è debole – e indubbiamente è un po’ in affanno e l’astensionismo lo rivela – poi si cercano risposte più immediate, quelle che danno l’illusione di risolvere i problemi. Sappiamo che i certi problemi vengono risolti soltanto con delle grandi prospettive che richiedono delle convergenze. Non ho parlato tanto della Costituzione, ma colpisce che quegli articoli di ormai 70 e più anni fa, hanno una valenze e un’importanza decisiva, e ci aiutano oggi a guardare più lontano. Come era nello spirito dei costituenti che, con delle divergenze importantissime dal punto di vista ideologico, hanno trovato delle grandi convergenze sulla difesa della persona, su quei valori fondanti che caratterizzano l’umanesimo del nostro Paese».

«I diritti non svuotiamoli. È la cosa peggiore che possiamo fare. E poi, sullo spreco. Che non è solo quello alimentare, ma quante occasioni sprecate? Quante possibilità negate? In questo senso credo che la sofferenza che bene o male abbiamo vissuto tutti, trovandoci tutti un po’ più nella difficoltà, visto che non è solo un problema economico ma qualcosa di più, che ci aiuti a non sprecare delle possibilità. Perché vuol dire togliere ad altri, vuol dire negare ad altri».

«Il corvo di cui parlavo prima, viene ridotto a un antipatico, ma l’etica è davvero quello che difende tutti. Anche per quanto riguardi i diritti, permette i diritti e i doveri. E anche questa è una parte importantissima, perché significa che quello che faccio io è importante per tutti e non è solo un problema mio. L’io trova sempre nel noi il proprio compimento. Non è mai solo un problema individuale. Quando si garantiscono i diritti individuali ma non collettivi è pericoloso anche per i diritti individuali».

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