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Vantaggioso per pochi e per poco tempo. Vi spiego tutti i limiti della proposta del taglio dell’Iva

Un dibattito quasi sempre privo di contenuti si è scatenato nei giorni scorsi a proposito del taglio dell’IVA.

Discutere del taglio dell’IVA senza avere i fondamentali della questione, le differenti alternative e lo status quo può solo essere fuorviante e generare un dibattito surreale nel quale di fatto si fronteggiano lobby diverse senza una bussola.

Per contestualizzare il dibattito attuale dobbiamo chiederci cose fondamentali sullo status quo.

Prima di tutto se è vero che l’IVA in Italia pesa più che negli altri paesi.

Nonostante le aliquote siano simili a quelle medie europee il gettito IVA in Italia è tra i più bassi in rapporto al PIL (6,1%, contro una media europea del 6,8% e superiore solo all’Irlanda).

Per capire la differenza, quando guardiamo le imposte dirette invece il gettito italiano è senz’altro al di sopra della media europea.

Si parte quindi con la constatazione che le imposte dirette in Italia pesano senz’altro di più dell’IVA in termini comparativi agli altri paesi.

Questa constatazione aveva portato alcuni commentatori negli anni passati a consigliare di far scattare, magari solo  parzialmente, le clausole di salvaguardia (che prevedevano un aumento dell’IVA), per finanziare sgravi fiscali sul lavoro (ad esempio con decontribuzioni parziali).

Questa manovra in effetti avrebbe ribilanciato il gettito delle diverse imposte ed è stata accostata a una svalutazione implicita.

Il motivo principale è che mentre l’IVA si paga su tutti i beni, compresi quelli importati e quindi pesa anche pro quota su produttori esteri, gli sgravi sulle imposte sul lavoro andrebbero a beneficio dei soli produttori interni.

Per questa via il sistema produttivo viene avvantaggiato implicitamente.

Ovviamente questo non vale per beni e servizi non sostituibili con produzione interna, i cui consumatori pagherebbero in parte il conto.

Gli effetti netti anche in termini distributivi di una manovra del genere dipendono da come viene condotta, ad esempio quali imposte vengono tagliate e come. Gli effetti sono complessi ovviamente. Solo per fare un esempio sarebbero svantaggiate le regioni meridionali nelle quali gli occupati pesano meno e il rapporto tra consumi e PIL, o consumi e reddito da lavoro (soprattutto se si esenta solo il settore privato) è molto maggiore del resto del paese.

Oggi ci troviamo a discutere della manovra opposta, ovvero il taglio di qualche punto di IVA.

A fronte della caduta di consumi, e della ripresa molto lenta che stiamo osservando, il taglio dell’IVA potrebbe apparire utile.

Ma in realtà appare improbabile che un piccolo ritocco ai prezzi abbia un effetto importante sui consumi in un momento di grave incertezza come questo. I consumi possono ripartire solo a fronte di una rimozione dell’incertezza, ovvero se la gente ricomincia a lavorare.

Gli effetti prezzo sono di piccola entità in questa fase. Un taglio generalizzato di pochi punti di IVA quindi, a fronte di un costo consistente per le casse pubbliche avrebbe un effetto presumibile limitato.

Le ipotesi che erano circolate nei giorni scorsi di un taglio delle aliquote IVA per tutti i beni sembrano accantonate per i motivi suddetti.

Il Presidente del Consiglio ha subito precisato che il taglio riguarderebbe solo alcuni servizi.

Secondo il Centro Studi di Confcommercio una ipotesi sarebbe il taglio dell’IVA per tutti i beni e servizi tassati al 10%.

In questo caso un taglio di 5 punti costerebbe 15 miliardi l’anno.

I beni e servizi in  questione sono beni alimentari di prima necessità e servizi di ristorazione, accoglienza e riparazione in senso lato. Francamente è difficile che ci sia una maggiore spesa in pasta alimentare se il prezzo cala del 5% e quindi anche questa manovra non è particolarmente razionale.

Per quanto riguarda i servizi turistici, accoglienza e ristoranti, si tratta in effetti di settori che soffriranno in maniera certamente differenziale.

Al momento l’IVA su questi servizi è al 10%, poco sotto le aliquote medie europee (11% per l’accoglienza e il 15% per i ristoranti).

In effetti quasi tutto il valore aggiunto di questi servizi viene prodotto in Italia e quindi il discorso di cui sopra sugli effetti delle imposte sul consumo sul sistema produttivo estero e interno non vale.

Tuttavia rimangono i dubbi sugli effetti di questa riduzione sui consumi.

Al momento i freni ai consumi in questi settori appaiono determinati da altri fattori, dai limiti alla mobilità internazionale, alle incertezze per i consumatori interni.

I fattori di prezzo sono probabilmente ininfluenti.

Il Presidente del Consiglio ha ulteriormente precisato poi che in effetti il taglio sarebbe solo temporaneo.

Anche questa precisazione è appropriata.

In effetti un taglio d’imposta temporaneo può avere un effetto congiunturale paradossalmente maggiore sui consumi di uno definitivo.

Nel primo caso in effetti i consumatori potrebbero essere indotti ad anticipare i consumi sapendo che le aliquote (e i prezzi) si alzeranno in futuro.

Questo vale però sostanzialmente per beni relativamente costosi e beni durevoli più che per gli altri.

Quanto ci sia un effetto sui consumi turistici è da vedere ma probabilmente ci potrebbe essere soprattutto per servizi di lusso, su cui il risparmio sarebbe consistente.

Solo per fare un esempio una coppia benestante ma non ricca potrebbe chiedersi se è questo il momento di fare una visitina al ristorante di Carlo Cracco.

In presenza di una persistente incertezza comunque non credo che gli effetti aggregati sarebbero significativi.

In ultima analisi anche se le precisazioni progressive del Presidente del Consiglio hanno reso più ragionevole la proposta, è difficile aspettarsi un significativo aumento dei consumi contando su effetti prezzo in questa fase.

E la proposta ha il difetto di intervenire sulla tassazione in un momento delicato nel quale si sta ripensando l’architettura del sistema fiscale.

Siamo sicuramente in una congiuntura unica per il Paese in cui vale la massima keynesiana per cui nel lungo termine siamo tutti morti.

Però siamo in una situazione più grave degli altri paesi soprattutto perché abbiamo applicato quella massima alla lettera per troppo tempo.

Ora si tratta anche di guardare al lungo termine.

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