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Ubaldo Livolsi, professore Corporate Finance: “L’Europa acceleri sull’unione dei mercati dei capitali” | L’analisi

“In un mio precedente contributo, commentavo come il cosiddetto Ddl Capitali, approvato in via definitiva al Senato il 27 febbraio scorso, cerca di realizzare quanto sostengo da tempo: l’importanza per il nostro Paese di far crescere il proprio mercato dei capitali e favorire l’accesso e la permanenza delle imprese nell’ambito dei mercati finanziari”. Scrive Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A..

“Non meno rilevante è un altro tema- continua- che riguarda l’Europa (e quindi l’Italia): l’Unione dei mercati dei capitali. È quindi una buona notizia che, dopo le ultime prese di posizione della Bce a favore della Cmu (Capital Markets Union), l’Eurogruppo, l’organo informale dei ministri degli Stati membri della zona euro, allargato per l’occasione a tutti i 27 Stati membri, abbia riproposto di accelerare su tale questione. Che questo sia un passaggio strategico lo dimostra il fatto che del risultato della riunione sono stati informati i team di Enrico Letta (ex presidente del Consiglio) e di Mario Draghi (ex presidente del Consiglio e della Bce), che per Bruxelles stanno rispettivamente preparando i rapporti sul mercato unico e sulla competitività”.

“L’Europa ha due grandi sfide da affrontare- scrive ancora Livolsi- la prima sono i 480 miliardi di euro all’anno da spendere dal 2021 al 2030 per gli investimenti addizionali necessari per fare dell’Unione l’area più competitiva del pianeta a emissioni C02 nette; la seconda è quella di avere un mercato interno meno segmentato e una maggiore integrazione del mercato dei capitali. Come è anche nel caso degli italiani, i cittadini europei hanno una grande quantità di risparmio che potrebbe e dovrebbe essere destinato alle aziende europee, ingessate da problemi di equity rispetto alle loro concorrenti oltreoceano. Investire nelle imprese significa creare posti di lavoro, sviluppo e crescita. Gli americani utilizzano i loro risparmi in modo diverso, contribuendo al valore delle loro aziende e al miglioramento dell’economia.

Si pensi anche a quante start-up abbiano difficoltà a trovare capitale di crescita e sono spinte a dirigersi verso gli Usa. Non si tratta solo del valore dimensionale del risparmio – il mercato finanziario americano vale circa il 220% del prodotto interno lordo degli Stati Uniti, mentre il mercato finanziario europeo vale appena l’80% del prodotto interno lordo europeo – ma dell’esigenza di un cambio di paradigma e di mentalità, che deve riguardare gli europei e la loro classe politica”.

“È fondamentale, a mio parere, che l’opportunità della Cmu sia sfruttata e affrontata congiuntamente ad altri due temi, che sono anche delle opportunità: il primo è l’approntamento di un asset-benchmark sicuro, come quello rappresentato dai titoli di Stato nel contesto Usa, che consentirebbe una migliore valutazione dei prodotti rischiosi e rappresenterebbe una sorta di garanzia per gli investitori; il secondo è un politica fiscale comune permanente, che possa aumentare le entrare e prendere in prestito denaro dai mercati finanziari – anche se quest’ultimo è un argomento difficile da accogliere per Paesi come la Germania, che beneficiano di costi di finanziamenti inferiori rispetto a quelli degli altri Paesi dell’Ue. Tuttavia, senza questi due cambiamenti, la Cmu incontrerebbe difficoltà ad esprimere tutte le sue potenzialità” conclude Livolsi.

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