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Tecnologia, innovazione e imprenditoria giovanile: ecco il futuro economico dell’Italia

La situazione emergenziale che abbiamo affrontato nei mesi scorsi ci ha costretti a vivere uno dei momenti più drammatici della nostra storia: confinati in casa con un nemico invisibile e letale alla porta. Il pericolo sanitario e il confinamento sociale hanno messo a nudo bisogni, paure, fragilità ma anche forze del nostro Paese. Se, da un lato, abbiamo avuto modo di apprezzare l’importanza e la necessità di un sistema sanitario nazionale organizzato, puntuale ed efficiente, dall’altro lato siamo stati messi di fronte all’evidenza di come molti, troppi, mercati fondamentali per la nostra economia vivano in uno stato di arretratezza tecnologica e culturale, epifania di una rete imprenditoriale poco sviluppata e a tratti inesistente.

In questo periodo di distanziamento sociale passato alla storia come “lockdown”, non abbiamo riscoperto solo l’importanza della casa, ma anche quella della tecnologia e del suo impatto nel quotidiano, la cui rilevanza torna ciclicamente tanto nei programmi elettorali quanto nelle dichiarazioni dei politici che raramente, se non in forma limitata e assistenzialistica, trovano seguito nella pratica.

Strumentazione adeguata, connessione uniforme e sgravi fiscali per acquisti in campo tecnologico, sono azioni che, seppur necessarie, appaiono limitate al fronteggiare un’ipotetica situazione emergenziale piuttosto che a un rilancio dell’Italia in chiave N.0 (enne punto zero). Sia detto N.0 per non schierare i modelli e la tecnologia con schemi di parte, piuttosto come paradigmatico di una capacità sistemica di transitare il Paese verso un modello digitalizzato e inclusivo in cui la tecnologia ed il digitale siano a supporto di sostegno sociale, competitività imprenditoriale, creazione di lavoro, formazione di qualità, riduzione del job mismatch, efficienza nella PA, capacità di aggregare talenti e contributi differenti per creare valore sistemico. Ricorrere alle tecnologie, implementarle e renderle accessibili a tutti è e dev’essere solo il primo passo verso la creazione di ecosistemi di successo di cui celeberrimo esempio è la Silicon Valley.

A mancare non sono (solo) i tablet, ma un progetto politico in grado di potenziare la ricerca di base, abilitare maggiore supporto alla ricerca applicata, al trasferimento tecnologico e all’imprenditore nel viaggio della sua impresa verso il mercato: stando ai dati dell’osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano gli incentivi e sgravi fiscali destinati alle start-up, sebbene graditi, sono stati inferiori (1,1 milioni di dollari) rispetto alla media europea, (13,6 milioni di dollari) e presi di per sé non esauriscono il ruolo della Stato. Sono più che mai necessarie azioni concrete per favorire la ricostruzione di un nuovo tessuto imprenditoriale, la sinergia e il dialogo tra diversi attori e abilitatori di innovazione, tech companies, corporate, fondi, centri di ricerca, istituzioni e accademie: tutti concorrono a creare l’humus adatto affinché anche l’Italia, nazione il cui tessuto imprenditoriale perde protagonisti importanti, possa recuperare e rilanciare il suo ruolo imprenditoriale e diventi così un ecosistema distribuito. Perché se una tecnologia risolve un problema, è il modello di business innovativo, abilitato dalle nuove tecnologie, a creare valore.

Esempio di arretratezza in mercati fondamentali per la nostra economia quotidiana è ravvisabile nel segmento della cura della casa e degli ambienti indoor che abbiamo avuto modo di apprezzare in momenti difficili come quelli del recente passato e che non possiamo abbandonare alle vecchie logiche dell’elenco telefonico, delle chiamate senza garanzie, delle rischiose truffe a danni delle fasce più deboli della popolazione. In questo senso, una forte spinta innovativa arriva da progetti ideati da giovani menti che, tramite start-up puntano a rivoluzionare i più tradizionali dei mercati pur senza poter contare su politiche strutturali di supporto.

E se si dice da troppo tempo che l’Italia non è un Paese per giovani, se si parla di cervelli in fuga, se il Covid-19 ci ha insegnato l’importanza di fare squadra e la necessità di innovarsi, è giusto impostare la ripartenza investendo su quella fascia di età che, per quanto banale sottolinearlo, costituisce il futuro del nostro Paese.

Mettere i giovani nelle condizioni di far ripartire l’Italia non è limitabile solamente al fornire loro accesso agli studi o costringerli ad imbrigliarsi in reti burocratiche per domandare un incentivo piuttosto che un altro, lasciandoli a sperare di riceverlo in tempo e proporzionato allo sforzo e al tempo impiegato nel progettare il viaggio verso il mercato. La possibilità dei giovani di investire nei propri sogni deve partire da un cambio di paradigma che per troppo tempo, complici anche cattivi esempi, ha visto il pregiudizio dell’imprenditore-prenditore e non ha riconosciuto a questa fascia coraggiosa di popolazione i rischi e l’impegno nel generare valore, per sé e per gli altri, facendo del proprio sogno realtà e opportunità. Gli imprenditori italiani e i giovani startupper hanno sempre creduto nella forza dell’innovazione, nell’importanza della tecnologia e nella necessità di cambiamento. Adesso tocca alla politica, è tempo di sinergia e di riprogettare l’economia.

L’emergenza da Coronavirus che ci stiamo lasciando alle spalle ci sta offrendo la possibilità di ripartire, e di farlo con un’innovata visione di cosa è importante e cosa necessario: è arrivato il momento di ripensare l’economia attraverso la tecnologia, il futuro attraverso l’innovazione e il lavoro attraverso l’imprenditoria giovanile. Il nostro futuro.

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