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Sul Pil pro-capite stiamo riducendo il divario con Germania e Francia | L’analisi

Il Pil pro capite dell’Italia è cresciuto in volume del 5,4%, tra il 1999 (adesione all’euro) e il 2022, a fronte di aumenti del 27,7 e 18,6 in Germania e Francia, le economie a noi più simili con cui confrontarsi. Il peggioramento relativo del tenore medio di vita degli italiani è stato quindi di circa 22 punti rispetto ai tedeschi e 13 nei confronti dei francesi. II grosso (4/5) di questo deterioramento si è verificato tra il 2008 e il 2014, periodo in cui le due profonde recessioni e le successive flebili riprese hanno dato luogo a un crollo del nostro Pil pro capite (-10,9%).

Prima del 2008 c’era bensì stato uno scivolamento rispetto a tedeschi e francesi, ma incomparabile con la frana che è seguita. Dopo il 2014, l’Italia prende a crescere come Germania e Francia, per poi registrare negli ultimi anni un superamento delle due economie. Tra il 2019 e il 2022 il nostro Pil pro-capite è salito del 2,3% contro una stasi dei partner. La dinamica italiana è risultata superiore anche a quella dell’insieme dell’area euro. La crescita post-2019 ci avvicina finalmente al Pil pro capite che avevamo nel 2007. Una buona notizia, ma, se si può dire, anche uno scandalo: sono passati 15 anni.

Qualcosa, dunque, si è mosso con la pandemia e quel che ne è seguito. Difficile dire se duri. La Commissione stima per quest’anno ancora un recupero dell’Italia sui partner. Per il dopo, la prospettiva è incerta. Da un lato, verranno meno alcune determinanti della ripresa italiana, a partire da una politica fiscale più consona ai nostri problemi di crescita rispetto a quella degli anni pre-pandemia. Dall’altro, ci sono gli investimenti del Pnrr da concretizzare. È poi da tener conto che l’Italia è percorsa da forze spontanee di aggiustamento che hanno dato risultati nella manifattura, esposta alla concorrenza estera. Il punto interrogativo sono i servizi, motore dell’attuale ripresa.

Vi è una forte spinta congiunturale alimentata dai risparmi della pandemia, ma può esservi miglioramento strutturale in un settore per il quale la protezione dalle pressioni competitive è prioritaria per il governo? Espandersi congiunturalmente fa bene, anche nei servizi, alla crescita di lungo periodo, perché incoraggia investimenti e facilita spostamenti di lavoratori verso le imprese più dinamiche. Se, tuttavia, l’obiettivo della politica è erigere schermi protettivi per autonomi e microimprese, il rafforzamento spontaneo può evaporare al prossimo ripiegamento ciclico. Per le sorti della crescita italiana, si può dunque dire che la politica (interna e, per quel che concerne il ritorno di regole fiscali pur riformate, europea) rema contro. È da vedere se l’economia in questi anni di apparente risveglio è riuscita a dotarsi di capacità di crescita autonoma sufficientemente solide.

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